sabato 11 settembre 2010

Quale sarà il vero nome di questo utensile?

Davanti alla porta d'ingresso di alcune vecchie case ampezzane, fra le quali anche quella di chi scrive, in pieno centro a Cortina, si può trovare saldamente cementato un utensile che ha certamente origini molto antiche ma oggi, purtroppo, non viene più utilizzato. Esso serviva ai nostri predecessori per pulire le calzature, quotidfianamente imbrattate di fango, terra, deiezioni animali o altro, prima di entrare in casa. Qualche anno fa, due persone mi avevano chiesto se per caso conoscevo la definizione di quest’utensile in ampezzano, poiché i vocabolari del nostro idioma non registrano la voce. Ho dovuto ammettere che non ne ho idea, ma mi è rimasta la curiosità di indagare e, interrogando alcuni paesani, ho suscitato un piccolo dibattito, appurando comunque che forse un nome vero e proprio di quell'utensile non esiste. Ho avuto poi anche la conferma che non è sicuramente un utensile esclusivo della nostra zona (in Carnia, ad esempio, c’è e viene detto semplicemente "il fier"). Ne ho fotografato, infatti, uno simile addirittura all’ingresso della Cattedrale Evangelica di Sibiu in Valacchia (Romania), bellissima città fondata da cavalieri teutonici col nome di Hermannstadt, dove l’influenza architettonica e culturale tedesca è massiccia ed evidente. L'ho denominato “fer da se netà i scarpe” e con questo nome vorrei consegnarlo alla memoria storica, ricordando la sua quotidiana importanza nel passato delle nostre comunità.

venerdì 10 settembre 2010

La Punta Armando, ieri e oggi

Nell'ottobre di sessant'anni fa, vicino a Belluno, decedeva in un incidente stradale Armando Apollonio, venticinquenne. Ultimo di tre fratelli tutti Scoiattoli, dopo Claudio e Romano (scomparso giovanissimo negli ultimi giorni della 2^ Guerra Mondiale), fin dal 1943 Armando - detto "Bocia" - aveva partecipato all’apertura di diverse vie alpinistiche con Ettore Costantini, Bortolo e Ugo Pompanin e altri. Nel dopoguerra, Beniamino Franceschi, Luigi Ghedina, Lino Lacedelli, Guido Lorenzi, Angelo Menardi Milar e Albino Michielli vollero dedicare al suo ricordo una montagna inviolata. Salirono e battezzarono quindi la Punta Armando, marcato risalto della cresta SW del Campanile Dimai del Pomagagnon (salita da Federico Terschak con A. Mayer nel 1910), su cui giunsero dal versante di Cortina per roccia a tratti friabile. Secondo la guida “Berti”, la via venne aperta il 6/5/1950: analizzando la storia, un tempo propendevo per posticipare di un anno l’ascensione della Punta, dopo la morte di Apollonio, ma poi ho avuto il dubbio che, viste le condizioni d’innevamento di quella primavera, ai primi di maggio 1951 non fosse semplice girare per i monti. Quale che sia la data dell'ascensione, l’interesse per la Punta rinacque l'11 aprile 1976. Due mesi prima di partire per la sfortunata spedizione all’Huascaran, Raniero Valleferro e Alberto Dallago aprirono un’altra via sulla stessa parete: un terzo itinerario è stato forzato infine nel 2002 sul versante di discesa, quello che cade sulla Graa de Lonjes, dai cadorini Angelo Zangrando e Cristina Bacci. Penso che nessuno salga più la Punta Armando, ed essa non ha importanza per gli alpinisti. Ne scrivo perché quel risalto, visibile fin dal centro di Cortina, oggi ricorda otto ampezzani tutti scomparsi: Bocia, Mescolin (+ 2001), Guido Lorenzi (+ 1956), Strobel (+ 1964), Angelo Milar (+ 1986), Raniero Sfero (+ 1976), Bibi (+ 2009) e Lino de Mente (+ 2009).

giovedì 9 settembre 2010

Col de Lasta e Col Mareo, un'idea per l'autunno

Viene salito più dagli scialpinisti che dagli escursionisti, ma a me interessa soprattutto come breve e simpatica meta a piedi per chi si trova nei dintorni del Rifugio Sennes e ha un'oretta di tempo da spendere. Indicato soprattutto per chi soggiorna al rifugio e vuole godersi un bel tramonto, il Picio (Piccolo) Col de Lasta è un rilievo poco marcato, d'interesse unicamente panoramico, che domina l'Alpe di Sennes e il rifugio omonimo, e offre un'escursione interessante e senza difficoltà. Dal rifugio varie tracce più o meno marcate rimontano il costone detritico NO del Col, raccordandosi in alto con altre tracce che salgono dal Rifugio Munt de Senes sul lato N e portano sulla vetta. Rinomato come “campo scuola” di scialpinismo e piuttosto solitario (una domenica d'agosto di qualche anno fa vi salii da solo, e non trovai assolutamente nessuno), il Picio Col de Lasta offre interessanti aperture sulle montagne di Fanes-Sennes-Braies e d´Ampezzo. Chi avesse ancora voglia di camminare e visitare un luogo nuovo, può proseguire dal Col per facile cresta, giungendo in breve in cima al misconosciuto, poco più alto Col Mareo, ornato di una croce con iscrizione in ladino: un luogo che ho trovato ancora selvaggio e ambientalmente affascinante.

mercoledì 8 settembre 2010

Ricordo di "Sisto Laresc"

Il 7 settembre è scomparso Sisto Zardini "Laresc", una delle ultime guide alpine ampezzane della vecchia generazione. Classe 1919, guida dal 1945 e maestro di sci, fu uno dei pochi maestri d'alpinismo locali a non essere ammesso al gruppo degli Scoiattoli. Segretario per tanti anni del Corpo Guide Alpine Ampezzane, nella sua attività accompagnò migliaia di adulti e bambini sulle cime, sulle forcelle, nei rifugi delle Dolomiti, nell'ambito delle gite accompagnate lanciate dalle guide negli anni '50. Nel 1975 visse con la famiglia il grande dolore della scomparsa del primogenito Raffaele. Scoiattolo e guida, il "Larejeto" cadde a soli 26 anni sui prati di Mietres, durante un volo col deltaplano. Recentemente, Sisto ebbe la soddisfazione di vedere entrare nelle file degli Scoiattoli e delle guide anche il nipote Ruggero, forte arrampicatore. Di "Sisto Laresc" ricordo un flash, che risale al 5 giugno 1999. Quel giorno fu inaugurato con una festicciola il ristrutturato sentiero 204, che unisce la Poussa de 'Sumeles con la Forcella omonima. Per rimettere in sesto il sentiero, molto degradato, il CAI Cortina aveva incaricato la valente squadra di Armando, Luca e Luciano, che terminò il lavoro nel novembre precedente. Con mia moglie ed alcuni amici scegliemmo di raggiungere Zumeles da Mietres, risalendo la ripida e scivolosa pala che guarda Cortina. Mentre stavamo sudando sull'erto sentiero, ci sorpassò di gran carriera un uomo piccolo e magro, senza zaino, con una maglietta blu e una bandana, che ci disse con aria di sfida “Ocio bòces, che passo ió ...” ("Attenzione, ragazzi, passo io ..."). Quell'uomo era Sisto Laresc, e aveva quasi ottant'anni.

martedì 7 settembre 2010

Col Rosà, da nord (un progetto)

25.457 ha di superficie per un comune sono molti e, infatti, Cortina è uno fra i comuni più estesi d’Italia. Essendo poi montuoso, ciò significa che le montagne che lo ricoprono sono molte. Se sono molte, mettendoci anche il massimo impegno non basta una vita per esplorarle tutte: è la constatazione che mi scopro a fare qualche volta, pensando alle cime, cenge, forcelle, sentieri, valloni che caratterizzano il territorio d’Ampezzo. Le esplorazioni che mi mancano sono incasellate in un’apposita “directory” del cervello, e spero di poterle presto o tardi tirar fuori e completare. Un esempio: ricordo che, spesso, mio padre diceva di aver percorso, non senza difficoltà, un accesso al Col Rosà dalla Val di Fanes, sul versante N, in vista dalla strada che da Pian de Loa risale la valle. Quel percorso, che ricordo appena marcato su qualche vecchia carta topografica, dovrebbe essere stato utilizzato in guerra, giacché il Col Rosà si trovava proprio sul fronte, ma non ho mai trovato notizie su un’eventuale possibilità di transito da quel lato, che - seppure piuttosto ostico - non sembrerebbe intransitabile. Fasce di roccia si alternano a ripidi mughi, ma penso che, zigzagando fra le une e gli altri, in qualche modo quella facciata si riesca a percorrere. Ogni tanto, mi torna in mente quella possibilità: ne è a conoscenza un amico, appassionato come me di stranezze escursionistiche, ma intanto il tempo passa e ancora non mi sono deciso. Ovviamente, se mai provassi, lo farei in salita, in modo da non essere magari obbligato a scendere dalla cima verso il basso e poi risalire, perché non si passa. Il versante N del Col Rosà, sotto il vasto terrazzo barancioso dove sbocca la ferrata “Bovero”, calamita lo sguardo, ogni qualvolta passo ai suoi piedi. Ultimamente, all’inizio dell’estate, me lo sono nuovamente osservato dai pressi di Progoito e mi sono visto in mezzo a quella “barancera”, ad armeggiare su uno dei tanti recessi reconditi di Cortina, dove di sicuro nemmeno in agosto nessuno ti contende il passo.

Cara "via Mazzorana-del Torso", buon 72°!

Esattamente settantadue anni fa, il 7 settembre 1938, la guida alpina auronzana ventottenne Piero Mazzorana saliva col cliente e amico udinese Sandro del Torso, di 55 anni, la fessura SE della Torre Wundt, affacciata sul Passo dei Tocci dove un quarto di secolo più tardi sarebbe sorto un rifugio, dedicato ai Fratelli Fonda Savio. La via venne ripetuta per la prima volta nel 1942 dai mantovani Pavesi e Carreri, e in invernale nel 1956 da due triestini: non mi è noto il primo salitore solitario. Personalmente la scoprii con Mario Sanvito di Bologna il 12 agosto 1981 e già durante quell’estate la ripetei altre due volte, che diventarono diciannove entro il 1996. Ho prediletto la Torre, e specialmente la "fessura Mazzorana", come poche altre, e credo che - nonostante la prossimità al Rifugio e l’attrezzatura con chiodi e spit, che l’ha un po’ relegata al ruolo di comoda falesia - la Torre Wundt rimanga ancora una cima alpinisticamente e storicamente importante. Dal canto mio, su quelle rocce mi sono sempre veramente divertito, e ricordo la Wundt con notevole emozione.

lunedì 6 settembre 2010

Thurntaler

“Ieri siamo andati in Austria”. Sembra l'inizio di un tema delle elementari, ma mi serve per raccontare che ieri, 5 settembre, siamo saliti sul Thurntaler (2407 m), una “... cima panoramica a E della Pausa Alta/Hochrast, situata appena oltre la cresta di confine. Di esclusivo interesse panoramico, facilmente accessibile da più versanti, è molto frequentata grazie ai numerosi sentieri che salgono sia dalla Pustertal che dalla Villgratental ...” (F. Cammelli - W. Beikircher, Alpi Pusteresi - Vedrette di Ries, CAI-TCI - 1997, pag. 426). Per l'occasione abbiamo fatto un anello, partendo dalla stazione superiore della cabinovia che da Sillian sale al Panorama Restaurant Gadein (2050 m circa). Da qui, in un'ora e dieci minuti (il preciso cartello segnaletico all'inizio del sentiero ne segna, inspiegabilmente, due) siamo giunti sulla vetta, occupata da un enorme fabbricato in costruzione, capolinea di una nuova seggiovia a 6 posti. La vetta riserva un panorama verso le montagne della Villgratental e della Lesachtal, le Alpi Carniche, le Dolomiti di Sesto e il Grossglockner che merita davvero. Non sapendo dove fermarci a causa del forte vento, siamo subito scesi sottocresta, incrociando diversi fuoristrada che portavano in vetta appassionati del parapendio. Centotrenta metri sotto la cima, poco lontani dalle piste ci sono i famosi “Drei Seen”, il richiamo della zona: di essi il laghetto mediano, Klammsee, è il più carino, incastrato com'è in una gola rimasta solitaria nonostante la prossimità agli impianti sciistici. Fuori sentiero, siamo passati dal Kuhsee e infine rientrati per la stradina che si dirige verso il ristoro Thurntaler Rast e la Villgratental. Sono soddisfatto di avere salito la cima, che geograficamente appartiene ai Monti di Casies e mancava dal mio carnet: l'ambiente è pesantemente sfruttato poiché viene utilizzato perlopiù d'inverno quando le ferite non si vedono, ma non è peggiore di tante zone dolomitiche vicine a noi, anzi: sulle piste brucano le mucche e sotto la vetta c'erano segni del passaggio di camosci, quindi un po' d'erba cresce comunque per riparare i danni. La visuale dall'alto, 1300 m sopra la Pustertal, è molto ampia, e può suggerire idee e progetti per vagabondaggi alpini sempre nuovi. E poi, la cabinovia da Sillian collega in breve tempo il fondovalle con la montagna: visto che c'è, tanto vale usarla. Non abbiamo certamente trovato la “solitudine alpina” né una zona da Parco Naturale, ma ne è comunque uscito un bell'anello, fuori dalle solite rotte, senza difficoltà e interessante per i panorami.

Tonin Selo e le montagne

Antonio Menardi, detto Tonin Sèlo e vissuto dal 1856 al 1930, svolse una professione poco usuale in Ampezzo: fu, infatti, un "crumar", ossia un venditore ambulante. Non so esattamente quali mercanzie propagandasse e dove le portasse: immagino però che siano stati l’allenamento fisico e l’acquisita conoscenza dei passi e delle forcelle che collegano la valle d'Ampezzo con quelle vicine, ad indurlo a chiedere la licenza per esercitare anche il mestiere di portatore, che conseguì nel 1890. Contava allora 34 anni, aveva già famiglia, e i guadagni – al tempo solo estivi - derivanti dal portare sulle vette le scarpe chiodate e le masserizie dei "sciore", gli avranno sicuramente permesso di elevare il tenore di vita e garantirsi una sicurezza in più, nella Cortina di fine ‘800. Il Sèlo fu al servizio degli alpinisti per quattro lustri, cessando l’attività a cinquantatrè anni. Il suo nome e il suo volto appaiono in varie immagini e documenti inerenti alle guide dell’epoca: nella “Tariffa per le guide di montagna del Distretto Giudiziario di Ampezzo” emanata il 26/4/1898, il quarantaduenne Tonin è uno dei 5 “portatori e guide per montagne basse” autorizzati. Nella storica fotografia delle guide ampezzane, scattata il 2/11/1901 davanti all’Osteria al Parco, invece è il primo in piedi a sinistra: barba e cappello come gli altri, sguardo fiero e lungo alpenstock in mano. Non avrà raggiunto il livello tecnico di Barbaria, Dimai, Dibona, ma sulle crode fece certamente fatica come loro e si guadagnò un posto onorevole nella lista dei professionisti dei nostri monti. Qualche anno fa, Emma Lacedelli Menardi (Ema Juscia), scomparsa ultracentenaria nel 2001 e attiva con la penna fino a pochi anni prima, scrisse un articolo in ampezzano sulla figura di Tonin Sèlo, e a voce mi raccontò che lo ricordava bene, giacché era stato suo vicino di casa ed era "na bona parsona". Forse più di uno sfavillante palmarès di imprese estreme, possono bastare poche parole come queste a identificare una bella figura del tempo che fu.



Ernesto Majoni