sabato 12 gennaio 2008

E' morto Sir Edmund Hillary (1919-2008)

L'11/01/2008 si è spento ad Auckland (NZ) Sir Edmund Hillary, l’alpinista che insieme a Tenzing Norgay giunse per primo in vetta all’Everest
Sir Edmund Hillary non c'è più. L'alpinista neozelandese che insieme a Tenzing Norgay scalò per primo l'Everest, si è spento ad Auckland (NZ). Se n'è andato ad 88 anni Sir Edmund, lasciando dietro si sé una vita irripetibile ma che non riuscì a cambiare quel suo carattere semplice, ironico ed acuto di "neozelandese qualsiasi", come era solito definirsi. Era il 29 maggio 1953 quando con il suo fraterno amico sherpa Tenzing Norgay raggiunse gli 8848 metri della cima più alta del mondo. Un'impresa immensa, che per l'epoca rappresentava una sorta di sbarco sulla luna. "L'abbiamo battuto questo bastardo!" disse ironicamente a Tenzing in vetta...Le cronache di quella storica spedizione inglese guidata dal colonnello John Hunt raccontano di un Hillary dalla resistenza e dalla forza infinita (sempre insieme a Norgay strabiliò tutti per i tempi incredibili delle sue salite e discese dai campi alti della montagna). Ma ciò che lo distinse fu anche la capacità di condividere alla pari l'avventura con gli sherpa (quegli uomini che i primi alpinisti britannici dell'Himalaya definivano "le tigri delle nevi"). Forse è questo lato umano, questa grande sensibilità, al di là delle doti di alpinista, che più di ogni altra cosa definiscono il mito Hillary.Da subito s'interessò concretamente alla condizione delle popolazioni nepalesi istituendo una Fondazione (l'Himalayan Trust) che in tutti questi anni ha realizzato nei villaggi delle alti valli nepalesi 26 scuole, 2 ospedali e 12 cliniche mediche, ma anche ponti, strade e acquedotti. In questo Hillary fu assolutamente all'avanguardia su tutti gli alpinisti. Soprattutto perché intuì immediatamente la necessità che i cambiamenti, apportati dall'alpinismo occidentale in Himalaya e dal conseguente turismo d'alta quota, dovevano essere di aiuto a quelle popolazioni locali ma non dovevano snaturare la loro natura e cultura e quella del territorio. In questa sua visione fu assolutamente un esploratore, e un esempio per molti altri alpinisti che (occorre dire moltissimo tempo dopo) lo seguirono su questa strada. Non a caso Hillary è stato il primo straniero a ricevere nel 2003 la cittadinanza onoraria dal governo del Nepal, recependo così il sentimento di fratellanza che le popolazioni delle alte valli gli hanno sempre tributato.Hillary è stato un esempio di come la passione per l'avventura e per la montagna possa rappresentare un'apertura verso il mondo. La sua è stata una passione disinteressata, al di là della grandissima fama che la salita dell'Everest gli ha donato. la sua scoperta della montagna e dell'alpinismo avvenne a 16 anni, sulle sue montagne della Nuova Zelanda. Nel 1948, con Harry Ayres, compì la prima salita della cresta sud del Mount Cook, la montagna più alta della Nuova Zelanda. Scalò nelle Alpi e, prima della salita dell'Everest, partecipò a due spedizioni di esplorazione in Himalaya (Everest e Cho Oyu) che probabilmente gli regalarono la partecipazione alla spedizione vincente del 1953.E' stato scritto che la sua inclusione nella spedizione del '53 all'Everest fu dettata anche da ragioni "politiche": il neozelandese Hillary rappresentava i cittadini dell'impero. Certo è che sulla carta non era sicuramente uno degli alpinisti di punta. Ma anche questa è una circostanza che ha fatto ancora più grande la sua impresa. Dopo la prima salita dell'Everest, tra il '56 e il '65 Hillary partecipò a molte altre spedizioni himalayane, ma soprattutto s'impegnò nell'esplorazione dell'Antartide e il 4 gennaio 1958 dopo Admunsen e Scott fu il terzo uomo a raggiungere il Polo Sud. Di Sir Edmund Hillary sarà sempre ricordata la capacità di essere un uomo più che un eroe. Un uomo felice della sua vita al di là del mito. Famosa è la sua frase in risposta a chi gli faceva notare che forse George Mallory e Andrew Irvine potevano averlo preceduto in vetta all'Everest: 'È da 45 anni che sono considerato come il primo scalatore che ha raggiunto la cima. Non credo che sarei troppo deluso se si scoprisse che Mallory lo aveva fatto prima di me'. Un esempio per tutti!
(tratto da http://www.planetmountain.com/. Grazie!)

Una proposta per fare due passi

Non appena il tempo lo permetterà prendete l’autobus, l’automobile o salite a piedi, oltre le case di Col, fino al gran masso, già palestra di roccia, che incombe sulla Strada delle Dolomiti. Poco prima della galleria nei pressi del belvedere su Cortina dove d’estate si fermano tutti i motociclisti in transito, un sentiero, sistemato e segnalato qualche anno fa, s’infila subito fra i roccioni che strapiombano sulla strada. La traccia sale ripida, nell’ombroso bosco di latifoglie intercalato da salti rocciosi (una volta c’era un tratto di fune di ferro per sicurezza), lambisce una protezione di legno dalla quale si vede un bel panorama e porta in piano al piazzale dell’Ossario, monumento che spesso neppure la nostra gente conosce e visita. Dopo una breve sosta, sul retro dell’Ossario imboccate il sentiero CAI 451, che traversa la rocca di Crepa e scende fra gli alberi, con qualche facilitazione dato l’ambiente scosceso, fino a giungere in vista della strada sterrata fra Lacedel e Pocol. Passato un tratto sotto roccia, prima di congiungervi con la strada, deviate a destra e per una pista poco marcata tra gli alberi rientrate al punto di partenza. In un’oretta avrete realizzato un anello escursionistico molto interessante. Caratteristiche di questo percorso: fino a qualche anno fa, fra le rocce dimorava la colonia di camosci più “meridionale” d’Ampezzo; sui due sentieri non si trova quasi mai nessuno; specialmente nel tratto in salita (che naturalmente si può percorrere anche al contrario), l’atmosfera è abbastanza ottocentesca, quasi un po’ gotica. La zona mi piace e vi ritorno spesso, perché siamo appena sopra le case e pare di essere già molto in alto, e fra quelle rocce aleggiano ancora gli spiriti di Maria de Zanin, del soldato romano che la insidiava, delle anguane dei boschi di Federa e di tanti altri personaggi leggendari.

venerdì 11 gennaio 2008

Il vocabolario del dottor Majoni compie 80 anni

Per una volta, non parlerò di montagne o di scalate, anche se l’ambientazione di queste righe è comunque montana. Il protagonista della storia è Angelo Majoni, dentista, ginecologo ed internista la cui fama valicò anche i confini del paese nativo, cultore di studi storici e coautore della prima guida turistica vera e propria della valle, Oltre che ligio e stimato professionista, il medico fu un pioniere degli sport invernali, giocatore di golf, socio e consulente della Società Ginnastica, del Museo Elisabettino e dei Pompieri Volontari, ma non credo sia stato alpinista, almeno non arrampicatore. Quest’autunno compirà ottant’anni la sua opera più famosa, “Cortina d’Ampezzo nella sua parlata. Vocabolario ampezzano con una raccolta di proverbi e detti dialettali usati nella valle”, primo ampio glossario della parlata ampezzana, che Majoni concluse ufficialmente il 10 ottobre 1928. Lascio ad un mio più dettagliato articolo, che dovrebbe uscire sulla “Rivista Cortina” nell’estate prossima, definire meglio la sostanza letteraria e scientifica dell’opera del mio omonimo. A quell’articolo vorrei però aggiungere un piccolo, simpatico episodio, che in precedenza mi è sfuggito. Il 28 ottobre 1930, ottavo anniversario della marcia su Roma, nell’osteria di Ospitale d’Ampezzo si tenne una cena. Vi parteciparono alcuni ampezzani nati nell’anno 1870, vale a dire i sessantenni del paese, uno dei quali era proprio “el dotor Majoni”. Bene: in quella occasione conviviale, il medico fece omaggio - a tutti i suoi coetanei presenti - di una copia con dedica del vocabolario, uscito per i tipi della Tipografia Valbonesi a Forlì poco più d’un anno prima. Una galanteria d’altri tempi? Ricavo questa notiziola da una preziosa copia di “Cortina d’Ampezzo nella sua parlata”, autografata e dedicata dall’autore a Gottardo Zangrandi, mio lontano parente acquisito, nato nel 1870, che deve averla consultata, visto che quando la ricevetti era piuttosto usurata!

giovedì 10 gennaio 2008

La "ferrata" della Croda de r'Ancona: quale futuro?

In effetti, è soltanto una fune metallica di un centinaio di metri, fissata in modo artigianale su rocce malsicure e abbastanza arrugginita. Disancorata all’estremo inferiore, non ha un aspetto del tutto rassicurante, ma può avere ugualmente una sua utilità.
Qualche alpinista, aiutato da un’opera scorretta di divulgazione, l’ha inserita nel novero delle ferrate, e ne ha chiesto notizie, pensando che sulla placida cima del gruppo della Croda Rossa, che domina i pascoli di Lerosa, non si possa salire senza tirarsi sui ferri.
La “ferrata” consente di superare il tratto roccioso (di circa duecento metri di dislivello) della cresta est della Croda de r’Ancona, “fosco baluardo” che sovrasta la strada d’Alemagna con canali franosi, cenge spioventi percorse dai camosci, rocce rossastre e friabili, mughi e zolle d’erba.
L’aiuto, poco più che morale, fu posto in loco diversi anni fa da un ampezzano, appassionato delle sue montagne ed autore anche d’altre iniziative, sempre ispirate al lodevole scopo di facilitare la visita ad angoli degni di nota, ma particolarmente aspri.
La cresta, certamente percorsa e attrezzata durante la Grande Guerra per collegare la Croda de r’Ancona alle sottostanti postazioni delle Ciadenes, è giudicata “esposta, con passaggi delicati su ripidi tratti d’erba e roccette”, ovvero non proprio banale.
Più a ragione che a torto, a nostro giudizio, il Parco Naturale delle Dolomiti d’Ampezzo, cui compete il territorio che comprende anche la Croda de r’Ancona, non ha mai posto mano alla “ferrata” e alla traccia che la unisce alla Val di Gotres, danneggiata dalle intemperie, ma pur sempre segnalata e transitabile con un minimo d’attenzione.
L’atteggiamento del Parco non fa una piega, poiché a suo tempo la ferratura e la segnalazione della cresta furono effettuate in forma privata, senza richiedere il collaudo e l’ufficializzazione della struttura. Quindi, pur essendo citata in un paio di guide escursionistiche e persino riportata su alcune cartine, in pratica quella “ferrata” non esiste.
L’allacciamento con Gotres, però, è indicato da una grande scritta in vernice sulle rocce della cima e da vari bolli, per cui siamo di fronte ad un manufatto segnalato ed entrato nell’uso, che facilita non poco la traversata della Croda. Con una breve diversione, non molto impegnativa, la “ferrata” permette inoltre di accedere al “Busc de r’Ancona”, una delle più singolari volte naturali delle Dolomiti.
Considerate le eventuali responsabilità che potrebbero coinvolgere i gestori del territorio in caso d’incidenti, il futuro della “ferrata” potrebbe porsi in termini antitetici: o demolirla integralmente, eliminando le indicazioni che incanalano i curiosi fin dalla vetta, oppure ristrutturare le attrezzature, sistemando in maniera minimale anche il deteriorato sentiero di collegamento. Ci sarebbe anche una terza soluzione, di lasciare tutto com’è, ma non sarebbe sicuramente risolutiva del problema.
Per quanto ci compete, siamo contenti, perché in almeno trent’anni di presenza nella zona, abbiamo percorso diverse volte in salita e in discesa la “ferrata” in questione, senza incappare mai in difficoltà.
Ci spiacerebbe però se, col tempo, sparissero le tracce e l’attrezzatura (che una dozzina d’anni fa la stampa invitava a trascurare perché “inaffidabile”), e diventasse impossibile scavalcare la Croda de r’Ancona, solo perché non esiste più quel benedetto cordone di ferro, fissato con impegno e determinazione dal nostro amico tanti anni orsono!

lunedì 7 gennaio 2008

Alpinisti di Cortina sull'Aconcagua

Giampiero Bosetti, Giorgio Costantini, Mario Lacedelli, Fabio Pavanello e Gianfranco Rezzadore sono gli alpinisti di Cortina che, con Roland Pedevilla di San Martin de Tor (Val Badia), hanno organizzato nel novembre scorso una spedizione leggera sull’Aconcagua (6962 m), la più alta montagna d'America, salita per la prima volta da Mattia Zurbriggen nel 1897. Nata sull’onda dell’entusiasmo per la precedente avventura degli stessi alpinisti, che nel 2006 avevano compiuto una prima salita sull’Huascaran, quest’anno la spedizione ha avuto come obiettivo l’Aconcagua, una cima senza difficoltà di roccia, ma molto impegnativa per le condizioni meteorologiche sempre avverse. Finora la montagna era stata tentata due volte da alpinisti di Cortina, ma non era mai stata salita. Inizialmente il sestetto ha deciso di traversarla, salendo per la via normale da nord-est e scendendo per la via dei Polacchi. Abbandonato il progetto a causa delle lungaggini burocratiche opposte dall’amministrazione del Parco Nazionale, che ha aperto le porte ai visitatori solo il 15 novembre, i sei hanno dovuto ripiegare sulla via normale, sia in salita sia in discesa. Poste le tende all’ingresso del Parco, dopo una marcia d’avvicinamento di 42 km, il campo base è stato fissato a 4300 m. Ottimamente acclimatatisi con la salita del vicino Cerro Plata (6000 m), Bosetti e compagni hanno quindi piazzato il campo 1 a 5500 m. Da qui, il 17 novembre sono riusciti a raggiungere la vetta soltanto Pavanello e Pedevilla, mentre il “viento blanco”, costante e fortissimo, e le temperature polari hanno fermato il resto del gruppo a 6400 m circa, ai piedi della temuta ”Canaleta”. A prescindere dalle difficoltà puramente alpinistiche e dalla parziale riuscita della salita, l’esperienza ha soddisfatto pienamente i cortinesi, che hanno dichiarato di essere appagati dall’avventura, realizzata in amicizia e fra persone esperte, allenate e molto affiatate. Il gruppo, che è stato ampiamente festeggiato sia alla partenza sia al rientro da molti amici, fra i quali anche Lino Lacedelli, proporrà prossimamente una serata a Cortina con le immagini realizzate.

domenica 6 gennaio 2008

Ricorrenze alpinistiche del 6 gennaio

1960: muore novantenne Angelo Colle Neno, guida alpina dal 1905 al 1932 e custode per lungo tempo del Rifugio Tofana a Forcella Fontananegra. Al suo attivo aveva una unica prima ascensione: la quinta Cima di Furcia Rossa (Gruppo di Fanes), salita con W. Thiel, H. Jung e P. Kleyensteuber il 6 agosto 1909.

1976: l’inverno è avaro di neve, e così il giorno dell’Epifania viene aperto un nuovo itinerario sul Pomagagnon. Andrea Menardi e Modesto Alverà superano in cinque ore la parete sud della Costa del Bartoldo, con difficoltà di IV e V e servendosi di quattro chiodi.

Com'è buono il "cafè da bosco"!

L’ispirazione per queste righe non è nata fra le montagne, ma in casa, un giorno all’ora di pranzo. Premetto che il caffè nero, liscio o come lo volete chiamare, non è che mi entusiasmi; ma in casa non c’era latte e così corressi l’indispensabile tazzina meridiana con un sorsetto di vino rosso. Ricreando, dopo tanto che non lo assaggiavo, il famoso "cafè da bosco" ampezzano, bevanda usuale per i nostri montanari, cacciatori, contadini, pastori di un tempo ormai lontano, oggi rivisitata ed offerta come specialità del Sestiere in una delle nostre feste campestri estive. Caffè nero, rigorosamente fatto sul fornel come quello che preparava la buona Luzia nella cucina della vecchia casa di Coiana quando andavamo a farle visita, e vino rosso: magari a qualcuno il miscuglio farà rizzare i capelli, mentre per un attimo a me ha evocato tempi passati, freddi inverni, grandi fatiche dei nostri avi. Gustoso, salutare quando è assunto nelle giuste dosi, fu fin troppo corroborante in quell’ottobre 1977, in cui passai un fine settimana con Enrico, Federico, Fabio e Stefano nella baita di Lerosa, all’epoca ancora aperto, sempre ospitale e disponibile per il ricovero degli escursionisti. Noi giovani avevamo portato qualche bottiglia, mentre Stefano – salito lassù da solo qualche giorno prima, con la precisa intenzione di fotografare l’aquila ed altri animali – preparò una bella cogoma di caffè, e con quel beverone vivificammo la serata. Ricordo bene che, a notte fonda, “uscimmo a riveder le stelle”: ne vedemmo tante, tante, tante di più di quelle che popolavano effettivamente la volta celeste sopra i grandi pascoli di Lerosa!