sabato 24 aprile 2010

Bus del Diau, storia e leggenda

Per ragioni di lavoro, almeno due volte alla settimana passo sotto la parete S dell’Antelao. E mi vengono in mente varie cose: il Bus del Diau, antro di leggendaria memoria dove Phillimore, Raynor e le guide, capitanate dall’indomito Tone Deo, bivaccarono nell’agosto 1898 prima di attaccare la chilometrica parete; Bettella, Barbiero, Scalco, Casara, Fanton, Cozzolino, Bee e chi su quella grande parete si è arrampicato nel corso del Novecento. Infine il Bivacco dedicato ai padovani Brunetta, appollaiato su una sella baranciosa sotto il Bus, a picco sulla valle. Al Brunetta arrivammo in tre, in una calda giornata di giugno 1984, dopo aver superato con fatica oltre mille metri di dislivello fra ghiaie, mughi ed una lingua di neve che ancora resisteva alla testata del rio, rovinato lo scorso anno sulle case di Cancia. Oggi il bivacco non c’è più: lo spostamento d’aria dovuto ad una slavina sulla parete soprastante, l’ha frantumato in mille pezzi e scaraventato lungo la china, e nessuno si è più preso la briga di rimetterlo dov’era. Se proprio vogliamo dirla, quel dado di lamiera non aveva gran senso: lo usavano i rari aspiranti a qualche via della sud, fra i quali il compianto amico Luciano (che vi dormì con Ivano prima di impiegare un giorno intero per toccare la vetta del “Re”), ma escursioni là presso non se ne possono fare, e il previsto anello attrezzato che doveva legare la sella alle Laste della normale dell’Antelao, è rimasto una pia intenzione. Non sono più tornato lassù, né ho mai esplorato il Bus, che dicono interessante; mi sono limitato invece a percorrere alcune volte, specie in autunno, la bella “alta via” che unisce Resinego a Vinigo attraverso il Bosco Nuovo, in parte su tracce militari. Si tratta di una lunga passeggiata ai piedi della più alta vetta del Cadore, che mi sento di raccomandare.

venerdì 23 aprile 2010

Il puzzle infinito di Giovanni

Giovanni Sottsass, Il puzzle senza fine, Grafica Sanvitese - San Vito di Cadore, 2010, 76 pagine con fotografie a colori, 10,00 euro.
Presento con commozione questo libro ("Quasi un diario. Quasi una collana di versi. Quasi un testamento") sul mio blog, anche se non riguarda la montagna, per due motivi. La prima: è la testimonianza, in prosa e in poesia, di un’esistenza irta di ostacoli e interrotta anzitempo; la seconda: Giovanni era un amico. Amico personale; amico dell’Istituto che dirigo, al quale faceva spesso visita e donò una poesia da pubblicare sulla rivista semestrale; amico di tutti coloro che con una parola, un sorriso, una stretta di mano potevano alleviare anche per un istante la sua indicibile pena interiore.
Ad un anno e mezzo dal commiato, grazie all’amore dei familiari e allo zelo di Antonio Alberti, che ha curato il volume, i pensieri e le parole del giovane ampezzano riescono a farcelo sentire ancora vicino. Collegando le tessere di un “puzzle senza fine” (... mi sono accorto che vivere / è come fare un puzzle / sul più bello ti accorgi / che manca un pezzo …), emerge di primo acchito l’intelligenza e l’acuta sensibilità di un uomo che a 34 anni ha deciso di por fine ad una vita tribolata, in cui quello che era non era quello che avrebbe voluto essere, e che forse non è mai stato.
Giovanni si rifugiava spesso nei versi per trasmettere emozioni intense e sensazioni penetranti. Come rileva il curatore, i passaggi di questa silloge in bilico fra prosa e poesia si pongono talvolta come un semplice diario, talaltra molto più intensamente, altre volte ancora in modo sconvolgente per la concretezza, lucidità e consapevolezza dei problemi del protagonista; altre volte infine, in modo superbo per la liricità delle immagini e intuizioni poetiche (vedi gli aforismi a pag. 28 e “L’uomo e il mare” a pag. 34).
Senza impelagarsi in troppe domande, Alberti - come noi - immagina con quanto “male dentro” Giovanni abbia vissuto il proprio rapido percorso esistenziale, la commedia della vita in cui non è riuscito a trovare un porto sicuro. Spesso dalle sue parole sprizza ugualmente la gioia, purtroppo relativa, di essere anche così com’era; una persona, un uomo inquieto, conscio di poter dare amore, che difficilmente sarebbe stato ricambiato.
La donna, il mare, la notte, la rabbia, le terapie sono le chiavi della poetica di Giovanni, che con semplicità e con l’ausilio di una lancinante percettività, ci lascia il suo mondo. Uno spaccato di vita dolorosamente interrotta, un mosaico imperfetto al quale manca una tessera: tessera che questa toccante raccolta cerca di inserire, per chiudere il cerchio.

giovedì 22 aprile 2010

Aggiornamento della Guida delle Dolomiti Orientali di Antonio Berti - VI

Ipotizzando ancora una volta l’aggiornamento ed il completamento della preziosa guida delle Dolomiti Orientali di Antonio Berti, ferma al 1971, un’ulteriore serie di dati si può ritrovare nel volume edito nel 1979 dalla Cassa Rurale ed Artigiana per il quarantesimo di fondazione degli Scoiattoli di Cortina, aggiornato al 1978 e spesso divergente dal “Berti”. Un solo esempio: la prima ascensione della Torre Lagazuoi, nel gruppo di Fanes, sarebbe stata portata a termine da Ettore Costantini, Mario Astaldi, Luigi Ghedina e Ugo Samaja l’8/9/1944. Nella stessa data, però, Costantini era anche capocordata sulla via Centrale della parete SE della Croda da Lago, con Armando Apollonio: che avesse avuto il tempo di scalarle entrambe in una giornata? Riguardo alla stessa Torre Lagazuoi, a differenza della guida Berti, il volume del 1979 riporta, infatti, la data corretta, 8/9/1946. Sempre nella zona, il 21/6/1953 si registra la seconda salita della via aperta il 18/9/1949 da Albino Alverà, Luigi Ghedina e Lino Lacedelli sul gran diedro S della Torre Travenanzes, ad opera dei giovani e agguerriti Beniamino Franceschi, Albino Michielli, Guido Lorenzi e Candido Bellodis. Altra notizia riguarda il Col de Ricegon e la Cima Cadin di Sennes (Senessèr secondo alcuni ampezzani). Situate nella porzione marebbana del gruppo della Croda Rossa d’Ampezzo e in prossimità del Rifugio Sennes, prive di interesse alpinistico e non troppo battute anche d’estate, le cime furono salite con gli sci già verso la metà degli anni ’30 da appassionati ampezzani, tra i quali il maestro Luigi Zambelli (notizia fornitami dallo stesso nel 1998). La via “Antonia”, infine, (detta “sinistra” nel “Berti”, Dallago e Zardini, 16/8/1968) sulla parete s della Tofana de Rozes, ebbe la prima ripetizione già pochi giorni dopo l’apertura, nel settembre 1968 per opera di Paolo Michielli e Dino Constantini (informazioni di Dino Constantini).

Luigi Nichelo, guida alpina di una volta

Tra le guide e i portatori che un secolo fa animavano l’ambiente ampezzano, uno solo “veniva da fuori” ed era quindi escluso dal Catasto Regoliero, pur essendosi accasato in paese e amalgamato così bene nella comunità, da essere identificato con lo schietto soprannome di "Nichelo". Si tratta di Luigi Piccolruaz, originario dell’alta Val Badia, dov’era nato nel 1862. Di mestiere faceva il guardacaccia alle dipendenze delle nobili Emily Howard Bury e Anna Power Potts, che alla fine del secolo XIX avevano fatto costruire al Torniché, tra Fiames e Ospitale, una palazzina detta “Villa Sant’Hubertus”. Giovandosi della sua conoscenza delle montagne, Luigi svolse anche l'attività di guida dal 1884 al 1909, quando dovette cessare dal ruolo. Il suo nome si trova nei documenti solo per la seconda salita della Torre Grande d'Averau, che portò a termine con alcuni paesani nell'estate del 1883: la sua figura si vede spesso in fotografie di caccia accanto a nobili stranieri, che amavano venire a Cortina per le loro battute. Piccolruaz, che nel primo dopoguerra ebbe un’amara questione con la Sezione ampezzana del Deutsch-Ősterreichischer Alpenverein, in via di rinomina in Sezione del CAI di Cortina, per aver portato abusivamente un cliente sul Cristallo, si spense a sessantadue anni nel 1924. Nel 1919 la famiglia, che viveva in una casetta a La Vera sulla strada d’Alemagna, era stata duramente colpita dalla morte del figlio Emilio, deceduto dopo essere tornato ammalato dal fronte. Essa si è estinta in linea diretta con Maurizio, classe 1904, ultimo discendente di Luigi ed estremo custode delle memorie avite. Il nome del Nichelo oggi non compare neppure sulle due grandi lapidi del cimitero che ricordano le nostre guide e portatori.

domenica 18 aprile 2010

Torre Wundt, prima ripetizione della via Mazzorana-del Torso

Risalivo per l’ennesima volta con la fantasia la fessura SE della torre dei Cadini di Misurina dedicata a Theodor Wundt, lungo il classico percorso individuato da Piero Mazzorana e Sandro Del Torso settantadue anni fa, quando per caso presi nota della seconda ascensione del piacevole itinerario, noto soprattutto in grazia della fin troppo comoda vicinanza al Rifugio Fonda Savio, il quale deve alla Torre Wundt il suo redditizio “Hüttenberg”. La seconda ascensione del percorso, ideato con grande fortuna da una guida di Longarone trapiantata ad Auronzo e da un conte friulano ormai ultracinquantenne e fortissimo alpinista, risale al 14/8/1942. Essa fu opera di due ragazzi mantovani, Mario Pavesi e Cesare Carreri, che all’epoca avevano appena vent’anni e fra le Dolomiti di Sesto si stavano godendo una licenza dal servizio militare, prima di rientrare al Corso Ufficiali d’Artiglieria. Ho desunto questa notizia, che presumo mai divulgata fino ad oggi, da un libretto pubblicato nel 2007 dalla figlia di Cesare Carreri, la dottoressa Cecilia, “Alpinismo degli anni ’40. Frammenti di alpinismo dedicati a mio padre”, a cura di Mare Verticale. Fra l’altro, i due giovanissimi mantovani dovrebbero aver tracciato anche una variante alla via originale, che però non è ben chiaro dove salga, e non risulta documentata in nessuna fonte. Secondo la loro testimonianza, lungo il tracciato Piero Mazzorana aveva lasciato un unico chiodo, che forse è sempre il medesimo nel quale incapparono tutti i salitori fino a ventiquattro anni fa. Si trattava di un chiodino ad anello alla base della parete nera che dà accesso al camino superiore. Idealmente, mentre sfogliavo quel volume, me n’ero fuggito ancora una volta lassù, lungo il budello roccioso poco baciato dal sole dove ho passato ben 19 allegre giornate.

Aggiornamento della Guida delle Dolomiti Orientali di Antonio Berti - V

Altre notizie che potrebbero servire ad aggiornare la guida “Berti” si trovano nei libri di vetta della Croda Rossa, Tofana di Mezzo, Punta Fiames e Tofana Terza, depositati presso la Sezione del CAI di Cortina, e le ho ottenute privatamente.
Ad esempio: la terza salita della Direttissima per parete SE della Croda Rossa d’Ampezzo (Ignazio Dibona e Piero Apollonio, 28 e 29/9/1934), dopo la seconda di Marino Dall’Oglio e Paolo Consiglio, saliti in alternata l’8 e 9/9/1951, con un bivacco ad un tiro di corda dalla cima per il maltempo, fu appannaggio dei pusteresi Hans Frisch e Konrad Renzler, il 18 e 19/10/1959.
Lo Sperone Centrale della parete E della Tofana di Mezzo (Albino Alverà, Luigi Ghedina e Ugo Pompanin, 1945, in Berti manca il giorno, che era il 24 giugno), fu salito per la seconda volta da Albino Michielli e Candido Bellodis il 20/7/1952.
Se la conquista dello spigolo SE della Punta Fiames (Francesco Jori e Kathe Bröske, 19/8/1909), non appartenne ad ampezzani, a loro spettarono le tre salite successive. I secondi furono, infatti, Angelo Dibona, Enrico Gaspari, Giulio Apollonio e Agostino Cancider, il 3/8/1922. Il 30/9/1926 Dibona, Luigi Apollonio ed Edward de Trafford compirono la terza salita e il 15/5/1927 Marianna Dimai si aggiudicò la prima femminile dello spigolo, con il fratello Giuseppe e Celso Degasper. Sulla stessa cima, il 26/7/1945 Anna Caldart, di ventisei anni, salì da sola la Via Dimai-Verzi: fu forse la prima solitaria femminile.
Sfogliando uno degli ultimi libri di vetta della Tofana III, si apprende poi che la parete E della cima (scesa con gli sci dal compianto Don Claudio Sacco e poi da Tone Valeruz, nell’inverno 1977), fu risalita per la nuova via detta “Sgamala Hala”, dagli ampezzani Mario Lacedelli, Enrico Majoni, Rolando Menardi e Mario Siorpaes il 15/2/1981.