sabato 17 luglio 2010

Un guardaboschi che non divenne guida alpina

Nella storia dell’alpinismo a Cortina, fra guide alpine, guide per montagne basse e portatori, fino ad oggi risulta autorizzato all’esercizio del mestiere ben oltre un centinaio di persone. Da tempo chi scrive s’interessa, trovando sempre nuovi spunti di ricerca, di seguire le vicissitudini degli ampezzani che in quasi 150 anni hanno ottenuto l’autorizzazione ad accompagnare clienti sui monti. E’ ormai noto che la data di nascita della professione in Ampezzo è fissata al 16/9/1864. Quel giorno, infatti, Francesco Lacedelli detto Checo da Meleres (1796-1886), orologiaio e cacciatore divenuto guida quasi per caso, sulla cima del Sorapìs ricevette dalle mani di Paul Grohmann il primo libretto di Bergfűhrer della Valle d’Ampezzo. Le cronache, almeno quelle ufficiali, non fanno però cenno a coloro – e sono diversi – che per i motivi più vari non furono capaci di ottenere l’autorizzazione a volgere la professione. Anche in tempi antichi, la patente di guida, accordata dalle Sezioni del CAI (D.Oe.A.V. per la nostra zona, fino al 1918), richiedeva un breve tirocinio e un esame: ai primissimi candidati però era stato sufficiente dimostrare di conoscere bene i monti e i valichi del territorio dove si intendeva svolgere la professione, e il resto era venuto da sé. Nel "Protocollo delle adunanze della Sezione Ampezzo del Deutsch und Ősterreichischer Alpenverein" (antenato della Sezione del CAI di Cortina) che inizia nel 1901, si trova menzionato un guardaboschi di Campo che negli anni '10 del Novecento fece rispettosa domanda all’Alpenverein di diventare guida alpina, adducendo verbalmente a suo favore il fatto – convalidato da testimoni – che aveva salito praticamente tutte le cime d’Ampezzo. Nonostante le prove addotte, l’inflessibile Sezione però non gli credette e l’aspirante restò a fare il guardaboschi, svolgendo peraltro l’incarico con perizia e passione, fino al termine della carriera. Nome e cognome, ovviamente, li abbiamo presenti, ma li omettiamo per discrezione.

lunedì 12 luglio 2010

Punta Giovannina, 50 anni: in ricordo di Claudio Zardini (1933-2010)

Nel cuore delle Tofane, sul versante SW della Tofana di Mezzo, c'è una punta, separata dalla Tofana più alta dalla Forcella del Valon, valico toccato da chi traversa dalle due cime più alte al Rifugio Giussani. La punta, quotata 2936 m, domina Forcella Fontananegra con una parete giallo-nera alta più di trecento metri e visibile da lontano, e si chiama Punta Giovannina. Di sicuro non molti conosceranno l'origine di questo oronimo, piuttosto recente e legato a una donna. Il nome fu suggerito dalla guida Celso Degasper che il 5/10/1933, in cordata con il collega e coetaneo Giuseppe Dimai, salì per primo la punta dal versante S. Per festeggiare l'ascensione, la cima fu intitolata a Giovanna Apollonio, consorte del Degasper mancata nel 1975, che ricordo di avere conosciuto. La via del Deo e del Meneguto sulla Giovannina, ripercorsa probabilmente per l'unica volta nel 1951 da Ettore Costantini e Bruno Alberti, da anni non può più essere salita a causa di un ampio franamento. In compenso, sulla strapiombante e friabile parete che domina il Rifugio Giussani, sono stati tracciati a partire dagli anni '60 altri itinerari. Cominciarono giusto cinquant'anni fa (dall'11 al 14/7/1960) Albino Michielli, Lino Lacedelli e Claudio Zardini (scomparso ieri a 77 anni, alla cui memoria dedico questa nota), seguiti dal 7 al 9/7/1968 da Ivano Dibona e Diego Zandanel; nell'estate 1975 toccò a Carlo e Agostino Demenego e infine nell'estate 1996 hanno tracciato una dura via Davide Alberti e Paolo Tassi, concludendo per ora la storia della Punta dedicata alla gentile Giovanna Apollonio.