sabato 21 agosto 2010

Proposta libraria: "Natura in Valle del Boite - Itinerari", a cura di M. Cassol

Vent'anni dopo “Itinerari naturalistici in Valle del Boite”, la Comunità Montana della Valle del Boite ripropone un manualetto di taglio naturalistico sulla zona di competenza, nell’ambito di un progetto cofinanziato dalla Fondazione Cariverona, per tutelare alcuni biotopi lungo la vallata.
Dopo un’esauriente sezione introduttiva sul territorio e l’ambiente della Valle del Boite, alla quale hanno messo mano Martina Siorpaes per la geografia, Michele Da Pozzo per la geografia, la flora e la vegetazione, Daniele Ebo per il clima, Ivano Caviola per la selvicoltura e Michele Cassol per la fauna, Siorpaes, Da Pozzo, Cassol e Simonetta Vettorel presentano i 9 biotopi, rispettivamente torbiere, laghetti e zone umide, interessati dal progetto di salvaguardia.
Il volume, arricchito da numerose immagini e cartine topografiche, conduce per mano i lettori alla scoperta di una serie di percorsi di valore non solo escursionistico, ma anche paesaggistico, e soprattutto naturalistico-ambientale. Si passa così dal “tesoro d’alta quota” del Lago de Lìmedes nei pressi del Passo Falzarego alla flora del Col de la Sentinela sopra San Vito, per scendere poi alla cascata del Ru de Assola a Borca e proseguire lungo boschi e paludi ai piedi del Pelmo, fra Vodo e Zoppè di Cadore. Le proposte, elaborate da Martina Siorpaes e Simonetta Vettorel, si concludono infine sulle tracce della Grande Guerra nei boschi del Beco de Cuze sopra Vodo.
Il volume, completato da vari box esplicativi sulla flora, fauna, gestione regoliera del territorio, leggende e altro ancora, può fungere da stimolo per chi non cammina tra gli alberi e tra le montagne a testa bassa, ma rivolge anche un’occhiata attenta ai poliedrici e sempre mutevoli fenomeni della natura. Può essere utile al turista che frequenta la valle del Boite tra Cortina e Vodo, ma anche ai valligiani, che spesso conoscono poco l’ambiente fuori degli stretti confini paesani.
“Natura in Valle del Boite” è distribuito dalla Comunità Montana della Valle del Boite, a Borca di Cadore.

Fuori dal circuito: la Cima NE di Marcoira

Andiamo oggi a scoprire una cima che si vede già da una strada trafficata come quella fra il Passo Tre Croci e il Lago di Misurina. Alle sue pendici, molti saranno passati almeno una volta, ma pochi hanno calcato la vetta: è la Cima NE di Marcoira, o Malquoira. Quotata 2422 m, è l´ultimo risalto del ramo "ampezzano" del Sorapis. Verso Tre Croci presenta canaloni, pareti e spigoli, invece verso S scivola con un pendio erboso nell'avvallamento del Ciadin del Loudo, antico pascolo solcato dal sentiero che unisce Faloria con il Lago del Sorapis. Caratterizzata da alcune vie sulle pareti N, aperte da Casara e Castiglioni, la cima ha una "via comune", breve e di poco impegno interessante per il contesto ed il panorama. Come si raggiunge la cima? Da Tre Croci, presso la chiesetta, s'infila la strada sterrata n. 213, lungo la quale corre una nuova pista di fondo. Dopo un tratto pianeggiante, si sale per il bosco, finché la strada, ex militare, termina in uno slargo. Si prosegue per sentiero fino ad un vasto pianoro dominato dalla Zesta, caratteristica per le strane stratificazioni rocciose. Ancora un tratto in salita e poi, seguendo le indicazioni, si imbocca a sinistra il sentiero n. 216, e si risale per una mezz'ora un erto canale roccioso sistemato con travi di legno. Il canale sbocca in Forcella Marcoira (2307 m), fra la Cima SO di Marcoira, gemella della nostra, e le Cime del Laudo. Dalla forcella inizia la via normale, che impegnerà per circa mezz’ora. Seguendo tracce sui pendii si piega a destra, si passano con un po' di attenzione alcuni canalini ghiaiosi che ogni anno cambiano forma e profondità e si mira ad una sella senza nome, dalla quale scende un canalone che divide le due Cime. Proseguendo prima in obliquo e poi diritti scegliendo la linea migliore lungo il pendio erboso, erto ma non difficile, dopo due ore e mezzo scarse da Tre Croci si giunge in vetta. Lassù attendono una rozza croce e un ometto di sassi, sotto il quale c'è un piccolo il libro di vetta. Seduti sul morbido prato, abbiamo davanti i Cadini, il Cristallo, il Lago di Misurina, le Marmarole, il Popena, il Sorapis, le Tre Cime. Per tornare, si rifà al contrario la via di salita. Se a qualcuno il pendio sembrasse troppo ripido, si potrà tenere sul lato destro orografico (verso la Forcella), dove alcune rocce aguzze e un ghiaione agevolano un po' la breve discesa. Da Forcella Marcoira si torna sui passi della salita oppure, se c’è voglia e tempo, attraverso il Ciadin del Loudo si aggirano le cime omonime e fra ghiaie e mughi si raggiunge il Rifugio Vandelli, tornando poi a Tre Croci con un anello di circa 5 ore. Un consiglio se sull’ultimo tratto di salita, dove una scivolata potrebbe dare molto fastidio, si dovesse trovare l'erba bagnata, è più salutare tornare indietro e guardare la cima dal Ciadin del Loudo.

venerdì 20 agosto 2010

Simone Lacedelli, una lunga esistenza interamente dedicata alla montagna

L’unica prima salita nelle Dolomiti legata al nome della guida Simone Lacedelli, noto a Cortina come Scimon Juscia, concerne la Torre Esperia, strambo monolito alto una quarantina di metri nel gruppo del Nuvolao, alle falde del Coston d’Averau. Lacedelli giunse in cima alla torretta l’8/8/1928, con il collega Celso Degasper Meneguto (1903-1984) e le sorelle Apollonio, Emma (1893-1983) legata a lui, e Giovanna (1897-1975), futura consorte del Degasper. Ci risulta che la Torre, battezzata con il nome della villa delle sorelle alpiniste nel centro di Cortina e la cui salita presentò ai quattro una certa difficoltà, non abbia mai riscosso favori fra gli scalatori. Di recente, le vicine pareti della Croda Negra sono state riscoperte e valorizzate dai rocciatori, con numerose vie moderne, divenute in breve abbastanza popolari. Simone Lacedelli, primogenito di Antonio detto Tone d'Arone (1852-1909), guida dal 1893 al 1905, era nato nel 1887, e divenne guida nel 1912. Arrampicò e camminò sui monti fino a tarda età, promuovendo negli anni '50 del secolo scorso le escursioni con guide per valligiani e turisti: a settant’anni, aveva ancora clienti da accompagnare su vie di scarsa difficoltà, come la normale della Torre Grande di Averau. Morì quarant'anni fa, il giorno di San Silvestro del 1970, travolto da un’automobile che non lo aveva visto mentre camminava sotto una nevicata lungo la caotica Via Cesare Battisti a Cortina. Un ricordo di Giovanna Orzes Costa sul numero di Natale 1988 del semestrale “Le Dolomiti Bellunesi”, ripropose con garbo al pubblico una figura di vecchio alpigiano, mirabile esempio di una lunga esistenza interamente dedicata alla montagna.

giovedì 19 agosto 2010

Spigolo Jori 101

Lo spigolo SE della Punta Fiames, una delle strutture rocciose più caratteristiche valle d’Ampezzo, fu superato 101 anni fa, il 19/8/1909 da Miss Kathe Bröske con la guida Francesco Jori, di Alba di Canazei. Complice soprattutto la sospensione di ogni attività alpinistica a causa della Grande Guerra, sullo spigolo non si avventurò poi nessuno per oltre una dozzina d’anni. Il 3/8/1922 la guida Angelo Dibona Pilato (ormai ultra quarantenne, che aveva ripreso l’attività alla grande, dopo aver svolto il servizio militare su metà dell’arco alpino) si aggiudicò la seconda salita dell’itinerario. Gli erano compagni Enrico Gaspari Becheréto, guida da un anno, e due buoni alpinisti: l'ingegner Giulio Apollonio, che negli anni seguenti conseguì varie benemerenze in campo alpinistico come progettista di bivacchi fissi, e Agostino Cancider. Ai quattro occorsero 7 ore dall’attacco per ripercorrere il tracciato, che stranamente non era stato appannaggio di alpinisti ampezzani. La terza salita spettò ancora ad Angelo Dibona, che la portò a compimento il 6/9/1926 con due clienti, uno dei quali era il Re Alberto del Belgio. Il 29/9/1926 Dibona si aggiudicò poi anche la quarta salita, con il compagno Luigi Apollonio Longo e il britannico Edward de Trafford, mentre la quinta fu anche la prima femminile. Il 15/5/1927, infatti, Marianna Dimai, figlia della guida Antonio (Tone Deo), superò brillantemente lo spigolo in compagnia del fratello Giuseppe, guida da due anni, e del collega Celso Degasper Meneguto, patentato dal 1922. Da allora le ripetizioni della Via Jori non si contarono più, ed essa passa ancora oggi - specialmente nell’ambiente alpinistico tedesco - come una delle più remunerative arrampicate delle Dolomiti.

mercoledì 18 agosto 2010

I due poeti di pietra

Lo sapevate che anche le Dolomiti rendono imperituro omaggio a due sommi esponenti della letteratura mondiale? Un omaggio imperituro o quasi, considerato che per loro natura le rocce si modificano continuamente e crollano, soprattutto quando si tratta di guglie sottili. E le due di cui scrivo sono guglie piccole e sottili, ma sono ancora al loro posto, immobili da millenni, a sorvegliare gli alpinisti che rendono loro una visita. Si tratta di Dante e Virgilio, due torrioni che sovrastano la Forcella della Croda Bianca, nelle Marmarole. I pinnacoli si toccano obbligatoriamente scendendo dalla Croda Bianca, grande cima delle Dolomiti Orientali, “Imperioso pilastro sul fondo della Val Baion. Pala fastosa, dal profilo affilatissimo, sul versante meridionale …” (Luca Visentini). Ho avuto l’occasione di transitare ai piedi dei due poeti di pietra dopo aver ripetuto con mio fratello Federico lo spigolo SE della Croda, una grande avventura di croda. Al limite fra l'escursione impegnativa e la facile scalata, lo spigolo ha compiuto da poco cent'anni e l'anniversario è stato doverosamente festeggiato. Salito il 31/7/1910 dai fratelli calaltini Umberto e Arturo Fanton, è “… una cresta che sale a fil di cielo e armoniosamente va ad esaurirsi nella rotondità della vetta” (ancora Visentini). Sono seicento metri di II e III, con una discesa lunga e contorta, che presso i due poeti pietrificati impone il passaggio più impegnativo della giornata. Dopo una cengia rivolta verso il basso, che sul finire s’interrompe con un tratto friabile ed esposto, quindici metri di roccia solida depositano l’alpinista ai piedi dei due poeti, che da lassù sorvegliano il mondo. Dante e Virgilio si scorgono fin dal Ponte Cadore: ogni qualvolta li rivedo, memore dell'omaggio che anch'io ho reso loro, un bellissimo ricordo mi assale ...

martedì 17 agosto 2010

Torre Wundt, un nome ricco di storia

Forse è la Torre Wundt la cima che personalmente ho amato di più, salendo in vetta per 19 volte nel giro di un quindicennio. Ma essa, fino alla fine del secolo XIX, non si chiamava così. Gli antichi auronzani, sul cui territorio si erge il torrione che sorveglia i pascoli del Ciadin dei Toce, dove un tempo alpeggiavano le pecore della Val d'Ansiei, lo chiamavano Popena Piciol (Piccolo Popena). Chissà perché Popena, visto che le guglie del Popena, la Val Popena alta e bassa, il Passo e la Forcella Popena si trovano proprio sull'altro versante, a cavallo del confine di Auronzo con Ampezzo. A parte questo, soltanto nel 1893 due persone provarono a salire quel torrione che si vede bene già da lontano. Erano la guida di Cortina Giovanni Siorpaes Salvador detto “Jan de Santo”, di anni 24, e il robusto Barone Theodor von Wundt di anni 35, alpinista teutonico con due passioni: le salite invernali e la fotografia. Il torrione, che incombe per circa duecento metri sul Passo dei Toce, venne vittoriosamente salito il 27 giugno, dapprima circuendolo verso N per un canale detritico, poi per cenge, per un pendio di malagevoli rocce ed infine per una ripida, solida parete. Da centodiciassette anni si chiama Torre Wundt, per ricordare ai posteri il pioniere che ebbe numerosi meriti nell'esplorazione delle Dolomiti. Quasi mezzo secolo dopo la prima ascensione, nel settembre 1938, fu tracciato un itinerario da SE lungo la marcata fessura-camino che affianca gli ultimi passi verso il Rifugio Fonda Savio da Misurina. Oggi, quella via è praticamente l'itinerario normale per accedere ai 2517 metri della vetta, che offre un vasto panorama sulle Dolomiti ampezzane e cadorine. Le vie poi si moltiplicarono, ma la fessura Mazzorana resta ancora oggi la più seguita: sei-sette lunghezze di ottima dolomia con difficoltà moderate, sulle quali mi sono sempre divertito con amici.

lunedì 16 agosto 2010

Montagna, oggi

Mi sto rendendo conto che in questo spazio inserisco prevalentemente episodi passati, scrivo di montagne e di vie salite in anni che si allontanano sempre più, racconto di persone che scalavano le Dolomiti ormai un secolo fa. Stavolta, allora, cerco di immedesimarmi nel cacciatore di "novità" nei blog di montagna, e accenno a quello che stiamo facendo in montagna. Dato il tempo malfermo di questo agosto, ultimamente purtroppo la nostra attività è assai ridotta. Il giorno di Ferragosto, facendo slalom tra uno scroscio di pioggia e l'altro, nl pomeriggio per "disperazione" abbiamo percorso (era già la terza volta, quest'anno) l'anello della Rocca di Podestagno, al quale siamo affezionati. Novità: il Parco ha sistemato il breve tratto del Sentiero Storico sulla sinistra orografica della forra del Felizon, dove l'8 maggio avevamo trovato una frana, e sul sentiero che sale dal piazzale a N del Ponte Felizon il vento ha sradicato da poco un abete in apparenza ormai marcio, alto una ventina di metri e che ha bloccato il sentiero in due punti, ponendosi a cavallo di un tornante. Con un po' di fantasia si passa ugualmente, ma ho già segnalato il tutto al Parco, per un intervento di sistemazione. Inoltre, scendendo oltre l'incrocio con la ex ferrovia, l'acqua ha invaso un buon pezzo di stradina, formando un nuovo ruscello e obbligando a camminare sui bordi per non bagnarsi. Non ho altro, anche perché l'anello si fa in un'ora o poco più: sulla sommità della Rocca tirava vento come fosse autunno avanzato, e in tutta la gita non abbiamo incontrato anima viva, se non intorno al Cason de Castel. E' proprio pochetto, ma il Ferragosto 2010 solo questo ci ha lasciato fare. Dunque, ad maiora!

Torre Toblin, Camino Casara

Scrivo queste righe trentatrè anni dopo il 14 agosto 1977, quando - elettrizzati dai suggerimenti offerti dall’alpinista Severino Casara che avevamo conosciuto esattamente un anno prima - ripercorremmo la Via Casara-Baldi-Rosenberg per camino N alla Torre Toblin, alle spalle del Rifugio Locatelli. Avevamo trentasei anni in due, diciassette Enrico e io due di più; due settimane dopo una guida ci avrebbe condotto sulla Via Miriam alla Torre Grande d’Averau (per ambedue il “battesimo del fuoco”), e la Torre Toblin ci sembrò un bell’esordio. Mi chiedo che cosa avessimo trovato in quella “cloaca di corvi”, come l’ha descritta Richard Goedeke nella sua guida delle Dolomiti di Sesto del 1983. Ricordo vagamente un cunicolo stretto e buio, di roccia sporca e friabile, dove con lo zaino si passava a stento e il gusto della salita era sopraffatto dal tormento di uscire senza danno da quel putridume. Forse la cordata di ragazzi vicentini che l’aveva scoperto oltre mezzo secolo prima, l’aveva giudicato interessante: a noi piacque assai di più l’audace ritorno a corde doppie su chiodi residuati dalla Grande Guerra, dove due estati dopo sarebbe stata inaugurata una via ferrata che - sfruttando le memorie belliche - ha fatto conoscere la Torre ai ferratisti. Ricordo le fotografie che eseguimmo e mandammo a Vicenza al vecchio Casara, contento che qualcuno si ricordasse di lui: noi due, carichi di roba su una vetta importante per la guerra ma non certo per l'alpinismo, che sembravamo reduci da chissà che impresa. Oggi, in tempi che rifiutano quel genere di salite, non sarebbe proponibile ricalcare le nostre orme: la ferrata sul versante opposto della Torre è certamente più sicura e panoramica. Se qualcuno però salisse il Camino Casara, gli chiederei di verificare se sia ancora lassù il primo dei due chiodi che piantai nella mia carriera alpinistica, per sostare in sicurezza lungo un tubo ghiaioso senza luce né qualità!

Tone Belòbelo, un personaggio

Antonio Soravia detto "Tone Belòbelo" (1821-1903), fu uno dei portatori dell’epoca d’oro dell’alpinismo ampezzano. Non è noto quando abbia cominciato a praticare la professione: nel primo elenco ufficiale delle guide operanti in Ampezzo, datato 1.3.1876, il suo nome non c'è. Nel ritratto delle guide alpine autorizzate in servizio nel 1893, il buon Tone invece è in seconda fila: e aveva 72 anni. Secondo Fini e Gandini, che hanno ripercorso in dettaglio le vicende di oltre 150 professionisti della montagna di Cortina, il nostro, più che per le ascensioni - che probabilmente fece in numero ridotto – può essere ricordato come uomo dalle cento attività e dai mille mestieri (tra cui c'era “anche” quello di guida alpina), e per lo stile di vita, che ne fece un po’ un personaggio nell'Ampezzo della belle èpoque. La ricostruzione della sua carriera, come di quella di altri colleghi, non è agevole, giacché si ritrovano ben labili tracce. Il ceppo familiare è estinto, chissà se c'è e dov'è il libretto di guida, quindi – consultate le magre, ma essenziali notizie acquisite dai succitati – riesce fumoso delineare la figura del Belòbelo come portatore alpino. Piace comunque immaginare che fosse un uomo galante, apprezzato per le sue battute e i suoi motti di spirito, disponibile anche a settant’anni ad accompagnare i clienti – o forse, meglio, le clienti – a Volpera, alla Grotta della Tofana, alla Porta del Dio Silvano oppure, arditamente, in cima alla Tofana de Rozes o su qualche altro monte in voga. Lo vedo – giunto alla meta – discorrere con i “touristi” d’Oltremanica raccontando sapide avventure di croda, dar di bocca alla fiaschetta di grappa e fumarsi in pace la pipa, mentre intorno i clienti s’industriano a lasciare il biglietto sotto l'ometto della cima, ritrarre il panorama, raccogliere dati meteorologici, botanici o toponomastici: e Tone se la ride sotto i baffi!

Ernesto Majoni

domenica 15 agosto 2010

La Porta del Cristallo e la discesa fallita

La Porta del Cristallo è un alto crepaccio roccioso, in cui s’incanala il rio alimentato dalle nevi che riempiono il colatoio tra la Cima principale e quella mediana del Cristallo. I primi a traversarla a scopi alpinistici, per studiare la parete SW del monte sovrastante, furono probabilmente Leone Sinigaglia e le guide Pietro Dimai de Jenzio e Zaccaria Pompanin de Radeschi, nel 1893. Il luogo è poco visitato, vi passano i camosci e dal punto di vista esplorativo la zona è ancora molto selvaggia. Nel 1980 e nel 1981, in allegra brigata, scavalcai anch'io la Porta. Saliti verso il Passo del Cristallo fino al Col da Varda, traversammo i pascoli verso la scomoda cengia a volta che introduce nel catino sopra il crepaccio, entrambe le volte coperto di neve, essendo ancora primavera. Ci calammo in fila nella spaccatura, superando due strettoie: non trovammo difficoltà oltre alla neve e al ghiaccio, ed uscimmo fradici ma senza problemi sulla pista di sci che scende a Rio Gere. Nel 1994 tornai lassù con Claudio, Denis e Roberto. Avevo letto su una rivista che, in seguito all’ablazione delle rocce da parte dell’acqua di fusione e a qualche frana, lo scavalcamento della Porta comportava ora difficoltà di IV. Non mi pareva però possibile che – pur dopo una dozzina d'anni - il passaggio che allora avevo superato tranquillamente, tra l'altro con scarpe inadatte alla bisogna, fosse diventato improvvisamente così scabroso! Mi abbassai sul bordo del salto, tentando di uscire a destra e a sinistra, ma desistetti, poiché la discesa per quelle placche ripide e levigate richiedeva capacità d'arrampicata libera superiori alle mie. Non riuscendo ad indicare agli amici il varco dove ero passato a vent’anni in condizioni invernali e con le Clarks, traversammo per cenge con tracce di camosci sui ripidi pendii che limitano il catino, uscendo presso i paravalanghe alle spalle del Rifugio Sonforca. Fu coomunque una gita originale e divertente, ma rimasi deluso che il “difficile passo d’appoggio”, citato nella relazione della Via Sinigaglia-Dimai-Pompanin al Cristallo, in pochi anni fosse aumentato di un grado o forse anche di due.