sabato 18 settembre 2010

Il 18 settembre nella storia dolomitica. Note d'archivio.

Alcune ricorrenze alpinistiche di oggi, 18 settembre, sulle montagne intorno a Cortina:


1863: Antelao, 1a salita "turistica": Paul Grohmann, Matteo Ossi, Francesco e Alessandro Lacedelli "da Meleres";
1931: Costa del Bartoldo, parete S (IV, oggi non più percorribile per frane): Piero Dallamano, Renato Ghirardini;
1946: Cima di Valbona (Sorapis), 1a salita per versante N (I): Antonio Sanmarchi, Enrico Cortellazzo, Carmen Della Torre;
1949: Torre Travenanzes (Fanes), Gran Diedro S (VI): Albino Alverà, Luigi Ghedina, Lino Lacedelli;
e anche ... 1982: Torre Comici (Tre Cime di Lavaredo), ripetizione della allora poco nota Via Casara - Cavallini (IV): Ernesto Majoni, Michele Da Pozzo.

Sconfitte

La passione per la montagna mi ha permesso - collezionando esperienze tutto sommato d’ordinaria levatura, ma tutte "vissute" e gratificanti - di scoprire cime e vie, sognarne tante altre, fare progetti, conseguire successi e sconfitte. Credo però che anche queste appartengano all’esperienza della montagna e si ricordino con piacere, salvo che non siano divenute dolorose. Tornai a casa battuto da qualche via, tra cui la Lacedelli sulla Torre Grande d’Averau, la Dibona sulla Torre Grande di Falzarego, la Dimai sul Campanile Dimai. Quest’ultima prometteva di essere una grande salita e pensandoci oggi, tempo dopo, mi dispiace veramente non averla completata. Il ritiro dipese soltanto da un temporale, che ci prese a metà salita e ci obbligò a ripiegare in fretta. Eravamo già saliti per varie lunghezze, i due tiri più difficili, V secco, erano subito sopra di noi, quando si scatenò il diluvio. A scanso di guai, approfittammo di una cengia baranciosa e riuscimmo a traversare in quota verso la Punta della Croce e toccare il canale che la divide dalla Punta Fiames, giusto sulla verticale dello spigolo. Sul tratto di cengia che taglia la Punta della Croce trovammo una lattina di Coca Cola, abbandonata da poco. Quindi, qualcuno passava in quei luoghi disertati! Giunti sull’orlo del canalone, mentre studiavamo una discesa della quale non si vedeva il fondo, scovammo due chiodi rugginosi. Con due aeree calate atterrammo così nel canale, poco sopra il sentiero del “Calvario”. Lungo il canale c’era di tutto: cordini putridi, chiodi spezzati, moschettoni e un casco in frantumi, materiali sfuggiti a salitori dello spigolo, che sperammo se la fossero ugualmente cavata. Nonostante tutto, rientrammo a casa soddisfatti: tempo dopo, Enrico completò la via con una comune amica, e disse di aver dovuto sudare sette camicie, perché era molto meno semplice di quello che si era immaginato.

giovedì 16 settembre 2010

Punta di Sorapis, 146 anni fa

Per ricordare un bell'anniversario alpinistico: 146 anni fa si registrava la prima ascensione della Punta di Sorapis, grande "3000" dolomitico fra Cortina e il Cadore. Attori della conquista furono il pioniere Paul Grohmann e le guide ampezzane Angelo Dimai Deo e Francesco Lacedelli da Meleres. Quest'ultimo, esperto cacciatore già settantenne, due settimane prima aveva "provato" l'ascensione da offrire al facoltoso cliente, giungendo ufficialmente per primo sulla vetta della Croda Marcora, cinquanta metri più bassa della Punta. La prima salita del Sorapis avvenne dal versante ampezzano, con discesa su quello sanvitese. Lungo quest'ultima fu sperimentata anche la prima corda doppia della storia, e i tre alpinisti camminarono e arrampicarono per 21 ore di fila. Un'impresa oggi improponibile, anche se la salita del Sorapis, che si effettua perlopiù dal versante del Fon de Ruseco di San Vito, richiede il superamento di 1550 m di dislivello e almeno cinque ore di cammino e arrampicata su difficoltà che in un breve tratto toccano il II +. Una grande conquista allora, una grande e bella salita oggi!

mercoledì 15 settembre 2010

Don Giuseppe e le montagne d'Ampezzo

Don Pietro Alverà de chi de Pol, sacerdote e scrupoloso storiografo del suo paese “dagli antichi tempi fino al secolo XIX”, nella sua Cronaca d’Ampezzo, ristampata in anastatica dalla Cooperativa di Consumo (1985) e in edizione trascritta dalle Regole d’Ampezzo (2002), fa un'ammissione che sicuramente stimola chi s’interessa di storia dell’alpinismo: “L’ascendere alti monti, per cagione di studio od anche di diletto è usanza antica…”. Nomina poi un personaggio del quale poco si sa, e meriterebbe di essere rivisitato, per trovarci magari di fronte a qualche “scoop” storico. Don Giuseppe Manaigo, morto a Cortina il 12/6/1858 (a 37 anni secondo Alverà; 35, secondo Richebuono, che indica la data di nascita nel 1823), a suo tempo era considerato un rinomato alpinista. Intendiamoci: un alpinista come semplice escursionista, o come scalatore nell’accezione dovuta al termine a metà ’800, quando il massimo grado di difficoltà su roccia, almeno nelle Dolomiti, era il secondo della odierna scala Welzenbach? Don Pietro suggerisce inoltre che un suo avo omonimo, Pietro Alverà Dipol (+ 1861), e un cacciatore Lacedelli da Meleres (Francesco detto “Checo”, guida di Paul Grohmann nel 1863-64, morto novantenne nel 1886) in gioventù salirono sia sul Cristallo, conquistato ufficialmente il 14/9/1865, sia sul Sorapis, la cui prima ascensione risale al 16/9/1864. Potrebbe darsi che Don Giuseppe, scomparso prima di potersi esprimere appieno sui monti, avesse salito qualcuna di queste cime, che non sono banali neppure oggi, che non vi manca qualche chiodo di sicurezza e bolli di vernice sul cammino. Forse ben prima del 1863, data canonica d’inizio dell’alpinismo in Ampezzo con la conquista della Tofana Seconda, qualcuno aveva già raggiunto le Tofane o altre cime: il Taé, il Valon Bianco, la Croda del Becco, attribuita a Grohmann nel 1874, la Zesta, i cui primi salitori sono ignoti; la Punta Nera, attribuita ad Alessandro Lacedelli da Meleres intorno al 1876, la Croda del Pomagagnon, salita per la cronaca soltanto nel 1890. Su Don Manaigo ritornerò appena possibile, e auspico di poter fare qualche interessante scoperta.

martedì 14 settembre 2010

Curiosità montana

Una curiosità: nella valle d'Ampezzo le montagne dolomitiche oltre il limite dei pascoli, passate in proprietà demaniale come "bottino di guerra" dell'Italia dopo il primo conflitto mondiale, da un ventennio sono state concesse in locazione alle Regole ampezzane che, considerata la loro straordinaria importanza paesaggistica e naturalistica, ne scongiurano eventuali abusi da parte di speculatori.

lunedì 13 settembre 2010

Trent'anni fa sul Cristallo

E' già passato qualche anno da quel giorno d’estate del '96 nel quale, con due cari amici, giungevo per l’ultima volta in cima al Cristallo. In seguito, osservandolo da lontano e leggendo della via normale, mi è preso molto spesso il desiderio di tornarvi, perché credo che - tra i “Tremila” della conca ampezzana - sia il più affascinante, almeno sotto l'aspetto alpinistico. La prima volta che salii in vetta era il 13 settembre come oggi, ma di trent'anni fa: dei tre partecipanti alla gita, ero il più “vecchio”, e avevo ventidue anni. Dato l’allenamento e la scioltezza di movimenti che avevamo all'epoca, l'ascensione non mi era parsa granché impegnativa, ma mi affascinò dal punto di vista ambientale, e la esibii con orgoglio al resto della compagnia. Tornai lassù un anno dopo, al termine di un agosto carico di soddisfazioni alpinistiche; passarono poi una decina di stagioni, fino al '90, quando in vetta trovammo un freddo tale da rendere impossibile anche una breve fermata. Una volta scesi, al Passo del Cristallo tentai di sbucciare un’arancia: pareva vetrificata, e fu davvero un pasto frugale, dopo quella fatica! Tornai su ancora a Ferragosto '91, giorno in cui ad uno del gruppo, scendendo il ghiaione poco sotto il Passo, capitò un disguido che avrebbe potuto avere risvolti seri, e completai la cinquina nell’agosto '96, durante l'ultima estate di grandi avventure alpinistiche: Cristallo, Croda da Lago, Cima Grande di Lavaredo, Punta Fiames. Dal Passo Tre Croci (correggendo Visentini, che nel suo "Gruppo del Cristallo", edito quell’anno, indicava per la salita un tempo medio di sei ore e mezzo) salimmo in due ore e 55 minuti: una e cinquanta per il chilometro di ghiaione fino al Passo e una e cinque minuti per i 400 m di secondo grado  della via normale. La discesa fu altrettanto veloce e il “crighel” di birra che ci aspettava a Son Zuogo ebbe un gusto indimenticabile. Quattordici anni dopo, spero di avere ancora l'occasione di calpestare la sommità di una delle cime più belle d’Ampezzo.

domenica 12 settembre 2010

Pensieri poetici della domenica

Salire montagne è rivivere: liberarsi dalle tare, dalle remore, dall'inquinamento che avvelena la vita di fondovalle. Salire montagne è come uscire dal mondo, purificarsi per entrare in una dimensione nuova. Una dimensione dove quello che si lascia perde valore: contano solo la roccia, il vuoto, il cielo. La realtà è la propria vita affidata a nuovi elementi: appigli per le mani, appoggi per i piedi, la capacità di saperli vedere e sfruttare. Salire montagne vuol dire essere liberi, liberi di mirare verso l'alto. Le mani che accarezzano il sasso cercando l'appiglio. Un appiglio dopo l'altro, ci si alza sempre di più: l'orizzonte si allarga, si moltiplica in piani diversi fino a perdersi nell'infinito. Salire montagne vuol dire tendere sempre più all'immensità. Le mani si screpolano, sanguinano al contatto con la roccia, ma si continua a salire. Si sale fino a ubriacarsi di cielo, di roccia, di sole, fino alla soddisfazione del proprio modo di essere alpinisti. Salire montagne fino a giungere in vetta: è l'ambito premio alle proprie fatiche. Godere l'orizzonte delle montagne circostanti, in modo che la visione rimanga a lungo nell'animo e sia di conforto in ogni momento. Alzare le braccia verso l'alto per toccare con la punta delle dita l'azzurro del cielo. Salire montagne significa questo, ma anche di più.