martedì 2 marzo 2010

Sulle tracce del Much, nella solitudine del Popera

Rileggendo un libro ricco di belle immagini (Ezio Danieli, ”Lassù sulle mie montagne”, Artigrafiche Cadore 1995), in cui la guida alpina di Sesto Pusteria Michele Happacher rivive i suoi ricordi di uomo ed alpinista, mi é venuto in mente che, con l’amico Alessandro, anche chi scrive si è cimentato in una via del famoso “Much”. Nell’estate 1988, infatti, sfogliando il “Berti” all’eterna ricerca di qualche stranezza, avevo individuato un percorso che poteva interessarci: la Via Happacher sulla parete E della Croda sora i Colesei-Arzalpenkopf in Popera. La cima rivolge al Passo di Montecroce Comelico una larga parete di buona roccia, con itinerari di von Glanvell, Crepaz e tre dello stesso Happacher, del quale costituiva la palestra. Noi scegliemmo la via aperta dalla guida in solitaria nel 1964. 300 metri di III e III superiore secondo il “Berti”, “camini e fessure di roccia buona”. La roccia non mi parve proprio celestiale, ma l’itinerario fu piacevole e apprezzai soprattutto il fatto che si svolge in una zona solitaria, che non trovammo nessuno e uscimmo su una dorsale erbosa sparsa di resti di guerra, dove fu giocoforza riposare, godere il panorama, ripensare all’avventura fatta. Sulla Croda sora i Colesei, sia in quell’occasione sia in quella successiva nel giugno 1994, in cui salii con i miei genitori dal Rifugio Berti per scendere poi a Selvapiana attraverso l’impervia Forcella Popera, godemmo di una solitudine incontrastata. Ricordo bene la salita, compiuta a tiri alterni e con una certa fretta: in serata, infatti, mi aspettavano a San Vito per una cena importante e, com’era consuetudine, con Alessandro le scalate iniziavano sempre tardi. Questo della Croda sora i Colesei è un altro episodio di un tempo alpinisticamente frenetico: mi sembra vicino, ma in realtà sta già scolorando nel ricordo.

domenica 28 febbraio 2010

Picco di Vallandro, della (non) solitudine alpina

Sul versante meridionale, il Picco di Vallandro si presenta come un enorme terrazzo, che sale a gradoni da Pratopiazza. Sul lato opposto, invece, esso rivolge alti dirupi verso la Val di Landro e belle pareti, dette Crepe di Valchiara, verso la Vallettina. La via normale, che lo affronta proprio da S, fu certamente percorsa da pastori e cacciatori fin da epoca remota ed è una gita turistica. Il percorso supera un dislivello di 848 metri, agevolato dal fatto che a Pratopiazza, dove sorgono due rifugi, due malghe e un Hotel, si sale anche in auto. Da sempre, il Picco costituisce anche una nota escursione scialpinistica, perché consente una lunga e divertente scivolata sugli aperti ed uniformi pendii che digradano dall’anticima.La prima ascensione con le pelli di foca ha settantasei anni. Fu compiuta dagli Accademici Federico Terschak e Giuseppe Degregorio con Silvio Manassero il 29 aprile 1934. I tre salirono a piedi da Carbonin, per la strada militare che nel 1937 fu sistemata e divenne una comoda carrozzabile, chiusa al traffico negli anni ’80 con l’istituzione del Parco Naturale di Fanes-Sennes-Braies. Quella che oggi è considerata solo più una “passeggiata” con gli sci, all’epoca fu riconosciuta come un’impresa, e di essa Degregorio lasciò un bel resoconto (“Con gli sci sul Picco di Vallandro”) nel libro “Cortina e le sue montagne”. Nelle pagine dell’Accademico, emerge la descrizione della visuale che si gode dalla vetta, e la rende così appetita dai camminatori: hohe Tauern, cime della Zillertal, Stubaital, Ötztal e vicino a noi Croda del Becco, Sas dla Crusc, Croda Rossa d’Ampezzo proprio di fronte, Tofane, Pelmo, Cima Undici, Punta dei Tre Scarperi. Se non per le qualità della normale, d’estate invero monotona, il Picco è raccomandabile per il panorama a tutto tondo, che ha ben scarsi concorrenti. In alta stagione, non ci si aspetti però di godersi la salita in solitudine! La prossima estate lo voglio rifare, dopo tanti anni.