giovedì 16 luglio 2009

Bortolin Zuchin e il suo camino

E' ricorso di recente il centenario di una via che, ai suoi tempi, fece una certa fortuna ma poi è stata dimenticata a vantaggio di altre avventure più comode, su roccia migliore, più atletiche e via discorrendo. Si tratta del “Camino Barbaria”, che incide per 200 metri la parete N del Becco di Mezzodì, proprio in faccia al Rifugio Croda da Lago. L’ombroso condotto, valutato oggi di buon IV, fu salito il 19 agosto (non il 2 settembre, come riportano diverse pubblicazioni!), dagli alpinisti veneti Francesco Berti e Ludovico Miari, con le guide Bortolo Barbaria "Bortolin Zuchin" e Giuseppe Menardi "Bepe Berto". Barbaria, figlio e padre di guide ed esperto di camini dolomitici, aveva a quel tempo 35 anni, e lo trova attivo sulle montagne almeno fino al 1939, quando – sessantaseienne – risulta che salì la via normale del Piz Popena con un cliente. Giuseppe Menardi Berto, invece, di anni ne aveva 39, fu in esercizio fino allo scoppio della guerra, quando venne richiamato, e terminò i suoi giorni in un ospedale militare quattro anni dopo. Seconde salitrici del camino, il 31 luglio 1909, saranno le baronesse ungheresi Ilona e Rolanda von Eötvös, con gli inseparabili Antonio Dimai e Agostano Verzi. Non ho notizie della prima solitaria e della prima invernale, se mai sono state effettuate. Della via ho una bella testimonianza di mio padre, che provò il “Barbaria” nel 1942 con un collega, ma dovette ritirarsi per il freddo pungente. Il camino, che ha compiuto da poco un secolo, ricorda una brava guida dell’epoca d’oro dell’alpinismo ma non è mai divenuto una classica delle nostre crode.

Il CAI Cortina in televisione

Il CAI, Sezione di Cortina, ricorda che la puntata in onda giovedì 13 agosto alle 20.00 (repliche: venerdì 14 alle 22.40, sabato 15 alle 14.10) del programma "QUI CORTINA", curato dall'emittente Telequattro (visibile a Cortina sul canale 61), sarà interamente dedicata al CAI, al Rifugio Croda Lago-Gianni Palmieri ed alla corona di montagne che lo circondano.
La puntata è stata registrata al Rifugio stesso giovedì 16 luglio, dalla curatrice del programma Viviana Facchinetti: sono intervenuti tre consiglieri della Sezione ampezzana del CAI, che hanno parlato di storia, sentieri, attività del Club Alpino.

mercoledì 15 luglio 2009

19 agosto 1909 - 19 agosto 2009: ricordo di un giovane fassano e di un'intrepida boema

3 agosto 1922, una bella giornata della quarta estate postbellica. Quattro uomini salgono verso la Punta Fiames, la sommità più occidentale della dorsale del Pomagagnon che fa da classico sfondo a Cortina. Guida il quartetto Angelo Dibona, mostro sacro dell'alpinismo ampezzano. Già quarantatreenne, Dibona ha vissuto negli anni '10 il periodo d'oro, poi è stato al fronte e appena ritornato ha ripreso l'attività, che proseguirà ad alto livello per un altro trentennio. Accanto a lui c'è Enrico Gaspari, intestatario di uno dei primi patentini di guida in Ampezzo italiana, che invece farà una carriera più breve. Dopo aver compiuto diverse ascensioni di rilievo, fra le quali la III e la VI della Via Miriam sulla Grande d'Averau (28.7.1927, con Henry D. Stebbins e Angelo Dimai; 19.9.1927, con E. C. Arnold Pillington e Angelo Verzi), sposerà un'inglese conosciuta sulle crode e lascerà Cortina per sempre. I “clienti” di Angelo e Enrico hanno ventisei anni: uno è Giulio Apollonio, ingegnere che all'inizio della guerra diverrà Presidente della Sat e poi Consigliere Centrale del Cai; s'impegnerà nel restauro e costruzione di rifugi, e progetterà un modello di bivacco fisso a nove posti, che porta il suo nome. L'altro è Agostino Kantschieder, o Cancider. Da Abfaltersbach, nella Pusteria austriaca, i suoi si sono stabiliti a Cortina, dove Agostino sposerà Caterina Lacedelli d'Arone e radicherà un ceppo ancora presente. I quattro hanno maturato l'idea di salire lo spigolo SE della Fiames, che demarca sull'estrema destra la solatia parete meridionale. La parete è stata salita ventun anni prima, per una via destinata ad avere fortuna, dalle guide più “trendy” del tempo, Antonio Dimai e Agostino Verzi, con J. L. Heath di Londra; invece lo spigolo – che si vede già da Chiapuzza, oltre il vecchio confine - pare sia stato tentato, ma senza successo. Le due cordate superano in scioltezza, in puro “stile Dibona” (cioè senza chiodi), l'affilato tagliamare che, con i suoi tratti di 5° grado, per l’epoca costituisce un'impresa di tutto rispetto. In buona fede, sono convinti di aver compiuto una prima assoluta, che riempirà le magre cronache di quegli anni difficili. Poco dopo, però, emerge la delusione. Dibona e compagni hanno salito lo spigolo della Punta Fiames, ma hanno seguito “più o meno” una via già esistente, di cui comunque sembra non abbiano trovato tracce. Lo spigolo sale nel cuore di un gruppo che tra il 1899 e il 1905 ha registrato il metodico assalto di clienti stranieri con guide locali, facilitati dalla vicinanza ad un centro alpinistico rinomato come Cortina. Mancava ancora lo spigolo, che si diparte dalla classica Via Dimai all'altezza della “seconda parete”, e sale diritto in vetta. Vi si cimenterà con successo il 19 agosto 1909 una guida alpina di Canazei, Francesco Jori, appena ventenne. Insegnante elementare in Val Gardena, Jori è il marito di Oliva Rizzi di Pera e cognato del famoso Tita Piaz; colto, preparato e serio, è poco loquace e meno polemico dell'impetuoso cognato. Sullo spigolo ha portato con sé Käthe Bröske, una pianista originaria di Zabrze (oggi in Polonia), che si è imposta alle cronache nel 1908 per aver compiuto il 17 agosto, con Piaz e Rudolf Schietzold, la prima salita della difficile parete SE della Pala di Larsé nel Catinaccio, e inoltre per aver ripetuto, fra le prime donne, la parete S della Marmolada e il Campanile di Val Montanaia. Secondo Tita, la Bröske “... non ha paura di nulla, arrampica con pantaloni e giubbotto di velluto, berretto con visiera da cui sfuggono i capelli raccolti sotto un viso non bello, al di sopra di ogni autoironia, decisa a ribaltare le sorti a cui sembrano destinate le donne, con l'unica nota di femminilità suggerita da quella vita sottile attorno alla quale si annoda la robusta corda di canapa ...” Come mai sullo spigolo mancarono gli ampezzani? Diverse guide di Cortina (fra le più “scatenate”, oltre a Dibona, Dimai e Verzi, nel 1909 si contavano Barbaria, Gaspari, Pompanin, e poi De Zanna, Maioni, Menardi come seconde guide) sarebbero riuscite a piegarlo, ma la storia decise altrimenti. Proprio il 19 agosto 1909, infatti, Dimai e Verzi salivano il Campanile Basso di Brenta con le nobili ungheresi Ilona e Rolanda von Eőtvős; Dibona riposava al Pordoi, dopo una fruttuosa campagna sul Sella con i fratelli Guido e Max Mayer e il collega Luigi Rizzi; gli altri sicuramente avevano lavoro. Käthe Bröske scelse quindi una guida libera da impegni, che andava in montagna non solo per dovere ma anche perché era attratta dal suo fascino ignoto, e così legò alla Punta Fiames il nome di un “forestiero”. Né guida né cliente fecero parola della via, che supera una parete liscia ed esposta con un tracciato logico ed accattivante, e per lungo tempo lo spigolo venne ignorato. Grazie alla “casuale” ripetizione di Dibona e compagni, la paternità del tracciato fu attribuita con tredici anni di ritardo a Francesco Jori, abile e modesto rocciatore che chiuderà la sua parabola il 14-15 settembre 1921 sulla grandiosa parete N dell'Agner, scalata con Arturo Andreoletti e Alberto Zanutti. Oggi lo spigolo della Punta Fiames (“Jorikante”, per i tedeschi) è una via classica e sempre frequentata; anche se migliaia di ripetizioni ne hanno ormai levigato i passaggi, il suo interesse alpinistico è rimasto inalterato. Cent'anni fa sulla Fiames la guida fassana dimostrò autentica stoffa, superando senza artifici alcuni passaggi che per l'epoca erano al limite, e già tentati più volte! Se però la prima salita dello spigolo non era riuscita agli ampezzani, essi si rifecero con le successive. Dopo la guerra, Jori sulla Fiames non si rivide più: cessò presto il mestiere di guida, per dedicarsi a quello d’albergatore, gestendo alcuni rifugi alpini (ultimo il “Marmolada-Castiglioni” sul Lago di Fedaia che, alla sua scomparsa nel 1960, passò al primogenito Mario). Dibona invece fece anche la terza salita dello spigolo, il 6.9.1926, portandovi un cliente illustre: il Re dei Belgi, che aveva già ripetuto la Via Dimai. Cinquantatrè giorni più tardi, il “Pilato” tornò alla base dello spigolo, aggiudicandosi anche la quarta salita con il collega Luigi Apollonio e il britannico Edward de Trafford. Il 15.5.1927, la quinta salita e seconda femminile spettò a Marianna, figlia di Antonio Dimai, col fratello Giuseppe e Celso Degasper, guide patentate da poco. Di questa giornata, merita leggere il commento lasciato dalla giovane Marianna sul libro di vetta: “Superata la dificile salita dello spigolo colle guide Celso De Gasper e Dimai Giuseppe, fatta da loro la prima volta, discendiamo per la variante. Sebbene non fosse questa la mia prima salita, essa fu di grande mia soddisfazione.” Non si sa chi abbia salito per primo lo spigolo durante l'inverno (una stagione, comunque, non sempre infausta per la Fiames, la cui parete versa spesso in condizioni accettabili anche in stagioni inclementi), né chi fu il primo salitore solitario. Negli anni '30 per l'ascensione, divenuta già famosa, erano disponibili diverse guide ampezzane. Nel tariffario 1930 dei 15 professionisti attivi si legge: “... Punta Fiames, Spigolo Jori: tariffa da concordare.” Il 14 novembre dello stesso anno, durante una fortunata campagna tardo-autunnale, l'udinese Celso Gilberti - appena ventenne - ed il milanese ventiduenne Ettore Castiglioni “allungavano” lo Jori di circa cento metri con la “Direttissima”, che inizia dai salti coperti di mughi incombenti sul “Calvario”, il sentiero d'accesso alla parete. Con l'apertura dell'alpinismo a fasce di popolazione sempre più ampie, lo spigolo Jori riceverà visite da un pubblico via via più vasto ed eterogeneo, e le sue ripetizioni si susseguiranno innumerevoli. Il tracciato originario, per il quale fino a qualche anno fa gli scalatori italiani avevano la magniloquente relazione di Giulio Apollonio nella guida “Berti”, nel tempo subirà alcune varianti, fra cui quella di Aldo Bianchini e Bruno Sandi del settembre 1942, che evita la stretta fessura obliqua, quasi priva di appigli e tratto “chiave” della salita. Come altre vie classiche, in cento anni anche la Jori è stata teatro d’incidenti, spesso tragici. In particolare risalta quello occorso a Renato De Pol, fotografo veneziano che risiedeva e lavorava a Cortina. Il 1° maggio 1973 “Renè” era impegnato sullo spigolo con Lino Lacedelli e Marisa Zangiacomi quando, poco sopra la seconda cengia, fu investito da un lastrone e precipitò. Era all’undicesima via della stagione e stava salendo lo Jori per la ventiseiesima volta. Il 19 agosto 2009, dunque, lo spigolo spegne cento candeline e la ricorrenza non farà clamore, come si conviene ad un attore illustre ma riservato della storia. Per gli alpinisti, la via è sempre alla moda, per diversi motivi: il tracciato logico, l'ambiente splendido, la solida dolomia, l’esposizione solare che in genere consente di salire dalla primavera all'autunno inoltrato, l’accesso un po' laborioso ma tutto sommato agevole, la rapida e facile discesa. L'itinerario tracciato sulla Fiames da un valente fassano con un'impavida tedesca, rappresenta ormai da ottant'anni un classico nel ventaglio di scalate su roccia offerte dalla valle d’Ampezzo. Esso figura nelle antologie di vie scelte, come paradigma del 5° grado dolomitico, e non ha perso la nomea e lo smalto che lo rendono una delle vie più amate e rispettate dagli arrampicatori d'ogni nazione.