Le Marmarole rivivono nelle parole degli alpinisti che le hanno scoperte e frequentate. Sono delle Dolomiti discrete, un po' appartate, poco corteggiate. Eppure contano sessanta cime, hanno un perimetro di 85 chilometri, sono poste al centro del Cadore: ne hanno di storie da raccontare; ne avranno sempre di nuove se l'uomo-alpinista-cacciatore saprà percorrerle con rispetto, salvarle dalla banalizzazione, tutelarne le grandi specificità.
A San Vito sono state le protagoniste di una serata (il 28 agosto scorso, n.d.r.), che i rocciatori "Caprioli" sanvitesi e "Ragni" di Pieve, guidati da Bepi Casagrande, hanno reso intensa di emozioni e di ricordi. Sono state poste al centro di un racconto cominciato più di un secolo fa; giudicate «discrete» e «gentili» (anche il Carducci se ne occupò nell’ode "Cadore" e le definì «palagio di sogni» ed «eliso di spiriti e di fate») non sfigurano certo di fronte ai colossi più celebri e rivendicano un ruolo esclusivo, autorevole e degno: Ernesto Majoni, con una narrazione sciolta e documentata, ha tolto la polvere ad eventi lontani, richiamando personaggi e vicende legate alla storia della montagna.
«Dobbiamo guardare al passato per costruire il futuro» ha detto il presidente del Cai sanvitese, Renato Belli, cui ha fatto seguito Massimo Casagrande, il collega di Auronzo. «Sì - ha aggiunto quest’ultimo - un futuro che ci veda tutti uniti a lavorare per la tutela di un ecosistema delicato e prezioso».
Commovente la testimonianza di due rocciatori sanvitesi della prima ora, Gianni Palatini e Giulio De Lucia: «Dopo la guerra eravamo tutti poveri e la frequentazione alpinistica della montagna ci faceva sentire protetti e tutelati, impegnati come eravamo in una sorta di riscatto anche sociale» (l'articolo è di Bortolo De Vido, ed è apparso su Il Gazzettino il 30.8.2009).
A San Vito sono state le protagoniste di una serata (il 28 agosto scorso, n.d.r.), che i rocciatori "Caprioli" sanvitesi e "Ragni" di Pieve, guidati da Bepi Casagrande, hanno reso intensa di emozioni e di ricordi. Sono state poste al centro di un racconto cominciato più di un secolo fa; giudicate «discrete» e «gentili» (anche il Carducci se ne occupò nell’ode "Cadore" e le definì «palagio di sogni» ed «eliso di spiriti e di fate») non sfigurano certo di fronte ai colossi più celebri e rivendicano un ruolo esclusivo, autorevole e degno: Ernesto Majoni, con una narrazione sciolta e documentata, ha tolto la polvere ad eventi lontani, richiamando personaggi e vicende legate alla storia della montagna.
«Dobbiamo guardare al passato per costruire il futuro» ha detto il presidente del Cai sanvitese, Renato Belli, cui ha fatto seguito Massimo Casagrande, il collega di Auronzo. «Sì - ha aggiunto quest’ultimo - un futuro che ci veda tutti uniti a lavorare per la tutela di un ecosistema delicato e prezioso».
Commovente la testimonianza di due rocciatori sanvitesi della prima ora, Gianni Palatini e Giulio De Lucia: «Dopo la guerra eravamo tutti poveri e la frequentazione alpinistica della montagna ci faceva sentire protetti e tutelati, impegnati come eravamo in una sorta di riscatto anche sociale» (l'articolo è di Bortolo De Vido, ed è apparso su Il Gazzettino il 30.8.2009).
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