sabato 30 agosto 2008

Eckhorn, chi ti salì per primo?

Chi mai sarà salito per primo sul Corno d’Angolo, e perché? La cima in questione, pilastro del gruppo del Cristallo, sorveglia dall’alto dei suoi 2430 metri la Strada 48 delle Dolomiti all’altezza del torrente Rudavoi. Si consegue dal lato nord, salendo dalla Sella di Val Popena Alta per un vallone erboso e sassoso e da ultimo per facili roccette, che in una cinquantina di metri adducono all’esile vetta. Fino agli anni ‘30, il Corno non interessò alpinisticamente nessuno, anche perché le sue pareti, pur problematiche, non promettono rocce molto solide. L’unico che ebbe il coraggio di affrontarle fu Emilio Comici, che il 20/IX/1933 superò verticalmente, con Sandro Del Torso, lo spigolo sud, realizzando una via di V grado con un passaggio più difficile e “pericoloso, perché difficilmente i chiodi tengono” … Bel biglietto da visita! Nel 1955 poi, due austriaci aprirono un itinerario sul lato sud-ovest, del quale non esistono notizie dettagliate. Potrebbe comunque essere migliore dello spigolo Comici, ma nessuno ha mai avuto l’interesse e l’ardire di andarselo a cercare. Dicevo, chi sarà mai giunto per primo sul Corno d’Angolo, Eckhorn in tedesco, e perché? Cacciatori, penso; forse anche il valoroso Michele Innerkofler, che centoventicinque anni fa si aggirava inquieto tra quelle vette, dove salì da solo la vicina Croda de Pousa Marza e una delle due Torri di Popena. Lo spigolo era fuori della sua portata, ma sul Corno da nord poteva arrivarci eccome, magari seguendo le tracce di sangue lasciate da un camoscio ferito! Questo del Corno d’Angolo, la cui “via normale” – peraltro intuitiva: per trovarla, basta seguire gli ometti e le tracce - nelle guide alpinistiche circolanti non si trova , è uno dei piccoli “vuoti” della storia alpinistica dolomitica, che non è facile dipanare.

giovedì 28 agosto 2008

Rifugio Nuvolau: 125 anni di storia e una statua

E' ricorso da poco il compleanno del Rifugio Nuvolau, primo ricovero costruito in quota nel territorio d’Ampezzo, eccettuato il più antico Ospizio Falzarego sulla strada del Passo omonimo.
Il genetliaco è particolare, forse più familiare agli ambienti alpinistici dell’area germanica: non si ricordano, infatti, né i cinquanta né i cento, bensì i 125 anni del Rifugio, che aprì i battenti agli escursionisti l’11 agosto 1883.
Facciamo subito un po’ di storia. All’inizio degli anni Ottanta del diciannovesimo secolo, il colonnello Richard von Meerheimb di Dresda, che era riuscito a debellare una penosa malattia alle gambe trasferendosi in Ampezzo, volle tramandare ai posteri la sua riconoscenza alla valle che l’aveva ospitato, e la cui aria benefica aveva potuto respirare per lunghi mesi.
Il generoso Meerheimb elargì quindi alla locale Sezione del Club Alpino Tedesco e Austriaco, sorta da pochi mesi ma già dedita con fervore alla valorizzazione del territorio di competenza, una discreta somma di denaro, fissando l’obbligo d’impiegare il contributo per costruire un ricovero alpino.
Sotto la presidenza di Giuseppe Ghedina Tomasc, il celebre pittore che nell’occasione realizzò una splendida carta dei sentieri della valle, sorse così il primo rifugio di Cortina, autentico nido d’aquila edificato sulla sommità di un monte, rinomato per il panorama a giro d’orizzonte che offre: il Nuvolau.
Già Paul Grohmann, infatti, aveva decantato il Nuvolau nelle sue “Wanderungen in den Dolomiten” del 1877, con queste parole “… Un mare di montagne è davanti a noi, e sarebbe inutile volerle elencare o descrivere. Soltanto la macchina fotografica potrebbe fissare le nostre impressioni. Alla nostra destra e sinistra abbiamo, ben nitide, le due cime del Nuvolau (l’Averau e la Gusela, N.d.A.). Imponente e grandiosa, davanti, la vedretta della Marmolada, tutta intera, ed i selvaggi contrafforti di Serauta e del Vernel. Più a destra, il gruppo del Catinaccio, il Sella col Boè, la Gardenaccia e la Croda Rossa. Altre montagne si levano davanti a questa cerchia possente, la catena del Monte Cappello (il Sas Ciapel) fra Fedaia e Livinallongo, il verde Passo del Pordoi, il Sasso di Stria, i Settsass, il Col di Lana ecc. … A sinistra, oltre la Marmolada, il gruppo delle Pale di San Martino con un piccolo ghiacciaio, poi il Pelmo, e via via l’Antelao, il Sorapiss, la Punta (la Cima) Bel Pra, i Cadini, il Cristallo, le tre Tofane. In fondo, lontano, il Duranno e cime nevose a intervalli. E questi ora citati non sono che i giganti che ci circondano …”
Memore del gesto del colonnello, la Sezione Ampezzo battezzò la costruzione “Sachsendankhütte”, ossia il “rifugio del ringraziamento del Sassone”. La festosa giornata inaugurale, purtroppo, fu rattristata dalla scomparsa della guida alpina Giuseppe Ghedina Tomasc, omonimo del Presidente del Club Alpino e primo salitore della Torre Grande d’Averau, il 17 settembre 1880. La guida appena quarantunenne precipitò, infatti, per motivi non molto chiari, dalla terrazza antistante il Rifugio, che cade a piombo sul Masarè dell’Avoi.
Trovandosi in prossimità della prima linea del fronte italiano, durante la Prima Guerra Mondiale il rifugio fu pesantemente danneggiato. La Sezione del CAI Cortina, riconfermata proprietaria al termine del conflitto, lo rimise a nuovo, con un lungo lavoro e sopportando ingenti spese, e soltanto nel 1930 riuscì ad offrire agli alpinisti una capanna più grande e accogliente di prima.
Circondato e quasi oppresso da altri rifugi, impianti di risalita e piste, oggi il Nuvolau è ancora uno degli edifici d’alta montagna più apprezzati delle Dolomiti. Vi si sale sempre e soltanto a piedi, la gestione trentennale della famiglia di Mansueto e Giovanna Siorpaes è preparata e cortese, e anche se il rifugio non è un punto di partenza per affrontare scalate di rilievo, il grandioso colpo d’occhio che si schiude dalla cima del monte, soprattutto in occasione della levata del sole, rende sempre emozionante l’ascensione lassù.
Una curiosità: fra i massi poco lontano dal rifugio, campeggia una singolare scultura bronzea, che reca l’iscrizione “Per la 800^ salita al Nuvolau – “Non fatica ma gioia” 1975”, e vanta una storia interessante e perlomeno curiosa.
La statua, opera dell’artista Natalino Sammartin di Montecchio Maggiore, fu fatta installare nell’estate 1975 da Riccardo Dalla Favera di Alano di Piave, che intese celebrare la sua … ottocentesima visita alla panoramica montagna, festeggiata coi gestori e gli amici agordini, e in occasione della quale lasciò anche un contributo al CAI per la ristrutturazione del rifugio.
Il generoso donatore aveva salito il Nuvolau per la prima volta negli anni ’30, durante il servizio militare volontario con i bersaglieri. Al Rifugio, riaperto da poco dopo la ristrutturazione postbellica, il giovane era arrivato salendo in bicicletta da Cortina attraverso il Passo Giau, e scendendo poi a Caprile.
Dalla Favera ebbe una vita movimentata. Laureato in agraria e veterinaria, appassionato ciclista, corse anche con Gino Bartali. Fu prigioniero per sei anni in India e al rilascio, quasi cadavere, fu ospitato per due mesi dal medico condotto a Colle Santa Lucia. Affezionatosi al paese, dal 1946 ogni anno vi trascorse le vacanze, eleggendo a cima preferita proprio il Nuvolau.
Dopo la posa della scultura, Dalla Favera non l’abbandonò, salendovi ancora per molti anni, fino a toccare l’incredibile primato di 1129 ascensioni. A Colle era ospite dell’Albergo Posta, fino al 1976, quando poté costruirsi una dimora assai originale, abbellita con numerose statue dell’amico Sammartin.
Nel 2000 si stabilì in paese in modo definitivo, perché era suo desiderio chiudere lassù l’esistenza, e vi morì novantenne nel giugno 2002. Riposa nel cimitero sul colle, e soltanto la chiesa gli toglie la vista del suo amato monte.
Nel ricordo di lo chi conobbe, Dalla Favera rimase un atleta fino a tarda età; saliva al rifugio in calzoni corti, amava bere una grappa zuccherata e pranzare sempre allo stesso tavolo. Spesso i clienti lo riconoscevano, per averlo visto pedalare sui passi dolomitici. I libri del Nuvolau riportano tutti i suoi passaggi, e molti collesi lo ricordano con simpatia e con ammirazione.
(da Rivista Cortina, Estate 2008, modificato: grazie!)

Un gradito incontro

Ieri, dopo molti anni da quel 22 agosto 1991 al Brandenburgerhaus (il più alto rifugio del Tirolo austriaco, ai piedi della magnifica Weisskugel), ho rincontrato Fabio. L'infaticabile alpinista e prolifico scrittore di montagna sta lavorando ad un nuovo libro sul Cristallo, al quale assicurerò con piacere tutta la collaborazione possibile. Intanto, in questa strana estate Fabi0 e un amico pusterese si sono "macinati" tutte le venti e passa vie di roccia e ghiaccio - oggi in gran parte neglette - del Monte, più il Popena. Mi ricorda il leggendario Michl Innerkofler, che salì sul Cristallo, peraltro quasi sempre a pagamento, venti volte l'anno per un quindicennio ... Un po' di invidia la nascondo, da "autoctono" salito finora lassù "solo" cinque volte! Con Fabio ci seguiamo a distanza: io mi servo dei suoi preziosi libri sui monti dell'Alto Adige per le mie scorribande, lui tiene d'occhio il blog e quanto scrivo in giro. L'anno prossimo ci siamo ripromessi di tornare insieme a quota 3216, dove manco dal 1996!

Amarezze

Qualche volta mi pare di essere un po' nauseato dalla Montagna. Una certa pigrizia, forse colpa degli anni che corrono; qualche acciacco, che insorge magari proprio d'estate; gli impegni legati al lavoro e al volontariato, sempre più spesso m'impediscono di realizzare determinati progetti, che tempo addietro studiavo e attuavo con determinazione ed entusiasmo. Un tempo scrivevo poco e giravo molto: oggi, parlare e scrivere di montagna mi fa sempre bene al cuore, ma spesso non basta più, perché le stagioni volano. Che fare? Una cosa comunque è sicura: quando sopporto troppo a lungo certe miserie del mondo, la bassezza e la mediocrità di qualcuno, "mi basta un sasso tra le mani e sono felice" (Renato De Pol, 1972).

mercoledì 27 agosto 2008

Piz Popena '95

Domenica 27 agosto 1995, con l’amico Carlo salivo per la prima e unica volta la via normale del Piz Popena, uno dei “tremila” più affascinanti delle Dolomiti. Più che le difficoltà tecniche, non ho dimenticato la lunghezza e l'impegno dell'itinerario, nonché l'ambiente severo e complesso, da consigliare a chi ama ascensioni solitarie e “primigenie”. Dopo d’allora sono passato altre volte ai piedi del vasto versante orientale del Piz, scalato dal “mio amico” Santo Siorpaes Salvador con il collega Christian Lauener ed il cliente Edward R. Withwell il 16 giugno 1870. Scrutando dal basso le lunghe cenge e le ampie pareti della montagna, ho provato una grande soddisfazione per la giornata d'allora, mista all'inevitabile e ricorrente pizzico di nostalgia per l'unicità del momento.