giovedì 24 dicembre 2009

Buon Natale e Felice Anno Nuovo

Auguro liete Festività ai lettori di questo blog. Essendo tutti noi appassionati di alpinismo ed escursionismo, mi pare che l'augurio più bello che ci possiamo scambiare in questa sede sia semplicemente "Buona montagna". D'inverno o d'estate, erbosa, nevosa o rocciosa, alpina o appenninica, altissima o poco sopra il livello del mare, ma sempre "Montagna".
Ernesto

domenica 20 dicembre 2009

Innerrodelkunke, la più bella scoperta dell'estate 2009

Non sarà bello riportare in un blog asettiche relazioni di salite, ma questa che propongo riguarda la cima che ci è piaciuta di più, fra tutte quelle raggiunte nell'estate 2009: il Monte Conca - Innerrodelkunke in Valle di Anterselva. E' una montagna splendida e dimenticata al tempo stesso. L’esile crinale è risalito da un sentiero abbandonato, ma ben percorribile con un po’ d’attenzione: non vi sono difficoltà tecniche, soltanto sfasciumi instabili da risalire con piede fermo sino allo splendido culmine. Come ci si arriva? Intanto bisogna raggiungere in automobile il Passo Stalle - Staller Sattel al termine della lunga Valle di Anterselva e sul confine italo-austriaco. In coincidenza del Passo, verso est si stacca il sentiero segnato col numero 7 che risale alcune balze erbose sino ad un bivio. Si segue il sentiero a sinistra (cartello “Hinterbergkofel”) tenendo d'occhio i segni in un piano acquitrinoso. Si risale poi a zigzag il costone di fronte, guadagnando progressivamente quota nel solco della Weissenbachtal. Si scavalca il torrente, giungendo con serpentine ben tracciate nella desolata conca superiore poco sotto il crinale. Ignorato il bivio a destra per l’Hinterbergkofel, si procede con un’ultima breve impennata sino a raggiungere il confine di stato in coincidenza dell'erbosa Bocchetta del Colle - Halsscharte, che sul lato opposto si affaccia verso la Valle di Casies. Si è ai piedi del lungo e ripido crinale che porta in cima, che va risalito a sinistra tra sfasciumi e rocce rotte. Seguendo le tracce ormai sbiadite di un vecchio trascurato sentiero (pochissimi bolli rossi), si raggiunge la sommità del Monte Conca (piccola croce, in luglio mancava il libro di vetta). Difficoltà: EE. Segnaletica totale sino alla Bocchetta del Colle, poi 4-5 bolli rossi sbiaditi. Dislivello m 679, tempo impiegato 2,30 ore per la salita, 2,00 ore circa per il ritorno al punto di partenza. Impressioni personali: è una cima stupenda, non banale, in un ambiente desolato, solitario e silenzioso. Nessuna presenza umana, bel panorama nonostante la giornata, insomma una cima da ripetere appena sarà possibile.


Successo per la serata di presentazione della biografia di Marino Bianchi

Un'ottantina di persone ha affollato la sala del Tennis Apollonio nel pomeriggio di sabato 19 dicembre, per la presentazione dell'ultimo libro di Ernesto Majoni dedicato alla montagna, “Il Signore delle Montagne. In ricordo di Marino Bianchi Fouzìgora (1918-1969)”, edito dalla Tipografia Print House. Fra gli intervenuti spiccava un ospite insigne e inaspettato: il Presidente Generale del Cai prof. Annibale Salsa, reduce dal convegno di Auronzo sulle “Dolomiti patrimonio dell'umanità”. In sala, accanto ai congiunti di Marino Bianchi, erano inoltre presenti il sindaco di Cortina Andrea Franceschi con la consigliera delegata alla cultura Irene Pompanin; il sindaco di Cibiana Guido De Zordo con l'assessore Fabrizio Zandanel; dirigenti delle Sezioni Cai di Cortina, Domegge, San Vito e Zoldo; guide alpine e molti appassionati di montagna, tutti idealmente vicini alla famiglia di Marino Bianchi, guida ampezzana di padre originario di Cibiana, caduta dalla Cima del Lago nell'autunno 1969 ma ancora viva nel ricordo di molti. Dopo il saluto del professor Salsa, l'autore ha introdotto i due qualificati relatori della serata. Loris Santomaso, direttore responsabile del semestrale “Le Dolomiti Bellunesi” e attento cultore delle vicende dei nostri monti, ha tracciato un documentato excursus della storia dell'alpinismo dolomitico e della figura della guida alpina, rimarcando l'utilità di seguire le vie del passato, per riportare alla luce gli uomini che hanno arricchito l'alpinismo e il turismo alpino. Bepi Pellegrinon, Accademico del Cai e del Gism, scrittore e editore, ha tratteggiato la storia di Bianchi rocciatore, protagonista di numerose vie nuove e ripetizioni sulle crode d'Ampezzo e del Cadore e primo ampezzano dopo Lacedelli del K2 a partecipare a una spedizione extraeuropea, quella che nel 1958 il dott. Marino Tremonti guidò sul Mawenzi in Africa. Toccante l'intervento del prof. Roberto Pappacena, trovatosi in cordata con Bianchi nel settembre 1967 per la salita della via ferrata Merlone sulla Cima Cadin N.E., in cui due professionisti veneti vennero mortalmente feriti da una scarica di sassi. La serata, dalla quale - grazie anche al puntiglioso lavoro di Majoni - si è rinverdito il ricordo di Marino Bianchi, un autentico “signore delle montagne”, alpinista, sportivo e cittadino ricco di valori umani e sempre presente in chi lo conobbe e lo stimò, si è conclusa con un allegro momento conviviale.

domenica 13 dicembre 2009

Curiosità alpinistiche degli anni Ottanta

A partire dagli anni '80, il desiderio degli scalatori di lasciare un'impronta personale sulle crode diede il via all'apparente irriverenza, con la quale s'iniziarono a battezzare le vie con nomi e frasi che i conservatori avrebbero giudicato senza senso o di cattivo gusto (e spesso lo erano ...). Esse, invece, si legavano perlopiù alle emozioni e alle sensazioni provate durante l'apertura degli itinerari. Nella nostra zona, è interessante la genesi di “Dolci timori di Chiara”, il nome di una difficile via sui Lastoi del Formin, che allude alle paure di Chiara, studentessa ampezzana incontrata dai Ragni di Pieve di Cadore Mereu, Dall'Omo e Peverelli mentre risalivano il sentiero verso l'attacco della parete. I giovani fecero volentieri da scorta alla ragazza, che nella zona stava raccogliendo materiale per una tesina di geologia, attraverso il pascolo di Giau per proteggerla dalle mucche, che Chiara incontrava già da qualche giorno, non senza qualche timore. L'episodio avveniva il 2 luglio 1983.

Basta uccidere l'avventura!

Sottoscrivendo in pieno la protesta di Luca Visentini sul forum di Planetmountain, auspico che si cominci a ragionare seriamente, nelle sedi e con le persone competenti, per contenere la mania dilagante di verniciare le Alpi intere con l'intento di "agevolare" turisti, alpinisti, free climber, torrentisti, cascatisti, ciclisti, cacciatori, recuperanti e tutti coloro che frequentano le crode. Per quanto riguarda Cortina, nota palestra e cassa di risonanza di tutti gli esperimenti cultural-mondani possibili, è ora di prendere posizione anche qui. Dato che è impossibile piazzare "vigilantes" sulle montagne e sui sentieri, spero che si studi qualcosa che riesca a scoraggiare i dilaganti colonizzatori di vie normali e sentieri, che s'investono della missione di facilitare le montagne seminando dovunque bolli e frecce multicolori. A mio giudizio, dà meno fastidio vedere una croce su una vetta raggiunta con fatica, o trovare una scatola di plastica con un libro per le firme, piuttosto che salire una facile via normale come quella della Croda de r'Ancona, dove da due anni - dai Ciadis alla vetta - accompagna il salitore una teoria infinita e superflua di palline rosse. Spero di non rimanere l'unico, o uno dei pochi, a condannare questo fenomeno, che se non contenuto rovinerà irreparabilmente tantissimi begli angoli delle nostre montagne.

venerdì 4 dicembre 2009

Ricordo Don Claudio, il "prete volante".

Avevo un "credito" con Don Claudio Sacco, il "prete volante" che fu cappellano a Cortina negli anni della mia adolescenza. Mi aveva promesso di portarmi sul famoso spigolo Jori della Punta Fiames, come premio per il primo esame che avessi superato all'Università. Il primo esame lo superai poi il 16/3/1978, ma sullo spigolo con Don Claudio non ci legammo più. Qualche notte fa, dopo aver raggiunto la cima in sci per godere di una magnifica luna piena, è stato investito senza scampo da una valanga sul mansueto Pore, un panoramico cono erboso che penso di conoscere abbastanza bene. In quel momento, mi sono tornati in mente due episodi: la promessa che ricevetti a diciannove anni e l'ascensione della classica ferrata Strobel sulla stessa Punta Fiames, fatta col Don e con alcuni altri ragazzi, di nascosto dai miei famigliari, nell'estate del '72. Ora il Signore ha chiamato a sè questo sacerdote alpinista, amante della Montagna in tutte le stagioni: come tanti altri che lo conobbero e lo stimarono, porterò sempre con me il suo ricordo.

sabato 28 novembre 2009

Avventura con un gatto sul Col Rosà

Mi è capitato, e non è certamente nulla di strano ma merita ricordarlo, di portare a termine varie gite in montagna in compagnia d’animali. Un cane, una capra, un gatto hanno fatto da scorta a me, familiari e amici nel corso di due escursioni nel gruppo delle Tofane e una in quello della Croda Rossa. Della capra e del cane ho già scritto le vicissitudini; del gatto non ricordo. Ad ogni buon conto, lo rievoco in queste righe. Erano i primi anni ’70 quando, agli esordi delle nostre scorribande sulle crode, con Alessandro, Carlo e Federico salii la via ferrata Ettore Bovero sul Col Rosà. Niente di speciale se la guardo con gli occhi di oggi, ma allora ero il più grande dei quattro, e avevo forse sedici anni ... Al campeggio di Fiames, un micio emerse dal nulla ed iniziò a trottare dietro di noi. Al Passo Posporcora ce l’avevamo ancora alle spalle, all’attacco della ferrata anche. Che fare? Carlo lo prese e se lo infilò nello zaino, lasciando fuori la testa; era proprio piccolo, ma per nulla intimorito, e si lasciò condurre senza storie su per la parete, fino in cima. Sotto la croce lo liberammo, e non scappò: anzi, condivise con noi qualcosa della merenda che avevamo appresso, e continuò a seguirci, zampettando lungo le rocce, in mezzo ai mughi, fra gli alberi, nei ghiaiosi canali della via normale, fino a Pian de ra Spines. Davanti al campeggio, mosso dall’istinto, il gatto cambiò strada e sparì. A noi non miagolò un saluto, ma io gli rivolsi un silenzioso grazie per la tenera, discreta compagnia che ci aveva fatto.

venerdì 27 novembre 2009

Arturo Dalmartello, alpinista fiumano.

"Arturo Dalmartello. Le montagne di un alpinista fiumano" (Nuovi Sentieri Editore) di Silvana Rovis e Bepi Pellegrinon, ha vinto il Premio Antonio Berti 2009, consegnato l'8 novembre scorso a Cividale. Complimentandomi con gli amici autori, che con questo bel libro, ricco di immagini inedite, hanno saputo degnamente omaggiare un amante della montagna, per ricordarlo anche su queste pagine riprendo un articolo che scrissi due anni fa sul Notiziario di Cortina. L'avvocato Arturo Dalmartello si è spento novantottenne nella sua casa di Coiana, dove abitava stabilmente da due anni, alla fine di luglio 2007, ed è stato sepolto nella tomba di famiglia. A tanti forse questo nome non dirà granché, ma esso ha un posto onorevole nella storia dell’alpinismo dolomitico. Dalmartello, infatti, fiumano d’origine e Presidente nel secondo dopoguerra della ricostituita Sezione del CAI di Fiume in patria, negli anni '30 fece parte della “Banda Mazzotti”, il gruppo capitanato da Bepi Mazzotti e Cino Boccazzi che compì molte salite sulle Dolomiti, esplorando soprattutto il gruppo del Popera. Proprio in quel gruppo, il 24.8.1939 Dalmartello scalò lo spigolo nord-est del Secondo Campanile, nientemeno che con il grande Emilio Comici, che soltanto un anno dopo sarebbe morto in un banale incidente in Val Gardena. Lo spigolo Comici-Dalmartello, superato in prima invernale dai fratelli Zandonella Callegher di Dosoledo il 10-11.1.1976 e in prima solitaria negli stessi anni da un altro Callegher, Mario, è una di quelle vie eleganti e rinomate che, quando la potei ammirare salendo la via normale del medesimo Campanile, mi è rincresciuto di non aver mai potuto fare. Di Dalmartello, al cui funerale a Cortina non era presente alcun rappresentante dell’alpinismo ampezzano, il più bel ricordo rimangono sicuramente quei quattrocento metri di “aerea arrampicata su ottima roccia”, lungo uno dei più bei campanili delle Dolomiti.

lunedì 23 novembre 2009

L'artista delle montagne selvagge

E' scoppiata una protesta contro quello che è stato definito "il graffitaro delle Alpi", perché ha agevolato con tanta vernice alcune vie escursionistiche, tra le più impervie delle Dolomiti, specie Orientali. Qualcuno si è già dichiarato disposto a salire a cancellare i segni del "graffitaro". Come sottolinea il Corriere della Sera, il 10 ottobre lo scrittore-editore Luca Visentini ha postato sul forum di montagna Fuori Via un atto di accusa - che approviamo in pieno - contro chi imbratta le crode di vernice (e sono tanti). "C'è un soggetto - ha scritto Visentini - che si adopera alla verniciatura sistematica delle vie alle vette, nei valloni selvaggi in tutte le Dolomiti Orientali. Appone enormi bolli, frecce, scritte sulla roccia. Imbratta ogni cima in modo seriale. Uccide l'avventura. Compromette la scoperta. Riduce l'autonomia". L'artefice dell'opera tanto contestata è Paolo Beltrame di Maniago, amante della montagna, ex sestogradista e oggi autore di guide alpinistiche. "Ho dipinto la Cima dei Preti - ha detto - perché nella discesa, molto tortuosa, c'è il rischio di perdersi in caso di nebbia. E' pericoloso, ci sono i precipizi. C'è sempre chi sbaglia. L'anno scorso il mio amico Renzo Corona, presidente del Cai di Maniago è morto perché rientrando dal Passo del Camoscio, in mancanza di segnali ha sbagliato canalone ed è precipitato. Stessa cosa per la coppia di tedeschi che la scorsa estate si sono persi sulla Cima Grande di Lavaredo: qualcuno ha cancellato i segni, si sono persi e lei è morta". Per Giacomo Giordani (CNSAS Alta Valcellina), è un grave problema di sicurezza. "Nessun privato - ha spiegato - può prendere l'iniziativa di segnare una via senza che rientri in un piano generale gestito dal Cai o dai parchi che possano assicurare la manutenzione. Nel caso in questione, tra l'altro, quei giganteschi segni sono fuori da ogni regola della segnaletica in montagna. Sono troppo grandi". Lorenzo Zampatti (CNSAS Alto Adige) soggiunge: "Mentre si può apprezzare e giustificare la segnalazione dei sentieri frequentati e le vie normali delle grandi cime è fuorviante segnare le vie classiche di arrampicata: l'imprudente o l'incapace si perde lo stesso. I segni su certe vie tolgono lo spirito di avventura, che è l'essenza delle salite alpinistiche. Non si tratta di essere conservatori, ma va ponderato il gusto della scoperta. In montagna si va in base alle proprie capacità e non sono le frecce che ti salvano a certi livelli". Al coro di critiche si unisce Reinhold Messner: "Sono contrario a tutte quelle segnalazioni che disturbano il paesaggio. Per segnare la via bastano gli 'ometti', le classiche piramidi di pietre, che fanno ormai parte di una cultura millenaria", e anche Franco Gaspari (Presidente Guide Alpine Cortina) ha detto autorevolmente la sua. Nel 2008 Ernesto Majoni (Cai Cortina) aveva già denunciato nel notiziario “Ciasa de ra Regoles” due verniciature sospette, di un sentiero di guerra su Ra Ciadenes e della via normale della Croda d'Ancona, cima solitaria e ancora selvaggia presso Cortina, . Le due operazioni erano state rilevate in coincidenza con l'uscita del volume di Beltrame sul Gruppo della Croda Rossa d'Ampezzo, nel quale rientrano la cima e il sentiero verniciati. Tanto clamore deve aver fatto riflettere il graffitaro, che nel forum di Planet Mountain ha scritto: "La mia opera vandalica è finita, per sempre. Ho sbagliato, lo ammetto, pensando di fare qualcosa che fosse d'aiuto, credetemi, in buona fede". Resta il fatto che non si sa esattamente quante e quali montagne abbia "agevolato" il nostro writer, e come si potrà rimediare all'iniziativa. Bisognerebbe invitarlo - con mazzuolo, bocciarda, acquaragia e quant'altro - a ripercorrere tutte le vie descritte nei suoi libri e così presuntuosamente "facilitate". Vedremo il seguito dell'iniziativa. Personalmente ritengo che la libertà di ognuno di andare per i monti non possa assolutamente essere ammazzata da questi "samaritani delle bombolette" che perseguono la purezza della Montagna e poi la verniciano con bolli, frecce, strisce e ciò che detta loro la fantasia.

sabato 21 novembre 2009

Lino Lacedelli del K2

Ciao, "Babo Lino"!
Tante persone ti hanno conosciuto, ti hanno frequentato e senz'altro sapranno ricordarti più ampiamente. Sappi però che queste mie poche parole vengono dal cuore: sono orgoglioso di averti avuto come zio, di avere fatto con te un'unica gita (la ferrata austriaca del Coglians, 20/9/1987), ed ammiro quello che hai realizzato - con la testardaggine, l'orgoglio e l'umiltà dei montanari - per la tua famiglia, l'alpinismo, Cortina e la nostra gente.
Ora non ci sei più, ma il tuo esempio e la tua grinta vivranno sempre.
Un'ultima stretta di mano, di quelle che erano diventate il tuo biglietto da visita.
Ernesto.

mercoledì 18 novembre 2009

Una nuova via per Massimo Da Pozzo e per gli Scoiattoli di Cortina

Nonostante siano trascorse tre stagioni, soltanto da poco (come spesso accade per le vie del "Mox"), si è venuti a sapere che nell'estate 2006 due Scoiattoli, Massimo Da Pozzo e Nadia Dimai hanno aperto con Tiziano Cipriano (classe 1958) una nuova via su una cima poco nota, la Torre Dusso. La torre (2618 m) fa parte della Costa delle Role nel sottogruppo del Cernera, che domina il Passo Giau e culmina con due punte, Torre Dusso e Torre Piazzesi, dedicate ad alpinisti caduti in montagna nel 1948. Le torri, teatro di difficili scoperte soprattutto ad opera della cordata di Marino Babudri e Ariella Sain, si elevano ad E di Forcella Loschiesuoi e si prolungano verso SE con un costone detto le Mescole, che fronteggia il Monte Mondeval o Corvo Alto. La via si sviluppa su roccia solidissima, è attrezzata a spit e, a parere degli esperti, merita indubbiamente una visita. Il nome scelto da Da Pozzo per la sua creazione è "Calispera", ossia "Buonasera": viste le difficoltà di 7b obbligatorio, l'itinerario esige un ottimo livello tecnico. "Calispera" arricchisce il "palmarès" dell'instancabile Massimo, che ad oltre quarant'anni continua imperterrito ad inventare tracciati di altissimo livello sulle nostre montagne, e l'elenco delle prime salite degli Scoiattoli, che da settant'anni costellano di nuovi percorsi gran parte dell'arco alpino, avventurandosi sempre più spesso in tutti i continenti.

martedì 10 novembre 2009

Un saluto dall'Argentina

Siamo nella capitale sudamericana dello sci, San Carlos de Bariloche. Qui dovrebbe essere primavera, ma c'è comunque vento e fa abbastanza freddo. Una buona occasione per usare l'equipaggiamento invernale già a novembre. "Scaleremo" la montagna piu' nota della zona, il Cerro Campanario, che tocca i 1000 m di quota ...
Ciao a tutti.
Ernesto e Iside.

venerdì 23 ottobre 2009

E' quasi inverno, e l'anello di Podestagno torna utile per una bella passeggiata!

Domenica 25 nel pomeriggio siamo stati a fare, per la decima volta nell'ultimo quinquennio, una breve passeggiata che ci piace molto: l'anello di Podestagno con salita alla rocca del Castello (1513 m). Dal ponte sul Ru Felizon, lungo la Strada d'Alemagna, in buone condizioni basta un'oretta per compiere in senso orario l'intero anello, che si svolge su sentieri sicuri e protetti in due o tre brevi tratti un po’ esposti. Dalla sommità della rocca, dove ormai resta ben poco da vedere dell'antico maniero che dominò la valle d'Ampezzo per circa 750 anni condizionando la storia del paese, si gode un buon panorama verso Cortina e i monti vicini; nei dintorni, non di rado, capita di sorprendere qualche animale. Il giro, pur molto breve, è interessante dal punto di vista storico e ambientale. Sempre più spesso - quando disponiamo di un pomeriggio e il tempo lo consente - lasciamo la macchina presso il ponte sul Felizon per salire lassù. Sulla rocca di Podestagno abbiamo incontrato raramente altre persone ed in quel bosco, a breve distanza dalla strada e dalla ciclabile, riusciamo sempre ad assaporare il silenzio e la tranquillità di un luogo ricco di storia.

lunedì 19 ottobre 2009

Domenica 4 ottobre 2009: 7 persone insieme sulla Zesta del Sorapis!

Non sono né il primo né l'unico salitore della Zesta del Sorapis, la cima del ramo ampezzano del Sorapis quotata 2768 m, che domina Forcella del Ciadin e la radura di Tardeiba. Poco più bassa della vicina, più nota Punta Nera, la Zesta non interessa gli scalatori perché è fatta di roccia friabile e franosa, e non mi pare che sia salita molto spesso: in tutta l'estate 2003, ad esempio, le salite sono state solo sette. Se ne scrivo, è per testimoniare però un rinascente, per quanto timido interesse nei confronti di questa selvaggia montagna. Il 4 ottobre scorso, in cima sono arrivate ben 7 persone, locali e non; per una vetta graziata dalla vernice rossa, dai cavi, gradini, scalette, cartelli e quant'altro, è un autentico "successo". La Zesta merita l'assaggio dei "buongustai del I grado" perché la sua normale, al limite fra l'escursionismo e il primo alpinismo, è divertente e non banale, dà soddisfazione e schiude un grande panorama. Non si sa da chi né quando fu salita per la prima volta, per la cresta N che guarda Forcella del Ciadin. Nel 1929 la cima fu visitata da Severino Casara, che con alcuni compagni (fra i quali Antonio Berti, autore delle guida delle Dolomiti Orientali) scalò il lato che guarda il Lago del Sorapis. La via, di scarso interesse alpinistico, è stata seguita in discesa da tre delle persone giunte in cima il 4 ottobre. La prima invernale invece risale al 7 febbraio 1942, ad opera di Giorgio Brunner, Massimina Cernuschi e Mauro Botteri. Quindici anni fa, due amici lasciarono in vetta un barattolo con un libretto, che per fortuna fa fatica a riempirsi di firme e di eventuali sciocchezze. Fino a qualche tempo fa, sapevo poco e nulla della cronologia alpinistica della Zesta, che ho salito quattro volte, di cui due traversando da nord a sud con discesa per la via Casara. Giunto in cima da solo nel luglio 1995, scoprii il nuovo libro di vetta, sul quale c'era una nota interessante. Il 5 gennaio di quell’anno, la guida Ario Sciolari aveva realizzato la probabile prima invernale solitaria della cima; il fatto è passato inosservato, ma ha contribuito ad aggiungere un paragrafo di valore alla storia delle nostre montagne.

sabato 10 ottobre 2009

Una curiosità gastronomica legata alla montagna: il cafè da bosco

L’ispirazione per queste righe non è nata fra i monti, ma a casa, un giorno subito dopo pranzo. Premetto che il caffè nero, liscio o come lo volete chiamare, non mi entusiasma; ma in casa non c’era latte e così pensai di correggere l’indispensabile tazzina meridiana con un sorso di vino rosso. Ricreando, dopo tantissimo tempo che non lo assaggiavo, il "cafè da bosco" montanaro, tonica e usuale bevanda per i nostri cacciatori, contadini, pastori di tempi passati, oggi rivisitata ed offerta come specialità del Sestiere in una delle nostre feste campestri. Caffè nero, rigorosamente fatto sul “fornel” come quello che preparava quarant'anni fa la buona “Luzia Magra” nella cucina della vecchia casa di Coiana quando le facevamo visita, e buon vino rosso: magari a qualcuno il mix farà rizzare i capelli, ma a me per un attimo ha evocato tempi passati, freddi inverni, grandi fatiche dei nostri avi. Gustoso, salutare se assunto in dosi canoniche, fu fin troppo corroborante quel sabato di fine ottobre 1977, quando con Enrico, Federico, Fabio e Stefano passammo un fine settimana nel Cason di Lerosa, all’epoca ancora aperto, sempre ospitale e disponibile per il ricovero degli escursionisti. Noi ragazzi avevamo portato qualche buona bottiglia, mentre Stefano – salito al Cason da solo qualche giorno prima, con l'intenzione di fotografare l’aquila ed altri animali – preparò una bella “cogoma” di caffè, e con quel beverone animammo la serata. Ricordoche, a notte fonda, “uscimmo a riveder le stelle”: grazie al "cafè da bosco" ne vedemmo tante, tante, tante di più di quelle che popolavano la volta celeste sopra i grandi pascoli di Lerosa!

giovedì 8 ottobre 2009

E' uscito "Il Signore delle Montagne. In memoria di Marino Bianchi Fouzigora (1918-1969)", omaggio ad una guida alpina ampezzana

Mercoledì 21 ottobre saranno quarant'anni da quando Marino Bianchi, guida alpina ampezzana di padre cadorino di Cibiana, precipitò con la cliente Duccia Pulitzer mentre stava tentando una via nuova sulla parete sud della Cima del Lago, che guarda il ceruleo laghetto del Lagazuoi. Bianchi era nato nel 1918 e per trent'anni aveva scalato montagne, dalle Dolomiti all'Africa. Prima della guerra era stato campione di sci, in seguito fu Presidente del Corpo Guide Alpine Ampezzane e del Sestiere di Cortina nonché volontario del Soccorso Alpino; negli ultimi tempi era impegnato nei lavori di costruzione della seggiovia delle Cinque Torri. Prima di tutto, però, era un uomo buono e cortese e aveva tanti amici. A lui Cortina ha dedicato una via ferrata sulla Cima di Mezzo del Cristallo, una guglia della cresta della Croda da Lago e un Trofeo scialpinistico che da quarant'anni ad ogni primavera si svolge sulle nevi di Sennes. Ora è uscito il mio libro "Il Signore delle Montagne. In ricordo di Marino Bianchi Fouzìgora (1918-1969)" (Tipolitografia Print House Cortina d'Ampezzo, pp. 119 con numerose immagini in b/n e a colori, € 20,00). Con esso ho voluto ricordare la vita di Marino, il suo grande amore per la famiglia, le montagne, il suo paese. Il volume, coordinato e impaginato dall'amico Roberto Belli Codàn, si potrà trovare nei prossimi giorni presso alcuni punti vendita a Cortina e in Cadore, oppure richiedere direttamente all'autore e.majoni@mclink.net

lunedì 5 ottobre 2009

Dal Durakopf al Lutterkopf: una bella traversata sui Monti di Casies

La prima domenica di luglio, giusto tre mesi fa, ci siamo cimentati nella traversata dal Durakopf - Monte Salomone al Lutterkopf - Monte Luta, sui Monti di Casies - Gsieserberge. Personalmente, percorrevo per la terza volta la lunga e panoramica cresta boscosa, che affianca in destra orografica la vasta Alpe di Tesido ed è molto apprezzata, soprattutto da chi desidera camminare in un ambiente tranquillo e riposante. La consiglio senz'altro a coloro che non la conoscono, essendo un'escursione gradevole, di medio impegno e adatta per l'autunno. Per effettuarla, bisogna portarsi a Tesido - Taisten, frazione di Monguelfo - Welsberg in Pusteria. Dal paese, si continua in auto per 5,5 km fino al maso Mudlerhof e in un'oretta per comoda strada forestale si raggiunge la Malga di Tesido - Neue Taistnersennhutte, ristoro posto a 2012 m e famoso perché d'inverno la strada d'accesso diventa una rinomata pista per slittini. Riprese le forze con un caffè e magari una fetta di dolce, si continua lungo i pascoli o per una strada sterrata fino alla sella erbosa fra il Durakopf e il Rudlhorn - Roda di Scandole), altra bella cima, sulla quale siamo saliti due settimane più tardi. Verso sinistra, per la cresta erbosa si sale in breve alla grande croce sulla cupola del Durakopf (2275 m), dalla quale si dispiega un vasto panorama, dalle montagne pusteresi alle Dolomiti. Seguendo il sentiero, si traversa in falsopiano il crinale boscoso a cavallo fra l'Alpe di Tesido e la Valle di Anterselva, e sempre su sentiero ben marcato e segnato si giunge alla croce di vetta del Lutterkopf (2145 m), altrettanto prodigo di belle visioni. Scendendo nel bosco per un ripido sentiero, s'incrocia una forestale che in breve riporta al parcheggio poco sopra il Mudlerhof. L'escursione richiede circa quattro ore e mezzo, è priva di passaggi esposti o problematici e si svolge fra pascoli e boschi, in un una zona molto interessante. Come inizio di stagione, per noi la traversata è stata l'ideale, consentendoci di godere ancora una volta l'ambiente bucolico che caratterizza in sinistra orografica l'Alta Val Pusteria, articolato perlopiù in cupole boscose, erbose e detritiche che non vantano certamente la storia delle Dolomiti ma sono ugualmente ricche di fascino e di poesia.

sabato 3 ottobre 2009

Rocheta de Cianpolongo, una cima per l'autunno

Fra le migliori cime del circondario ampezzano salite in tanti anni, annovero la Rocheta de Cianpolongo, l'ultima elevazione della dorsale che dal Becco di Mezzodì degrada in Valle del Boite, segnando il confine fra Ampezzo e il Cadore. La salita della Rocheta, la meno alta delle quattro - che non emergono di molto dai boschi di Federa, ma espongono a sud belle pareti verso Mondeval e Prendera - non è descritta in alcuna carta né guida, ed è segnata il minimo indispensabile. E’ un po’ più nota da una ventina d'anni, quando alcuni amici di Zuel portarono in vetta una croce e un libretto, segnando con alcuni bolli rossi il breve tratto roccioso che porta in cima. Sicuramente la salirono fin da tempi antichi i pastori e i cacciatori, poiché il torrione sommitale, un po' friabile ma non molto impegnativo, è sostenuto da una ripida lingua erbosa, sulla quale immagino si spingessero le pecore e le capre venute da Federa attraverso Sonforcia. Personalmente, raggiunsi la vetta per la prima volta in una limpida mattinata di novembre di 22 anni fa, con l'amico Luciano, prematuramente scomparso. Già allora, nonostante l'allenamento di quegli anni, l'ascensione mi parve faticosa a causa del dislivello da Socol, che tocca i 1300 metri. Però mi piacque così tanto che vi tornai altre cinque volte, di cui l’ultima in gita sociale con il CAI. Nel 2000 salii con mia moglie, per vedere il “doppio” segno di confine numero 1, riscoperto nell'autunno precedente da due appassionati, che ha variato la geografia confinaria d’Ampezzo, poiché alla base del castello sommitale se ne trova un altro, quasi uguale e riscoperto da Illuminato de Zanna. Il primo libretto di vetta, distrutto dopo un lungo e onorato servizio dalle intemperie e dalla sventatezza di qualche salitore, fu rimpiazzato nel 2003 con un bel quaderno nuovo. Le firme apposte in una stagione sulla cima non sono moltissime, e di solito appartengono a locali: per quanto mi riguarda, mi auguro di lasciare ancora il mio autografo, poiché sono convinto che dominare la valle del Boite dalla cima della Rocheta ripaga della fatica necessaria per toccarne la cima.

mercoledì 30 settembre 2009

Amori sulla Piccola di Lavaredo: un episodio degli anni Trenta

Quest'inverno, in occasione del consueto raduno di soci e amici del CAI Cortina al Rifugio Dibona, tenni banco per mezz'oretta con una mezza dozzina di fatterelli di montagna un po' “fuori dalle righe”. Un po' piccanti ma non volgari, diversi dal solito e tutti rigorosamente accaduti. Uno di questi riguardava due guide particolarmente ricercate negli anni '30. Una bella domenica d'estate, una di esse portò una cliente a scalare la via normale della Cima Piccola di Lavaredo, una via interessante per gli amanti dell'alpinismo classico che ho potuto salire per tre volte. Giunti in vetta, la guida intraprendente e la cliente ben disposta non persero tempo e si incontrarono focosamente. Si noti che la sommità della Piccola di Lavaredo è formata da una serie di blocchi accatastati, piatti ma non certamente ampi ed esposti su almeno 300 metri di vuoto da ogni lato. Ebbene, l'incontro fra i due non era ancora terminato quando, dal verticale camino Zsigmondy della normale, che sbuca proprio in vetta, si affacciò un'altra guida con un cliente. Fin dal penultimo tiro di corda la guida doveva aver sentito un rumorio inequivocabile; emersa a mezzo busto sulla piattaforma sommitale, diede una rapida occhiata, riconobbe il collega che aveva smesso i panni dello scalatore e non ritenendo il caso di disturbare o spaventare, fece sosta quindici metri sotto la vetta, all'interno del camino. Recuperò il cliente e cavallerescamente volle concludere a pochi passi dalla sommità la sua giornata.

martedì 29 settembre 2009

Visita ad un valico solitario e senza tracce, nel cuore delle Dolomiti

Credereste che nell'empireo delle Dolomiti, a meno di un'ora di ripida salita da un frequentato rifugio abbastanza vicino ad una strada carrozzabile, possa ancora esistere una forcella priva di tracce da entrambi i versanti, scevra da valorizzazioni umane e ricca di abbondanti testimonianze dei bovini che scorrazzano in zona? Ebbene sì, questa forcella c'è: si chiama Costantiol o Colsantiol, tocca la modesta quota di m. 2140 e divide il Col de la Puina a sud dai Crépe dei Béche a nord: siamo nel gruppo del Pelmo e in Comune di San Vito di Cadore. Lungi da me volerne fare pubblicità (che comunque non sarebbe granché dannosa ...), ma qualcos'altro bisogna pure che dica. Su entrambi i versanti, cioé verso la Val Fiorentina e la Val del Boite, da Forcella Costantiol scendono ripide e faticose pale poco calpestate dagli umani, a parte qualche cacciatore o escursionista curioso. Essa poi non dà accesso a grandi traversate o ascensioni: verso il Col de la Puina sale una ripida cresta di 114 m. di dislivello, che circa a metà s'impenna con roccette e impone di deviare verso sinistra su erbe e instabili detriti per uscire sulla labile, ma più mansueta traccia della via normale. Credo che forcelle così non ce ne siano moltissime, almeno qui da noi: sarebbe il caso d'impegnarsi tutti affinché restino sempre come sono.

mercoledì 23 settembre 2009

39 anni fa veniva scalato il Diedro Dallago sulla Cima Cason de Formin

"Un grande diedro di roccia solida, ricco di clessidre, che consente una bella arrampicata di quarto grado. Nel primo tiro c’è un solo passaggio più difficile (5°), ma questa lunghezza si può evitare attaccando 20 m più a sinistra e salendo per rocce gradinate. Non effettuare la salita dopo piogge recenti." E' solo una delle tante relazioni, tratta da Internet, del diedro nord-est della Cima Cason de Formin, nel gruppo della Croda da Lago. Penso che sia una delle più soddisfacenti arrampicate classiche effettuabili intorno a Cortina, e la ricordo perché fu aperta come oggi, mercoledì 23 settembre di 39 anni fa. Primi salitori del diedro furono la guida Franz Dallago Naza (uno dei più grandi conoscitori del Gruppo della Croda da Lago, dove ha tracciato decine di vie nuove) e l'amico Dino Constantini Ghea. Originariamente l'itinerario, lungo circa trecento metri e che non giunge su una vetta ma su una cengia sotto il cocuzzolo sommitale, fu valutato IV con un tratto iniziale di V e superato con un unico chiodo. Oggi la valutazione rimane comunque quella (D secondo la scala moderna); mi dicono che i chiodi presenti sono sempre pochi, e il primo tratto quasi sempre si evita sfruttando la via di Angelo Dibona, che sale a sinistra ed è un po' più facile. Il Diedro Dallago è una via alla vecchia maniera, logica e su roccia ottima; peccato che il diedro si trovi all'ombra, quindi sconsigliabile in giornate fredde o umide. Fra il 1982 e il 1987 lo ripetei diverse volte con gli amici. Come per la gran parte delle classiche che frequentai in quegli anni, anche di quell'atletico diedro, dopo tanto tempo, conservo un bel ricordo.

martedì 22 settembre 2009

Cento anni fa moriva Antonio Lacedelli, portatore alpino.

Due lapidi di marmo bianco nel cimitero di Cortina ricordano le guide alpine e i portatori scomparsi, dal capostipite Francesco Lacedelli Checo da Melères, che nel 1863-1864 salì con Paul Grohmann la Tofana di Mezzo e di Rozes, l’Antelao, il Pelmo e il Sorapis, ad oggi. Per inciso, alla lista mancano ancora tre guide: Luigi Piccolruaz Nichelo, il cui nome finora è stato inspiegabilmente dimenticato, e le ultime due scomparse in ordine di tempo, i fondatori degli Scoiattoli Albino Alverà Pazifico (Boni) e Luigi Ghedina Broco (Bibi), che ci ha lasciato nell’agosto scorso. Ai cultori delle statistiche, le lapidi ricordano anniversari, legati a persone e avvenimenti di maggiore o minore rilievo, ma sempre interessanti per riannodare i fili della storia valligiana, dalla seconda metà dell'Ottocento in poi. Alla fine di quest’anno, ad esempio - dopo il centenario della scomparsa della guida Giovanni Cesare Siorpaes Jan de Santo - ricorre quello di un portatore, del quale non si sa molto: Antonio Lacedelli, più noto secondo l’usanza paesana come Tone d'Arone. Fratello maggiore di Giuseppe, insegnante presso l'Imperial Regia Scuola Industriale che con il medico Angelo Majoni Boto e il maestro Bruno Apollonio Nert compilò la pregevole Ampezzo und seine Umgebung - Guida della Valle d'Ampezzo e de' suoi dintorni (uscita in versione italiana e tedesca da Strache, Warnsdorf und Haida, Wien 1905), Antonio era nato nella vila di Val de Sote il 6 gennaio 1852. Soprannominato da Rone, o meglio d’Arone (un patronimico forse legato alla biblica figura d’Aronne; oggi il casato porta un altro appellativo, Juscia), Antonio lavorava come falegname ebanista per conto del fratello, che fu un pioniere dell'importazione a Cortina dell'arte indiana, oggi scomparsa, del tar-kashi. Il nostro allestiva i lavori in casa e poi li consegnava ai colleghi per l'esposizione e la vendita. Per rimpinguare il magro bilancio domestico e sostenere la numerosa famiglia, dal 1893 al 1905 Lacedelli fu autorizzato a prestarsi anche come portatore alpino. Il suo nome compare quindi nella Tariffa per le guide di montagna del Distretto Giudiziario d'Ampezzo, approvata nel 1898 dall'Imperial Regio Capitano Distrettuale Rudolf Ferrari e inserita in calce alla citata Guida. La tariffa comprendeva 78 possibilità di ascensioni, dalle più semplici alle più impegnative, e 80 escursioni con vetture o cavalli a sella, a Cortina e nel circondario; in quel periodo le guide autorizzate disponibili erano 23, più cinque aspiranti. Come gli altri colleghi portatori (nel 1898 ve n’erano tre: Angelo Dandrea Bijo; Antonio Menardi Tonin Selo; Gasparo Alverà Napoli), quasi certamente Tone d’Arone non si cimentò mai su cime e itinerari di alto livello tecnico, ma è facile supporre che i blasonati colleghi si servissero spesso della sua collaborazione per soddisfare le richieste dei clienti. Per una dozzina di stagioni, Lacedelli si caricò quindi i bagagli e le vettovaglie dei facoltosi sciore, accompagnandoli in lunghe e faticose traversate tra Cortina e le valli limitrofe. Antonio guidava i “touristi” coprendo anche cinquanta chilometri a piedi in una giornata, soprattutto attraverso le “montagne basse”, i passi dolomitici dove oggi transitiamo comodamente in automobile, senza più renderci conto della portata degli impegni di quei valorosi montanari. Facciamo qualche esempio, avvertendo che il calcolo comprende anche il viaggio di ritorno. Da Cortina a Caprile per il Falzarego, lungo la carrareccia che un secolo fa divenne la “Grande Strada delle Dolomiti” (82 km, una giornata e mezza, 15 corone); da Cortina a Caprile, ma per il Giau (68 km, una giornata e mezza, 13 corone); a Pieve di Livinallongo per il Falzarego (62 km, dodici ore, 12 corone); a Campitello di Fassa per il Fedaia (ben 129 km, tre giornate e mezza, 26 corone); a San Cassiano in Badia per il valico di Tra i Sassi o Valparola (58 km, due giornate, 13 corone), a San Vigilio di Marebbe per il valico di Rudo o Fodara Vedla (due giornate, 16 corone). Probabilmente, qualche volta Tone fece anche da “porta scarpe” per i clienti impegnati in ascensioni con guide titolate. A loro, dopo aver raggiunto per le vie normali le montagne sulle cui pareti si svolgevano le ascensioni più alla moda (la Via Inglese in Tofana di Mezzo; la Corry sul Col Rosà e la Phillimore sulla Costa del Bartoldo; la Pott sulla Punta della Croce; la Heath sulla Punta Fiames e la Eötvös sulla Tofana di Rozes, e altre), i portatori facevano trovare le calzature chiodate per il rientro a valle. Il fisico del portatore non resse però al prolungato affaticamento, tanto che nel 1905 Lacedelli fu costretto a lasciare l'attività. Si affidò alle premurose cure del dottor Majoni, ma presto il suo cuore cedette, e il 20 dicembre 1909 si spense a soli cinquantasette anni. Qualche nota ora sul mestiere di portatore alpino (Träger). Promosso talvolta guida per i meriti acquisiti sul campo, se non particolare abilità nella scalata, il portatore doveva conoscere bene le carrarecce, le mulattiere, i sentieri che scavalcavano valli e montagne, ed essere avvezzo a grandi fatiche. Le guide, infatti, erano obbligate a portare pesi fino a 8 kg senza ulteriore compenso, e l’eventuale peso aggiunto era compensato con 0,10 corone per kg e per ora, mentre il portatore doveva portare fino a 15 kg e, per l’eventuale sovrappeso di cui si fosse caricato, percepiva un compenso di 0,20 corone per kg e per ora. Sappiamo comunque, da fonti affidabili, che non di rado i bagagli accollati ai portatori alpini potevano raggiungere anche i 40 chilogrammi. Ai primordi della storia alpinistica l'attività di queste figure - un viaggiare spesso monotono, di solito privo di memorabili imprese e per questo anche avaro di documenti, che consentano di ripercorrerne la storia - costituì un oscuro, fondamentale impulso alla conoscenza delle Alpi. Fino agli inizi del ’900, quindi, anche Tone d'Arone con le sue camminate attraverso le montagne svolse una parte di rilievo nell’esplorazione delle Dolomiti. Stranamente però, nei due ritratti più noti del gruppo delle guide ampezzane (datati 1893 e 2 novembre 1901), accanto ai colleghi non compare. Antonio aveva sposato Rachele Saba Menardi (1866-1954), sorella di Sigismondo (Mondo de Jacobe, guida in esercizio dal 1899 al 1914 e poi emigrato in Austria), che gli diede otto figli. L'ultimogenita Maria, scomparsa lo scorso anno quasi centenaria, in pratica non conobbe il padre mentre il figlio maggiore Simone - 1887-1970, noto come Scimon Juscia -, dal genitore ebbe in eredità la vocazione per la montagna. Con il coetaneo Alessandro Cassiano Zardini Noce, travolto da una valanga nel 1916 sulla Marmolada, fu l'ultimo ampezzano autorizzato dal governo austro-ungarico ad esercitare la professione di Bergführer (1912), che svolse fino ad età avanzata. Ancora nel 1955 lo s’incontrava con i clienti sulla Torre Grande d’Averau. All'inizio degli anni Cinquanta del secolo scorso promosse le escursioni accompagnate, che tanto successo avrebbero riscosso avvicinando al mondo alpino adulti e bambini di ogni condizione sociale e capacità. Ritornando al nostro Tone, ci dispiace che sia difficile ricostruire la vita e le opere sue e di altri valligiani sfuggiti alle cronache, perché i portatori e guide “per montagne basse”, le guide aspiranti e, tutto sommato, anche i “vetturali” (la Guida sopra citata ne elencava 28), vivacizzarono l'epoca d’oro del concorso dei forestieri, contribuendo a costruire il destino turistico della valle d’Ampezzo. Chi scrive, ormai da qualche anno s’interessa di quei pionieri della montagna - soprattutto ampezzani, ma non soltanto quelli - che, avendo fatto parlare e scrivere troppo poco o nulla di sé, fra non molto inevitabilmente precipiteranno nell'oblio.

martedì 15 settembre 2009

Neve di settembre.

Oggi a Pomedes la neve caduta l'altra notte si era già sciolta (ma la Tofana di Rozes non si scorgeva ...); al Lago di Federa, sul Becco di Mezzodì, sulla Croda da Lago invece il terreno era ancora tutto bianco. Per non parlare del Nuvolau, dell'Averau e ovviamente dell'Antelao, del Pelmo, del Sorapis ... I nostri vecchi dicevano "canche gneeghea su ra foia, vien un inverno che fesc ra voia" (occorre la traduzione?). Dunque, chissà se, dopo questa nevicata troppo, troppo precoce, dovremo sospirare l'arrivo di un inverno "normale". Nel frattempo, stiamo pensando dove poter andare la prossima volta, senza bagnarci troppo!

lunedì 14 settembre 2009

Cinque croci per cinque vette che guardano San Vito di Cadore.

Da ieri, cinque croci metalliche, poste in vetta ad altrettante montagne dolomitiche che guardano San Vito, fanno buona guardia agli alpinisti che raggiungono le vette nei gruppi dell'Antelao, del Pelmo, del Sorapis e delle Marmarole. Le nuove croci sostituiscono quelle esistenti, alcune delle quali rovinate dagli anni, dal maltempo e dall’incuria. Prima che un elicottero della Elifriulia le portasse sui basamenti già predisposti, c'è stata la benedizione impartita dal pievano don Riccardo Parissenti sul sagrato della parrocchiale di San Vito, gremito di fedeli e con la presenza dei gruppi volontaristici paesani. «Per i credenti è il simbolo della fede che, dal punto più alto della montagna, indica la via del cielo e dell’elevazione - ha detto don Riccardo -. Esse richiamano una meta ottenuta con fatica e rappresentano anche la solidarietà e l’amicizia. E' una presenza fraterna, l’invito all’amore che, consapevolmente o inconsciamente, è stato cercato salendo la montagna». Ora in vetta all’Antelao (m. 3263), al Sorapis (m. 3205, situato in comune di Cortina, ma con via normale sul versante di San Vito), al Pelmo (m. 3168), alla Croda Marcora (m. 3154) e alla Cima Bel Pra (m. 2917) c'è una croce dell’altezza di m. 2,30, con un contenitore col libro di vetta, per la registrazione di firme e commenti degli alpinisti che hanno scelto le montagne intorno a San Vito per le proprie ascensioni. L'iniziativa è stata del Cai sanvitese, del Gruppo Rocciatori Caprioli e del Soccorso Alpino; ma per raggiungere l'apprezzabile risultato hanno collaborato in modo concreto alcuni volontari e soprattutto un gruppo di amici di San Vendemiano, nella marca trevigiana, legati da fraterna amicizia ai rocciatori sanvitesi (articolo di Bortolo De Vido, tratto da Il Gazzettino del 14 settembre 2009. Grazie.)

Beco de ra Marogna, uno spicchio di mondo a parte.

Proprio ieri l'amico Carlo è salito sul Beco de ra Marogna, guglia secondaria del Nuvolau, che si nota dalla strada del Passo Giau.e - più che all’alpinismo - interessa alla storia, perché per quattro secoli fu confine di stato, ed oggi marca il limite fra i pascoli cadorini di Giau e il territorio regoliero d’Ampezzo. Carlo ha ripercorso passi che personalmente hanno coronato diverse volte una gita pomeridiana in uno splendido bosco della nostra conca, quello del Forame. Mi piace sapere che anche lui abbia calcato quella piccola cima solitaria, e la notizia ha risvegliato in me un bel ricordo di una ventina di anni fa quando, in un giorno di febbraio, salii con un paio d’amici il Beco per la prima volta d'inverno. Un tempo il picco, quotato 2271 metri, non aveva un nome. L'oronimo Beco de ra Marogna/Becco (della) Muraglia gli fu dato durante la Grande Guerra, giacché la celebre Marogna de Giou/Muraglia di Giau trova ai suoi piedi uno dei due capisaldi d’inizio. Non so chi abbia salito per primo quella punta, dove nel 1972 la guida Franz Dallago ha tracciato una breve via di III/IV, e nel 1996 è tornato per apportarvi anche una variante. La via d'accesso alla cima si risolve in una parete inclinata e friabile, con difficoltà che si aggirano sul I per una cinquantina di metri. So di averne fatto, oltre a tre o quattro estive, anche una salita invernale: non sarò stato il primo, ma ricordo che l’inverno asciutto di quell’anno e la voglia di respirare un’aria diversa ci spinse a calcare quel dentino che spunta dal bosco, dove il silenzio dei luoghi e la visuale dalla vetta sono un bene prezioso.

sabato 12 settembre 2009

Ottavo grado sul Becco di Mezzodì

Apprendiamo con piacere che lo scorso 29 luglio Carlo Alverà "Pazifico" (Gruppo Scoiattoli di Cortina) e Federico Svaluto hanno aperto una via nuova sulla parete NW del Becco di Mezzodì, di fronte al Rifugio Croda da Lago - Gianni Palmieri, gestito da Modesto e Monica Alverà, genitori di Carlo. La via, dedicata alla guida alpina Nicola Molin, zio di Carlo recentemente scomparso, ha uno sviluppo di 285 m. e supera il grande e caratteristico tetto che contraddistingue la parete NW. La roccia, secondo i primi salitori, è quasi sempre ottima e l'itinerario - aperto con chiodatura mista a spit e tradizionale, in sette lunghezze ed una più facile - presenta difficoltà massime di VIII-/A1 (VII+ obbligatorio). La quarta lunghezza, che supera il grande tetto, è ancora da liberare completamente. Chi scrive aveva avuto il "sospetto" che sul Becco qualcosa si stesse muovendo lo scorso 16 luglio, quando - trovandoci al Rifugio Croda da Lago per un servizio televisivo, aveva visto con il binocolo Carlo in parete. Quindi, bravi ai due giovani che hanno "riscoperto" la ormai poco frequentata "Zieta", dopo 13 anni dall'ultima via nuova!

venerdì 11 settembre 2009

ATTENZIONE. Sulla Cima Cadin di Rinbianco, una frana ha modificato il canale della via di salita!

Da informazioni di prima mano (Giancarlo Pagogna - Tai di Cadore) ho appreso quanto segue. Il canale detritico che sale alla forcella senza nome tra Cima Cadin delle Bisse e Cima Cadin di Rinbianco per l'accesso a quest'ultima, a circa 3/4 dell'ascesa è ostruito sulla destra orografica da una recente frana di enormi massi, che impedisce la prosecuzione. Occorre pertanto spostarsi sulla sinistra orografica, superando un breve tratto roccioso (valutabile intorno al I+/II grado), che richiede un po' di attenzione, specialmente se umido o bagnato. Segnalo di buon grado la novità a chi intendesse salire la solitaria Cima Cadin di Rinbianco, una delle poche vette dei Cadini di Misurina raggiungibile con difficoltà poco più che escursionistiche. La ricordo con soddisfazione anche perché, guarda caso, la mia seconda salita lassù ebbe luogo proprio l'11 settembre di qualche anno fa.

giovedì 10 settembre 2009

Non era un alpinista, ma un uomo di montagna. Un ricordo dell'amico Tino Girardi.

Il 1° aprile 1929 nasceva a Pecol d'Ampezzo Agostino Girardi de Jesuè, un uomo che ha fatto e lasciato molto alla cultura locale. Dal 1965, quando uscì il primo numero di “Due Soldi”, mensile della Cassa Rurale che diresse per quasi 8 anni e nel quale, grazie a vari collaboratori, confluirono cronache, curiosità, documenti, fatti e personaggi d’Ampezzo che rischiavano di essere facilmente dimenticati, fino a poco prima della scomparsa, avvenuta il 9 settembre 2000, Tino studiò la cultura, la lingua, la storia paesana con ingegno, passione e versatilità. Alla sua maniera, certamente disordinata e non sempre affidabile, conobbe e studiò Cortina con lucidità e profondità. Ne sono testimoni, oltre ad articoli e collaborazioni disperse in ogni dove, gli otto fascicoli di "Cemódo che se diš par anpezan" (1989-1994), nei quali raccolse e commentò centinaia di frasi idiomatiche, locuzioni, modi di dire ampezzani vecchi e nuovi, facendo uso di grande cultura e vivace memoria e condendo tutto con ironia ed un bello stile affinato negli anni. Oltre che parente, ebbi modo di essergli amico e collaboratore in qualche avventura editoriale, e lo seguii fino alla fine. Ricordo con piacere e nostalgia le chiacchierate con Tino, le sue conoscenze sugli argomenti più diversi; i consigli che dispensava; le critiche al mondo paesano, osservato con distacco e forse con delusione; l’entusiasmo per la ricerca, che ne avrebbe sicuramente fatto un intellettuale di rilievo, non solo per Cortina. Da lui, fra l’altro, ricevetti l’impulso a studiare i soprannomi di famiglia e a non strafare nell’uso e nella divulgazione dell’ampezzano scritto, che Tino riteneva una forzatura, data la secolare oralità del ladino. Non ho seguito tutti i suoi consigli, ma di tutti ho fatto tesoro. Oggi, a nove anni dalla sua morte, mi piacerebbe poter rivalutare quegli otto fascicoli scritti da Girardi con lentezza e meticolosità, rigorosamente a mano con la stilografica, e che l'autore volle pubblicare in anastatica, sotto forma di modesti quaderni dalla copertina color sabbia. Modesti forse ma ricchi, per l’inesauribile miniera di notizie che contengono e il quadro dell’ampezzanità d’un tempo che compongono con garbo e intelligenza. Prima che la memoria di Tino vada a disperdersi nel vorticoso meccanismo della nostra vita, lancio un’idea: gli si renda in qualche modo il dovuto merito di ricercatore. Penso che Tino possa sicuramente fare compagnia a Bruno Apollonio, Angelo Majoni, Illuminato de Zanna, Rodolfo Girardi, Rinaldo Zardini e a tutti coloro che hanno dato dignità alla cultura e alla parlata d’Ampezzo, studiandoli e valorizzandoli. Per non dimenticare.

lunedì 7 settembre 2009

Mangiare in montagna: a proposito delle delizie culinarie pusteresi

D'estate, generalmente non amiamo molto andar per rifugi, e rispetto all’inverno è meno frequente che, nelle nostre escursioni, facciamo tappa espressamente per pranzare in qualche rifugio. Con la neve e i rigori invernali (che ormai non sono troppo lontani ...), come ogni frequentatore delle montagne ci piace finalizzare le camminate alla sosta in malghe o rifugi, per mandar giù qualche cosa di caldo e mettere un piatto gustoso davanti agli occhi e sotto i denti. Dopo anni di frequentazione delle strutture ricettive alpestri nei circondari ampezzano e pusterese, con incursioni anche in Anterselva, Badia, Austria, Cadore, Comelico, non è nostra intenzione stilare una graduatoria in base all’accoglienza, alla simpatia, alla cucina, alle tariffe; sarebbe antipatico e in questa sede poco corretto politicamente. Intendo soltanto comunicare che il metro di paragone che utilizziamo nelle nostre trasferte, d'inverno perlopiù pusteresi perché di qua dal valico del Passo Cimabanche quella purtroppo è una pietanza introvabile, è lo “smorm” ampezzano, ovverossia il “Kaiserschmarren”, la frittata dolce e spezzettata, servita con marmellata di mirtilli rossi o anche frutta sciroppata, che è un’autentica delizia senza essere eccessivamente pesante né calorica. E’ un piatto che, insieme alla minestra d’orzo o ai canederli, ci stuzzica spesso, quando raggiungiamo una malga o un rifugio in provincia di Bolzano. In conformità a quello, generalmente misuriamo il nostro ricordo e la nostra predilezione per quel luogo. La classifica ha un valore puramente interno, ma siccome la memoria ci soccorre abbastanza bene, sono ormai diversi i luoghi nei quali ci rifacciamo volentieri vivi per vari fattori, non ultimo quello gastronomico; perché siamo certi che lì, se non cambia il cuoco, dovremmo sempre trovare uno “smorm” caldo, abbondante, saporito e dolcificato da un’ottima marmellata. Che volete, il camminare d’inverno è godibile anche, spesso soprattutto, per questo!

giovedì 3 settembre 2009

Punta Primavera, omaggio a Cortina di Gabriele Franceschini.

Sfogliando la guida delle Dolomiti Orientali di Antonio Berti (edizione 1971), rilevo che la guida Gabriele Franceschini, appena scomparso, "conquistò" una cima anche nel circondario di Cortina. Giusto cinquant'anni fa, infatti, il 24 maggio 1959, la guida scalò e battezzò con il giovane feltrino Enrico Bertoldin la Punta Primavera, un dente roccioso isolato ai piedi del Piccolo Lagazuoi. I due giunsero in vetta salendo una via nuova con 25 metri di VI (forse uno dei più duri tratti aperti dal primierotto) e scesero per due tracciati autonomi. La Punta Primavera si vede bene, stagliata sul profilo del Piccolo Lagazuoi, ma penso che non interessi i rocciatori odierni, Mi fa comunque piacere che a questa guglia misconosciuta resti legato il nome di un alpinista scomparso, che frequentò anche le crode di Cortina e vi lasciò autorevoli tracce.

mercoledì 2 settembre 2009

E' scomparso Gabriele Franceschini, la guida alpina delle Pale

L'altro ieri è scomparso a 87 anni Gabriele Franceschini, storica guida alpina delle Pale di San Martino, sulle quali aprì un centinaio di vie nuove e scrisse diversi volumi escursionistici e alpinistici. Era noto principalmente per essere stato per numerose stagioni la guida di Dino Buzzati, che accompagnò in tutte le Dolomiti e al quale dedicò numerosi scritti. Franceschini arrampicò, fra l'altro, anche con il Re Leopoldo di Brabante, e nel 1986 pubblicò presso Nuovi Sentieri Editore la sua autobiografia alpinistica "Vita breve di roccia". Ebbi modo di conoscere Gabriele, un personaggio piuttosto particolare, nel settembre 1997, nella sua casa di Transacqua in Primiero. Là, in mezzo a carte, libri e ricordi, ci accolse volentieri insieme con il compianto amico Andrea Angelini, e trascorremmo alcune ore parlando di montagne, di uomini, di vie. Non ho ripetuto alcuna delle sue vie di roccia, ma in una grigia giornata autunnale di una dozzina d'anni fa ho salito il suggestivo sentiero attrezzato che si snoda tra i pinnacoli del Cimerlo, realizzato da Franceschini in memoria di Dino Buzzati. Quella malinconica escursione - oltre alla chiacchierata nel disordinato salotto in cuici accolse - mi fa piacere conservarla come suo ricordo.

martedì 1 settembre 2009

Spigolo Jori sulla Punta Fiames: un secolo ... e non sentirlo!

Chissà se chi ha ripetuto nell'agosto appena trascorso lo spigolo Jori-Broske sulla Punta Fiames sapeva che il giorno 19 la via ha toccato un importante traguardo: le prime 100 candeline, essendo stata tracciata da Francesco Jori, guida alpina di Canazei, con Kathe Broske il 19.8.1909. La via è ancora oggi uno degli itinerari più interessanti e ripetuti della zona che circonda Cortina. Sale l’evidente spigolo sud-est della Fiames con bella arrampicata aerea, spesso in fessura, attaccando dalla cengia a metà parete, che si raggiunge lungo la via Dimai-Heath-Verzi (III+); è anche possibile iniziare lo spigolo dal basso lungo la variante Gilberti-Castiglioni del 1930, più diretta (e impegnativa, IV+) del tracciato parallelo. Data l’esposizione al sole, come le altre vie della parete, si presta ad essere percorsa ad inizio stagione e nelle belle giornate autunnali. Per ulteriori notizie sul percorso storico di questo itinerario alpinistico dolomitico, rimando i lettori al mio articolo "Spigolo Jori della Punta Fiames: 100 candeline", comparso sul numero estivo della "Rivista Cortina".

Massimo Da Pozzo ha firmato una nuova via moderna sui Lastoi del Formin.

Una nuova via alpinistica è stata aperta di recente dall'infaticabile Massimo Da Pozzo sul versante nord-ovest dei Lastoi del Formin, divenuti un punto di riferimento per l'arrampicata moderna sulle Dolomiti Ampezzane. A causa delle condizioni metereologiche sfavorevoli, ben tre amici, in periodi diversi, si sono legati con Massimo per la realizzazione dell'itinerario: sono tre suoi colleghi, e precisamente Ivan Romanin, Bruno Sartorelli e Danilo Serafini. Le 8 lunghezze necessarie per giungere in vetta ai Lastoi (300 m. di sviluppo) si svolgono su roccia molto solida, e nei tiri più duri la continuità delle difficoltà fa il grado, che raggiunge il 7b. La via è stata completamente attrezzata a spit, ma un paio di friends di misura media possono essere utili. Massimo Da Pozzo ha dedicato la sua nuova creazione, che inizia pochi metri a destra della via Spiderman, alla figlioletta Zoe.

lunedì 31 agosto 2009

"Marmarole 2009", un'interessante serata alpinistica, a cavallo fra la storia e l'emozioni del presente

Le Marmarole rivivono nelle parole degli alpinisti che le hanno scoperte e frequentate. Sono delle Dolomiti discrete, un po' appartate, poco corteggiate. Eppure contano sessanta cime, hanno un perimetro di 85 chilometri, sono poste al centro del Cadore: ne hanno di storie da raccontare; ne avranno sempre di nuove se l'uomo-alpinista-cacciatore saprà percorrerle con rispetto, salvarle dalla banalizzazione, tutelarne le grandi specificità.
A San Vito sono state le protagoniste di una serata (il 28 agosto scorso, n.d.r.), che i rocciatori "Caprioli" sanvitesi e "Ragni" di Pieve, guidati da Bepi Casagrande, hanno reso intensa di emozioni e di ricordi. Sono state poste al centro di un racconto cominciato più di un secolo fa; giudicate «discrete» e «gentili» (anche il Carducci se ne occupò nell’ode "Cadore" e le definì «palagio di sogni» ed «eliso di spiriti e di fate») non sfigurano certo di fronte ai colossi più celebri e rivendicano un ruolo esclusivo, autorevole e degno: Ernesto Majoni, con una narrazione sciolta e documentata, ha tolto la polvere ad eventi lontani, richiamando personaggi e vicende legate alla storia della montagna.
«Dobbiamo guardare al passato per costruire il futuro» ha detto il presidente del Cai sanvitese, Renato Belli, cui ha fatto seguito Massimo Casagrande, il collega di Auronzo. «Sì - ha aggiunto quest’ultimo - un futuro che ci veda tutti uniti a lavorare per la tutela di un ecosistema delicato e prezioso».
Commovente la testimonianza di due rocciatori sanvitesi della prima ora, Gianni Palatini e Giulio De Lucia: «Dopo la guerra eravamo tutti poveri e la frequentazione alpinistica della montagna ci faceva sentire protetti e tutelati, impegnati come eravamo in una sorta di riscatto anche sociale» (l'articolo è di Bortolo De Vido, ed è apparso su Il Gazzettino il 30.8.2009).

Passione.

La passione maturata per la montagna, espressasi nei decenni in escursioni e ascensioni di varia difficoltà, e oggi rientrata nei binari di un alpinismo tranquillo, spesso di esplorazione anche fuori dai confini dolomitici e comunque preferibilmente indirizzato a luoghi appartati e il più possibile alieni dalla banalizzazione che purtroppo colpisce tante montagne, ha ormai quarant'anni. Devo il merito principale ai miei genitori, con i quali respirai l'aria sottile fin da piccolo, sperimentando già a nove anni il brivido delle vie ferrate e la gioia del dormire in un rifugio; poi agli amici dell'adolescenza, con i quali improvvisammo esperimenti alpinistici sempre ben riusciti, sorretti da tanto entusiasmo e un po' di incoscienza; e poi ancora alla compagnia dei trent'anni, con la quale battemmo tante grandi vette dolomitiche, ma anche cime nevose e ghiacciate sulle Vedrette di Ries, Alpi Aurine, Ortles, Cevedale e nel vicino Tirolo. E oggi continuo la ricerca, condividendo con Iside la riscoperta di molti itinerari già percorsi e l'avventura su nuove cime, anche vicine a casa, che ancora non conoscevo perché un tempo raggiungerle mi sembrava “troppo breve o troppo facile”. Un percorso più che normale, animato sempre da grande passione, curiosità, desiderio di stare bene su una vetta, girovagando in mezzo ad un bosco, steso su un prato, appeso a qualche roccia. Un percorso di conoscenza continua che non è finito né finirà, spero, ancora per tutto il tempo che sarà possibile.

venerdì 28 agosto 2009

Ferrata sul Col dei Bos: ma tutto questo ferro sulle montagne porterà davvero vantaggi?

Nel novembre 2007 il Comando delle Truppe Alpine di Bolzano aveva dato inizio alla posa in opera di un itinerario attrezzato sul Col dei Bos. La via ferrata denominata "degli Alpini" ripercorre tracce di un precedente percorso, ed i lavori sono terminati nel novembre 2008. L'itinerario si sviluppa sulla parete S della Piramide del Col dei Bos ed è costituito da cavo di acciaio, da innovativi coni anticaduta che ottimizzano il posizionamento dei moschettoni in caso di caduta, e da particolari staffe angolari di rinforzo della tenuta dei fittoni nei tratti in cui il cavo compie angoli significativi.Per saperne di più, si può consultare il sito planetmountain.com.

L'amico Nicola ci scrive, segnalando l'ennesimo scempio.

Mi corre l'obbligo di segnalare uno scempio ben peggiore delle tacche rosse apposte sulla normale della Croda d'Ancona (del quale comunque, personalmente, sospetto uno dei soliti "numi tutelari" delle Dolomiti venuto dalla città, n.d.a.). Trattasi di un intervento perpetrato mediante opere di allargamento spropositato della mulattiera militare che, dalla polveriera dismessa posta vicino a Cimabanche, conduce in Forcella Lerosa. Da molti anni frequento questa zona sia d'estate che di inverno con gli sci, e non mi era mai capitato di vedere nulla di simile. La stradina, con esclusione dei circa 800 metri (per fortuna!!) posti a ridosso della zona demaniale presso la polveriera, è stata allargata e spianata (sembrerebbe per far passare in futuro dei grossi fuoristrada!) con interventi che con una ruspa hanno scorticato alla grande le radici ed i tronchi degli alberi posti ai lati del tragitto, e con scavi della roccia e demolizioni di massi che intralciavano il percorso da allargare. Il tutto con un danno ambientale che tra molti anni forse si autoriparerà, a meno che il fine ultimo non sia di ulteriori interventi con asfaltatura finale, per portare le masse motorizzate e non in quel luogo incontaminato e bellissimo che si chiama Forcella Lerosa. Ma il CAI di Cortina cosa fa? Basta recarsi in loco e verificare! Chi ha autorizzato l'intervento? Le Regole d'Ampezzo ne sono al corrente?

giovedì 27 agosto 2009

Anche il secondo libretto di vetta della Pala Perosego è sparito.

Il secondo libro di vetta della Pala Perosego, sottile ed esposto rilievo del Pomagagnon che fronteggia il Rifugio Sonforca e dal quale si gode una inusuale vista su Cortina, è sparito. Il primo, collocato lassù il 23 settembre 2000, durò meno di cinque anni; il contenitore fu distrutto, probabilmente da un fulmine, e ignoti prelevarono il libro. Dopo la segnalazione di un visitatore, il 22 maggio 2005 sostituii il libretto e il contenitore con una scatola più robusta, ricontrollando tutto il 20 maggio 2007. Un amico mi ha dato notizia che sotto l'ometto di vetta non c'è più nulla. Non voglio pensare a un dispetto o ad un atto cleptomane: se il libretto e la sua scatola sono stati distrutti da eventi naturali, pazienza; ma se il gesto fosse di qualche furbetto, è un peccato. Perché le poche persone che giungono su quella cima meritano un plauso, per aver scelto un luogo davvero solitario e "diverso" per passare qualche ora, e la loro firma rappresenta un gesto di affetto per una montagna minore e fuori dalle rotte. Peccato, davvero!

Se n'è andato Bibi, grande alpinista ampezzano.

Ieri sera se n'è andato anche Bibi, al secolo Luigi Ghedina Bròco. Classe 1924, fu uno dei fondatori degli Scoiattoli di Cortina. Appena ventunenne divenne guida alpina, nel 1955 costruì e poi gestì per lunghi anni la Capanna, oggi Rifugio Pomedes. Ci sarà modo e tempo per scrivere più ampiamente di lui, e lo farò senz'altro. Ora partecipo commosso alla sua scomparsa, ricordando con affetto e simpatia un grande alpinista ampezzano, vissuto per la famiglia, per il lavoro, per la Montagna. Non dimentico inoltre la cordialità e la disponibilità che dimostrò nei miei confronti tre anni fa, quando scrissi "Pomédes 1955-2005. Un rifugio e la sua gente", il volume che ricorda il cinquantesimo della sua "seconda casa", appollaiata ai piedi della Tofana di Mezzo. Sanin dapò, Bibi!

mercoledì 26 agosto 2009

Ricordo di Vito Pallabazzer, il professore montanaro

Il 22 giugno si è spento un insigne linguista, montanaro e grande amico della Montagna, il professor Vito Pallabazzer di Colle Santa Lucia. Altri ne hanno ricordato le capacità professionali di etimologista, toponomasta e studioso dell'idioma ladino. Avendolo conosciuto e goduto della sua stima, mi interessa ricordarlo per il volume “Gente di montagna”, che Nuovi Sentieri Editore ha pubblicato quattro anni fa. Conservo una copia autografata del libro, di cui il professore mi fece gradito dono, durante una visita che gli rendemmo nell'agosto 2005, nel suo maso a Pònt di Colle, dove passava l'estate. Il volume, sottotitolato “Dalle Dolomiti, storie e costumanze senza tempo”, raccoglie articoli, in buona parte apparsi su varie riviste di montagna e non, sugli aspetti culturali della nostra Montagna. Quindi vi si parla di storie di parole, cacciatori e pastori, fiori e animali, forcelle e boschi, stregoni e mestieri antichi, stalle e bestiame, escursioni nel paranormale, api, fienili e altri frammenti geografici e sociologici di quell'ambiente alpino fra la Civetta, il Pelmo e le Tofane che oggi non esiste più, ma alcuni ancora ricordano. Nei suoi scritti il professor Pallabazzer rivisse tante cose viste e provate in gioventù. Con gli occhi dello studioso affermato, ma anche con l'animo del montanaro incantato; e tante cose ha consegnato a noi, appassionati della nostra terra, perché le impariamo e le conserviamo.

domenica 23 agosto 2009

Al cordoglio per la tragedia di Rio Gere si associa anche questo blog.

Quattro vite spese a soccorrere gli altri in montagna spente da un incidente mentre in elicottero, in mezzo al maltempo, stavano sorvolando l'area di una frana sulle pendici del Cristallo, sopra Cortina d'Ampezzo. La tragedia è accaduta nel primo pomeriggio del 22 agosto. L'elicottero Ab1209 si era da pochi minuti alzato in volo dal piazzale del Suem, il servizio sanitario del 118, di Pieve di Cadore, diretto verso Rio Gere, dove un ampio fronte di terriccio aveva invaso la strada che conduce a Passo Tre Croci. A bordo c'erano il medico Fabrizio Spaziani, 46 anni, il pilota Dario De Felip, 49, Marco Zago, 42, assistente pilota e membro del soccorso alpino, e il tecnico del soccorso alpino, Stefano Da Forno, 40. Per Zago oggi pare fosse l'ultimo giorno di lavoro prima di passare ad un altro incarico. Solo l'inchiesta potrà dare una risposta certa sulle cause della caduta dell'elicottero, ma al momento l'ipotesi più probabile è quella che si sia abbassato, forse a causa del maltempo, e abbia toccato la linea di media tensione che passa nella zona. Alcuni testimoni hanno parlato di un cavo della tensione tranciato e di un blocco dell'erogazione dell'elettricità ad alcuni impianti. Tutti hanno indicato De Felip come un pilota molto esperto, come grande era l'esperienza delle altre tre persone in volo con lui. Spaziani era in servizio al 118 di Pieve di Cadore da molti anni e assieme agli "Scoiattoli" di Cortina aveva partecipato alla spedizione commemorativa sul K2 per i 50 anni dalla conquista. Sul luogo della tragedia in pochi minuti sono arrivati i carabinieri, squadre dei vigili del fuoco e del soccorso alpino, mentre nella sede del Suem la notizia della disgrazia ha gettato nel dolore tutti, e via via sono arrivati parenti e amici delle vittime. Il velivolo è finito in una zona particolarmente impervia.Operatori chiamati ogni giorno a prestare aiuto a escursionisti e alpinisti in difficoltà hanno dovuto recuperare i corpi «di quattro amici», come hanno detto i 500 tecnici del soccorso alpino bellunese. Le salme sono state portate all'ospedale Codivilla a Cortina. Sull'incidente sono state aperte due inchieste: una della Procura della Repubblica di Belluno, l'altra dall'Agenzia Nazionale per la Sicurezza del Volo (Ansv). Quest'ultima, ha disposto l'invio di un team di esperti per ricostruire la dinamica ed individuare le possibili cause tecniche dell'incidente. Sotto accusa i cavi elettrici. «I cavi dell'alta tensione, come anche quelli delle funivie, vanno assolutamente segnalati. Mentre da terra sono ben riconoscibili contro il cielo, dall'alto sono praticamente invisibili»: lo dice Hans Unterthiner, membro dell'elisoccorso altoatesino che oggi è intervenuto sul luogo dell'incidente. «Quando siamo arrivati sul posto - racconta afflitto - non c'era più nulla da fare per i nostri colleghi. La scena era agghiacciante. L'elicottero ha con ogni probabilità toccato una linea dell'alta tensione, che in quel punto attraversa la valle, ed è precipitato da una altezza di circa 150 metri». Unterthiner, che fa parte della squadra del Pelikan 2 di Bressanone, punta il dito contro i cavi dell'alta tensione e delle funivie: «Sono la nostra grande paura durante gli interventi di elisoccorso. I cavi andrebbero segnalati con delle palle colorate, come già avviene in alcuni casi. Ma andrebbero anche segnalati sulle carte geografiche digitali che utilizziamo sull'elicottero. Purtroppo i gestori delle linee dell'alta tensione sono molti e anche il legislatore sembra poco interessato a risolvere il problema che interessa solo pochissime persone, ovvero noi dell'elisoccorso». (l'articolo è tratto dal Gazzettino del 23 agosto, che ringrazio). Una considerazione personale, senza valore per la spiegazione della disgrazia: 48 ore prima dello schianto, chi scrive transitava nello stesso luogo con il sole e il cielo sereno e rifletteva a come si trasformano le fiumane di ghiaia che scendono dal Cristallo, in caso di maltempo.

sabato 22 agosto 2009

Punta Erbing, dove i pensieri corrono ...

Nel 1997 “scoprii” improvvisamente la Punta Erbing, l’elevazione più ad E della dorsale del Pomagagnon, che dopo di essa cala verso Sonforcia. Qualche giorno fa vi sono salito con tre amici per la sesta volta, non trovando anima viva a contendermi il passo. La Punta, gradevole meta di una bella gita alle porte di casa, cade verso S con una parete alta 350 m, mentre sul lato opposto un pendio sassoso abbastanza ripido solcato da un sentiero segnato consente di salire in cima senza gravi difficoltà. Sicuramente toccata in tempi antichi da cacciatori, la Punta prese il nome dal primo salitore G. Erbing, che nel 1905 superò con Antonio Dimai ed Agostino Verzi la parete rivolta a Cortina, per una via oggi dimenticata. Nel 1942 Igi Menardi e Toni Zanettin aprirono un'altra via di IV sulla stessa parete, e dopo di allora basta. Per salire la Erbing si segue il sentiero non numerato, che da Forcella Zumeles sottende i Crepe de Zumeles sul lato di Val Padeon. Superato un bel pianoro erboso cosparso di massi, si sale un canale terroso e detritico un po' franoso, poi un tratto di roccette e con alcuni lunghi tornanti su sfasciumi e zolle erbose si esce sulla forcella sotto la Croda Zestelis, proprio dove termina la Terza Cengia del Pomagagnon. Per la cresta si sale in cima in pochi minuti. Un ometto ed una croce contorta accolgono i visitatori, che credo piuttosto scarsi, di una vetta ben visibile da Cortina, ma fra le meno note e più solitarie della valle.

venerdì 21 agosto 2009

Dove stanno andando a finire le Dolomiti? Ci mancavano anche le guide alpine abusive (e chi le paga) ...

Dopo i maestri di sci non abilitati, ecco arrivare le guide alpine abusive. E a Cortina qualcuno lancia l’allarme. Anche di fronte al numero di incidenti che quotidianamente vedono impegnate in Ampezzo e in Cadore le squadre del Soccorso Alpino. A mobilitarsi sono le Guide Alpine di Cortina. Spiega il presidente Franco Gaspari Moroto: «Abbiamo riscontrato che molta gente si affida a persone non qualificate. Lo vediamo soprattutto nelle palestre di roccia, alle Cinque Torri, sul Sas de Stria, a Landro, nelle località più frequentate».La normativa che regola il settore è molto rigorosa: l’utilizzo di corde e moschettoni, del materiale alpinistico, per scopi professionali, per accompagnare clienti in montagna, facendosi pagare, è consentito solamente alle Guide Alpine. «Noi ci preoccupiamo soprattutto dell’aspetto sicurezza - aggiunge Gaspari - perché pensiamo che non sia davvero il caso di affidarsi o affidare i propri bambini a chi non ha la preparazione necessaria per garantirla». Molte "guide" vengono da fuori. Ma pare che ci sia pure gente del posto: «Sono persone che lavorano abitualmente nel comparto turistico e che, durante l’estate, continuano a svolgere la propria attività, magari con gli stessi clienti che li hanno contattati d’inverno. Si fanno pagare, ma non lo potrebbero fare».La questione sicurezza in montagna, di questi tempi, viene anche sollevata dal responsabile provinciale del Soccorso Alpino bellunese, Fabio Bristot "Rufus". Evidenziato il fatto che quest’anno si assiste ad un aumento degli interventi di soccorso in montagna - entro la fine dell’anno si ipotizza di arrivare in provincia a quota 600 -, Bristot sollecita, al di là delle sterili enunciazioni, a caricare di un significato particolare l’evento delle Dolomiti "patrimonio dell’umanità": «Si presterebbe bene per un’operazione culturale capace di coniugare l’idea della montagna da fruire con una campagna per goderla in sicurezza». Ma le garanzie passano pure per mezzi e strumenti di soccorso adeguati. E qui Bristot attende al varco la Regione: «In Lombardia i nostri colleghi possono contare su un 44% in più di contributi regionali. Per questo stiamo aspettando il passaggio della legge finanziaria della Regione, pronti a presentare emendamenti». A quest’esternazione sobbalza l’assessore regionale Coppola: «La finanziaria si prepara in settembre e va in aula a dicembre. Non sarebbe meglio che questi signori scendessero a Venezia a presentare le loro richieste? Questo è davvero un chiaro esempio di cattivo rapporto con le istituzioni. Noi non ci siamo mai tirati indietro e in totale sul fronte del soccorso (compreso quello con elicottero) nell’anno in corso nel bilancio della regione compaiono 1.450.000 € (dal Gazzettino del 21 agosto, articolo a firma di Bruno De Donà e Marco Dibona.)

lunedì 17 agosto 2009

Ma qual è, questo Corvo Alto?

Prima di iniziare il cammino verso una, o entrambe, queste cime, volete un dubbio di carattere toponomastico, di quelli che stuzzicano gli studiosi ed animano le discussioni scientifiche? Nel solitario sottogruppo del Cernera, che campeggia sullo sfondo del Passo Giau, fra Selva e San Vito di Cadore, e offre alcune mete interessanti all'appassionato camminatore, due cime “dovrebbero” avere lo stesso nome, CORVO ALTO. Il primo è il Monte Mondeval (2455 m), costituito da bancate di lava e tufo incorniciate da un ambiente prettamente dolomitico. A picco verso SO e SE, il Monte è invece dolcemente inclinato verso NE con un ripido pendio erboso, che consente di salirvi dal Lago de le Baste. Tutti gli scialpinisti lo chiamano “Corvo Alto”, ma a Selva di Cadore il toponimo non è condiviso dagli autoctoni. Il secondo monte è il Piz del Corvo (Corvo Alto, nella guida di Antonio Berti). Alto 2383 m, è la punta più elevata della bastionata dolomitica a picco sulle valli del Loschiesuoi e Fiorentina, e verso NE presenta un ripido pendio erboso, per il quale si sale in vetta dal vasto, suggestivo catino di pascoli che lo separa dall'antistante Monte Mondeval. Le due cime sono frequentate da persone che, ovviamente, prescindono da dispute toponomastiche: il Monte Mondeval (Corvo Alto "primo"), viene salito soprattutto d'inverno con gli sci, ed è rinomato come gita di medio livello. Un po' meno noto è invece il Piz del Corvo (Corvo Alto "secondo"). La cima, con la croce e il libro di vetta, guarda Santa Fosca e Pescul con una parete salita da vie alpinistiche molto difficili. Chi avrà ragione: Antonio Berti, gli scialpinisti, i paesani di Selva?

giovedì 13 agosto 2009

Un soccorso alpino davvero singolare e ... finito bene!

Per salvare il loro cagnolino, si sono messi nei guai e c’è voluto l’intervento risolutore del Soccorso Alpino. E' successo l'11 agosto a Cortina, dove durante una passeggiata una coppia di padovani si è lasciata sfuggire Bart, un meticcio di piccola taglia. Dopo lunghe ricerche, i proprietari hanno scorto il cane nei pressi della Porta del Dio Silvano, sopra Fraina, bloccato in una zona impervia. Hanno provato a raggiungerlo, senza riuscirvi, e così si sono affidati ad una squadra del Soccorso Alpino della Guardia di Finanza, che ha imbragato e calato il cagnolino, portando tutti a valle sani e salvi. Potrebbe essere il primo soccorso eseguito sulla Porta del Dio Silvano, un luogo noto e frequentato dai turisti un secolo fa, oggi quasi improponibile ai normali escursionisti per il parziale franamento della pala sottostante e il degrado del ripido sentiero che sale alla caratteristica, arcana incisione quadrangolare nelle rocce basali del Mondeciasadiò.

martedì 11 agosto 2009

Incidenti in montagna, soccorsi, elicotteri, cause & C. - Fatti e misfatti di uno scorcio movimentato d'estate dolomitica

Sulle monta­gne bellunesi è boom di in­cidenti mortali e contenzio­si per non pagare i soccorsi. Il Soccorso Alpino lancia l'allarme: «Bi­sogna promuovere la pre­venzione, informando an­che sulle polizze che rim­borsano i soccorsi in mon­tagna». Siamo appena a metà agosto, ma l'estate 2009 sul­le Dolomiti è già da annove­rare nell'elenco delle stagio­ni «nere». Confrontando i primi sei mesi del 2009 con lo stesso periodo del 2008, quest'anno i decessi in montagna sono aumentati del 30%. Si rileva inol­tre un incremento significa­tivo degli interven­ti effettuati da Suem e Soc­corso Alpino. Il numero di interventi (concentrati nel Bellunese per più dell'80%), è salito del 31,8% rispetto all'anno scorso. Da notare, però, che circa 1/3 dei soccorsi ha coinvolto perso­ne non ferite che, una volta visitate dal medico dalla squadra di soccorso, sono risultate illese. In questi ca­si, il costo dell'intervento è a carico dell'assistito, e cir­ca il 30-40% degli illesi apre un contenzioso per non pagare l'intervento di tasca pro­pria. Un prezzo molto alto: se viene usato l'elicottero, si devono paga­re 72 € al minuto. Da qui il consiglio del Soccor­so Alpino: meglio assicurar­si preventivamente. Nel giro di sei mesi, dal 1° gennaio al 31 luglio, il Soccorso Alpino ha soccorso 449 persone: il 30% in più dell'an­no scorso, quando in 12 me­si ne erano state soccorse 688. 28 le persone decedute nei primi sei mesi dell'an­no: più della metà del 2008, quando, in dodici mesi, ne erano decedute 43. Quest'an­no gli incidenti mortali so­no stati causati soprattutto da scivolate (8 casi), ma anche da voli, valanghe, in­farti e malori. «Esaminando i dati - ­commenta Angelo Costola, direttore della centrale ope­rativa del Suem di Belluno - si nota che la metà di que­ste persone erano bellunesi ed esperti di montagna. La cul­tura della prevenzione de­v'essere rivolta indistinta­mente a tutti». «Serve un ta­volo per diffondere la cultu­ra della sicurezza in monta­gna - aggiunge Fabio Bri­stot, delegato del Soccorso Alpino di Belluno -. Chiedia­mo aiuto agli enti locali: Comuni, Comu­nità montane, Provincia e Regione. A quest'ultima chiediamo finanziamenti fissi, per evitare che venga­no discussi e decurtati ogni anno». E delle 449 persone soc­corse nei primi sei mesi del 2009, gli illesi sono 166. Naturalmente, il Soccorso Alpino ha l'obbligo di inter­venire per qualsiasi tipo di chiamata, e non può certo ipotizzare in partenza le condizioni di salute di una persona ancora da raggiun­gere. «Anzi - continua Co­stola - se c'è bisogno, consi­gliamo a tutti di chiamare il 118». Il problema sorge quando le persone non so­no assicurate. Se il soccor­so dei feriti è a carico del SSN, gli illesi devono pagare di tasca propria l'interven­to, che può risultare molto salato. «Con gli illesi si in­staura immediatamente un contenzioso. - chiude Costo­la - Rappresentano circa il 30-40% del fattura­to e, se sono assicurati non sorgono problemi, perché l'assicurazione rimborsa le spese di soccorso. Ma il 30-40% tende a non pagare, proprio perché non è assi­curato. Per questo consiglia­mo a tutti di assicurarsi».

31 morti in montagna in 50 giorni

Stagione avversa per la montagna, questa del 2009: dall'inizio dell'estate sono almeno 32 le persone morte in incidenti che hanno coinvolto alpinisti ed escursionisti. Gli ultimi sono, il 10 agosto, i ritrovamenti dei corpi senza vita di un ragazzo di 15 anni, caduto con un compagno (ricoverato in gravi condizioni in ospedale) mentre raccoglieva funghi tra i boschi del Lecchese; di un escursionista bergamasco di 78 anni sulle Orobie (Bergamo), di un alpinista germanico, morto da una settimana dopo essere precipitato dalla Ferrata Berti sulla Croda Marcora a San Vito di Cadore.
Ecco un breve riepilogo degli incidenti più gravi dall'inizio dell'estate.
30 giugno:un anziano alpinista germanico precipita dalla via normale del Becco di Mezzodì, a Cortina d'Ampezzo.
12 luglio- Dolomiti bellunesi e Passo el Giovo - Un giovane muore cadendo in un canalone sul versante trentino delle Dolomiti bellunesi, in comune di Mezzano. Poche ore prima una donna tedesca era morta precipitando per 50 metri nella zona del Passo del Giovo, in Alto Adige.
17 luglio - Monte Rosa - Tre alpinisti francesi, muoiono precipitando da quota 3900 mentre si trovavano sul Castore, dopo essersi smarriti nella nebbia.
29 luglio - Monte Cavallo - Un trevigiano e il figlio di 9 anni muoiono cadendo per 40 metri sul Monte Cavallo, tra le province di Belluno e Pordenone.
31 luglio - Monte Bianco - Una guida alpina svizzera e un cliente belga muoiono precipitando lungo la via dell'Innominata, a circa 4.000 metri di quota. Una scivolata sul ghiaccio forse la causa dell'incidente.
1 agosto - Gruppo Marmarole, Dolomiti - Una donna muore e l'altra resta gravemente ferita precipitando per una trentina di metri nei pressi di Forcella Peronat, gruppo delle Marmarole. Le due escursioniste, entrambi coriste, facevano parte di una comitiva che stava percorrendo un sentiero attrezzato.
4 agosto - Alpi Francesi - Tre alpinisti torinesi muoiono precipitando da quota 3.400 metri nel massiccio degli Ecrins, nel Delfinato. A causare la tragedia sarebbe stata la caduta del primo di cordata che ha trascinato i due compagni in un volo di 400 metri.
8 Aagosto - Alpi Apuane - Tre alpinisti pistoiesi muoiono precipitando per circa 70 metri. I corpi sono ritrovati in un canalone del monte Altissimo, sul versante massese della catena. Due delle vittime erano volontari del Soccorso alpino.

sabato 8 agosto 2009

Se n'è andato Cassin, un'icona dell'alpinismo

Riccardo Cassin, icona dell'alpinismo, si è spento il 6 agosto nella sua casa ai Piani Resinelli, nei pressi di Lecco. IL 2 gennaio scorso, al raggiungimento del centesimo anno di età, la città gli aveva dedicato una nutrita serie di iniziative Cassin era nato in una famiglia umile: il padre Valentino, costretto ad emigrare in Canada, aveva trovato la morte a 29 anni in un incidente in miniera nel novembre 1913. Rimasto orfano e senza il fondamentale sostegno finanziario del padre, Cassin trascorre la sua infanzia con la madre vedova e la sorella minore nella casa del nonno materno nei pressi del fiume Tagliamento, proprio nei luoghi dove imperversa la Grande Guerra. Dal 1926 vive a Lecco e, dopo una iniziale esperienza come pugile, intorno al 1930 si forma come alpinista sulle guglie della Grigna. Certamente è stato una delle figure più importanti dell'alpinismo dell'epoca del VI grado, prima della seconda Guerra Mondiale. Probabilmente la lista delle sue prime ascensioni non ha eguali, avendo risolto, grazie alla sua tenacia e decisione, i maggiori problemi alpinistici dell'epoca, sia sulle Dolomiti che sulle Alpi Occidentali. Il 1934 e il 1935 sono gli anni del grande alpinismo dolomitico di Cassin. Nel 1934 compie la prima ascensione delle parete SE della Cima Piccolissima di Lavaredo. L'anno dopo, dopo aver ripetuto la grande via Comici-Benedetti sulla parete NO della Civetta, scala il fantastico spigolo SE della Torre Trieste e, con Vittorio Ratti, apre una via di estremo ardimento sulla parete N della Cima Ovest di Lavaredo, impresa ambitissima dopo che nel 1933 gli ampezzani Angelo e Giuseppe Dimai e il triestino Emilio Comici avevano superato la parete N della vicina Cima Grande.
Nel 1937, Cassin sposta la sua attenzione sul granito delle Alpi Centrali. In tre giorni, funestati dal maltempo, compie la prima salita dell'enorme parete NE del Pizzo Badile con Ratti, Esposito e la cordata dei comaschi Molteni e Valsecchi, che moriranno di sfinimento lungo la discesa. Anche questa via oggi è famosissima e frequentemente percorsa. Per tale impresa il Coni assegnò a Cassin la medaglia d'oro al valore atletico nel 1938. Probabilmente la sua impresa più importante, e pietra miliare dell'alpinismo, è quella compiuta nell'agosto 1938 nel massiccio del Monte Bianco. Con Tizzoni ed Esposito, compie, infatti, la prima salita dello sperone Walker della parete N delle Grandes Jorasses. Per Cassin, prima della guerra, vi sarà ancora il tempo per aprire un altro importante itinerario nell'area del Monte Bianco, nel 1939 sulla parete settentrionale dell'Aiguille de Leschaux. Il dopoguerra vede Cassin impegnato soprattutto come organizzatore e capo-spedizione. Dopo l'inspiegabile esclusione dalla spedizione nazionale al K2 capitanata da Desio, (« Cassin in realtà fu lasciato a casa in seguito a discussi esami medici, favorendo così la maggior gloria del professor Desio »), nel 1958 guida la spedizione che porta sul Gasherbrum IV Walter Bonatti e Carlo Mauri. Nel 1961 capeggia una spedizione al Mc Kinley in Alaska, che porta alla scoperta dell'immensa parete s della montagna e all'arrivo in vetta di tutti i membri della spedizione. Nel 1975 guida la spedizione alla parete S del Lhotse, a cui partecipa anche Reinhold Messner, che viene però respinta dal maltempo. Nel 1987, a 78 anni di età, Cassin ripete la sua salita al Badile di mezzo secolo prima, impresa che lo aveva consacrato tra i più forti alpinisti del Novecento. Riccardo Cassin è anche stato imprenditore nel campo della produzione di chiodi da scalata, e autore dei libri Dove la parete strapiomba (1958), e Capocordata, la mia vita di alpinista (2001).

venerdì 7 agosto 2009

Il primo film invernale sulle Dolomiti, di Severino Casara

Nel Natale del 1947 Severino Casara con l’amico Walter Cavallini giunge con gli sci al rifugio Auronzo sotto le Tre Cime di Lavaredo dove alcuni operai sono impegnati nella sostituzione del tetto, volato nei pendii della val Marzon a causa di forti bufere.
I due affrontano le pareti della Cima Ovest delle Lavaredo.
Salendo, gli arrampicatori rimangono affascinati dalla particolarità di pareti, stalattiti di ghiaccio e placche vetrate sotto l’effetto di una luce che definiscono di Tabor.
La visione è sublime. Casara esprime un desiderio che egli stesso definisce utopia: realizzare un cortometraggio invernale sulle Dolomiti di Auronzo e sulle Tre Cime in particolare. Chimera, in quanto girare un film in quelle condizioni comporterebbe costi elevati.
Tornati al rifugio, discutono ancora su questo sogno alla presenza degli operai auronzani.
L’idea giunge al municipio di Auronzo dove il vicentino Casara viene, nei giorni successivi, ricevuto dal Sindaco che plaude l’idea ed offre l’appoggio logistico dell’Amministrazione Comunale.
Ma girare un film richiede anche una grossa somma, replica l’alpinista. Il signor Claudio Bombassei, suocero del Sindaco, offre il denaro necessario, rivolgendosi così a Casara: “ Lei è matto per le crode, io per la mia Terra. Due matti insieme fanno un savio”. L’offerta viene subito accettata con l’impegno di restituire la somma qualora il film dovesse divenire fonte di guadagno.
Fervono i preparativi. Per la prima volta si gira sulle nostre Dolomiti un film invernale. – ATTORI: Casara e Cavallini, PROTAGONISTA: la Montagna.
Il maltempo prolunga le riprese degli alpinisti impegnati nell’arrampicata e sugli sci.
Finalmente Casara può scendere a Milano con le pizze pronte del negativo interamente girato in montagna.

(dai testi della mostra sui 150 anni di alpinismo auronzano, visitabile a Palazzo Corte Metto di Auronzo fino a metà settembre 2009. Grazie a Paola De Filippo Roia e amici).

lunedì 3 agosto 2009

Nuove possibilità di arrampicata sportiva a Cortina

Da quest'estate, Cortina offre un nuovo terreno di gioco agli appassionati dell'arrampicata sportiva: la falesia di Rio Gere. Essa ha già una storia. I primi tiri sull'enorme masso a lato del bosco di larici verso il Passo Tre Croci, nei pressi della pista sciistica dismessa che da Faloria scendeva a Cortina, infatti, furono attrezzati ad inizio anni '90 dallo Scoiattolo Diego Ghedina Tomasc. Ghedina aveva intravisto lassù la possibilità di aprire una nuova area d'arrampicata nel territorio d'Ampezzo. Quando però scoprì un'altra attraente fascia rocciosa, i Crepe d'Oucera bassi, che studiò ed attrezzò dal primo all'ultimo ancoraggio con passione costante e convinta, abbandonò il progetto. Da allora è passato quasi un ventennio, e di recente due Scoiattoli hanno deciso di rivalutare la zona: si tratta degli espertissimi Massimo Da Pozzo e Bruno Sartorelli, che hanno sistemato tutti i vecchi tiri del Tomasc. Oltre a questo, gli Scoiattoli hanno aperto sulla falesia molte nuove linee di salita, con una gran prevalenza di tiri lunghi fino a 40 m. e strapiombanti. Grazie a loro, Cortina guadagna una nuova palestra a pochi chilometri dal centro, ideale per sfuggire il caldo estivo (siamo a quasi 1700 m.) e dove l'allenamento è garantito!

sabato 1 agosto 2009

Oggi lo spigolo del Sas de Stria compie 70 anni

Nelle nostre avventure in montagna sceglievamo spesso lo spigolo sud-est del Sas de Stria, sull'appuntita cima che domina il Passo Falzarego. Lo via sullo spigolo compie proprio oggi 70 anni. Aperta l'1/8/1939 da Luigi Colbertaldo e Lorenzo Pezzotti di Vicenza, segue lo spigolo fino al salto finale, dove s'innesta in un itinerario meno impegnativo di Von Saar (1908), e per esso esce in cima. Sicura per la presenza di numerosi chiodi fissi, la via Colbertaldo è molto frequentata, specialmente nelle mezze stagioni da scuole di roccia e scalatori in allenamento. Per giungere all'attacco bastano venti minuti dalla strada del Passo Valparola, e per scendere si segue la “via normale”, un sentiero senza quasi difficoltà. Dal 1977 (quando lo salii per il mio 19° compleanno) al 1993, ho scalato lo spigolo almeno una dozzian di volte, con gioia e assaporando una classica delle Dolomiti, che offre situazioni diverse su roccia compatta in un ambiente superbo. Nel 1987, colto da un malore misterioso, feci un volo lungo la via che avrebbe potuto avere gravi conseguenze, e invece mi costò solo un grosso livido e un paio di pantaloni da buttare. Nel 1993 vi condussi un amico che penso non avesse mai arrampicato. Giunti in vetta, ero convinto che - vista la bella giornata e la salita rilassata - l'amico fosse contento, e mi aspettavo un apprezzamento sulla via che avevo voluto fargli conoscere. Con aria di sufficienza, invece, brontolò che una scalata con cui si raggiunge una cima dove la massa sale a piedi spesso in scarpe da tennis, spesso pranza schiamazzando e magari si lascia dietro rifiuti, per lui non aveva gran senso. Forse anche un po’ rattristato da questa risposta, da allora non ho più salito lo spigolo del Sas de Stria!

venerdì 31 luglio 2009

Una domenica di settembre in mezzo al vento e alle nuvole, mentre minacciava la pioggia

Una grigia domenica di settembre del 2008, siamo tornati su una cima dove, in effetti, gli escursionisti sono rari. È il Monte Popena, storica palestra di roccia di Misurina inaugurata nell'estate del '26 da Casara e ancora oggi praticata, per gli itinerari di ogni difficoltà che offre. L'accesso si risolve in una scarpinata lungo una mulattiera di guerra: 480 m. di dislivello, che richiedono un’ora e mezzo dall'automobile. Da Misurina ci s'interna in un bosco accidentato e tranquillo, salendo verso un ghiaione. Qui il sentiero diventa più ripido e franoso, sfiora le rocce, lascia a sinistra la slanciata Guglia Giuliana e per un bel canale erboso esce sullo schienale della cima. Provvidenziali ometti orientano in mezzo ai mughi fitti, e con essi si raggiunge il culmine, che domina il lago e le cime del sottogruppo del Piz Popena. Su tutte, magnifico, il Cristallino. Le vie del Popena finiscono sul bordo della parete che guarda Misurina, e a chi arrampica di solito preme scendere subito a valle, più che attardarsi su una vetta “da capre”. Sulla cima c’è una rudimentale croce, di solito l'altopiano sommitale riceve tanto sole, ed è bello soffermarvisi godendo di una pace esclusiva. Sul Popena, i cacciatori e i pastori di Auronzo salirono certamente in tempi antichi: è strano che la parete sia stata attaccata solo nel 1926 dal vulcanico Casara, che superò lo stretto camino all’estrema sinistra. Su quelle rocce gialle e grigie si sono cimentati negli anni Mazzorana, i lecchesi, Alverà e Apollonio, Lacedelli e Lorenzi, Molin, Cipriani. Oggi lo spazio roccioso per altre scoperte si è ristretto al minimo e la montagna è stata quasi retrocessa a falesia. L'anno scorso la giornata era grigia e fredda, e in cima sostammo solo un quarto d'ora in mezzo al vento e alle nuvole, mentre minacciava la pioggia, "nel silenzio più teso".