sabato 8 novembre 2008

Passeggiando in Val Popena Alta, prima che l'inverno sia qui

Nella porzione orientale del gruppo dolomitico del Cristallo, sul versante sud-est della Val Popena Alta, alla base del costone che degrada dal Corno d’Angolo, a 2214 metri di quota si apre una larga ed agevole insellatura, che pone in comunicazione la valle con il Passo Tre Croci e Misurina. La sella è incoronata da vette maestose, fra le quali risalta il Piz Popena, uno dei “Tremila” più grandiosi e meno frequentati delle Dolomiti, salito per la prima volta nel giugno 1870 delle guide Santo Siorpaes e Christian Lauener con Edward R. Whitwell.
Ai suoi piedi, il bonario Corno d’Angolo, che espone verso sud un caratteristico spigolo giallastro; seguono la Croda di Pousa Marza, le Torri Sud-Ovest e Nord-Est di Popena e poi la Punta Michele, dove nel 1944 Dibona realizzò la sua ultima via nuova con Casara, Cavallini, Menardi e Trenker. Seguono il Cristallino di Misurina, visitato già nel 1864 da Paul Grohmann, ignorato nell’epoca d’oro dell’alpinismo e trasformatosi in sanguinoso campo di battaglia durante la I Guerra Mondiale; il trittico formato dal Campanile Dibona, Guglia di Val Popena Alta e 3a Punta di Val Popena Alta; le Pale Sud-Ovest e Nord-Est di Misurina, con itinerari quasi “di palestra” aperti da Del Torso, Quinz e ancora da Molin.
Oggi ci ripromettiamo di raggiungere la panoramica insellatura, che dista pochi passi dal confine fra Auronzo e Cortina e dal limite orientale del Parco Naturale delle Dolomiti Ampezzane, e sulla quale campeggiano da anni i ruderi di un piccolo rifugio, costruito nel 1938 e battezzato semplicemente Rifugio Popena, con cui s’intendeva arricchire la valle (che dalla sella si ammira in tutta la sua austera bellezza) di un punto d’appoggio per scalatori ed escursionisti, e promuoverne anche la frequentazione invernale. Il rifugio non ebbe fortuna, perché un incendio lo rese completamente inutilizzabile negli anni della II Guerra Mondiale, e fino ad oggi nessuno ha deciso di ricostruirlo. Le macerie sulla Sella non servono nemmeno come bivacco di fortuna, e non fanno certamente onore al valico, un belvedere dolomitico naturalisticamente prezioso e ricco di storia. La sella, inoltre, costituisce un crocevia di importanza fondamentale per alpinisti e per escursionisti; forse lassù una struttura potrebbe anche starci bene, pur dovendo sempre fare i conti con la mancanza d’acqua. Seppure il Lago di Misurina si stenda soltanto a poco più di un’ora di distanza, l’ambiente intorno all’ex Rifugio non ha mai subito pesanti invasioni, pur trovandosi molto vicino ad un circondario amato dal turismo di massa. Se il valico e le superbe e silenziose cime che l’incoronano saranno risparmiate da valorizzazioni artificiali, chi le frequenta potrà godere sempre del piacere di aprire da lassù la miglior porta d’ingresso al grande gruppo dolomitico del Popena.
Per visitare la zona, possiamo partire dal Ponte sul Rudavoi o da quello sul Ruvieta, che incontriamo salendo lungo la strada 48bis delle Dolomiti fra il Passo Tre Croci e Misurina, oppure dall’agriturismo di Malga Misurina. Noi vogliamo invece consigliare l’accesso classico alla valle, dal tornante posto a quota 1659 sulla strada che risale la Val Popena Bassa, fra Carbonin e Misurina. All’interno del tornante, imbocchiamo subito la traccia (il segnavia bianco e rosso del CAI è il n. 222) che rimonta un prato e, di fianco alle acque solitamente tranquille del Rio Popena, inizia a risalire la valle. A destra incombe il grandioso castello del Cristallino di Misurina, a sinistra la Costa Popena, coperta di boschi. Ben presto la traccia si perde un po’, a causa dell’acqua del torrente che spesso esce dalla sua sede: poi d’improvviso ricompare, rassicurandoci con segni rossi e ometti. Man mano che si sale, l'ambiente si fa via via più selvaggio e solitario, anche se siamo ancora abbastanza vicini al fondovalle. Superato un tratto sassoso in cui il sentiero sparisce, giungiamo ad una zona di mughi, presso una forra: il sentiero rimonta con qualche svolta il fianco destro della valle, in vista delle
Pale di Misurina, che su questo lato mostrano due belle pareti. Dopo aver tagliato un canale e lo sbocco basale della Val delle Baracche, che sale a destra verso il Cristallino, giungiamo alla base del circo terminale della valle: in fondo si eleva il Piz Popena, di fronte le Torri di Popena chiudono la testata. Ignorato il sentierino che, oltre il torrente, porterebbe a Forcella delle Pale di Misurina per poi scendere al Lago, seguiamo ancorala nostra traccia, che per prati e mughi supera una bella conca. Rimontato a sinistra l’ultimo ripido pendio, arriviamo infine alla Sella e ai ruderi del rifugio. La salita ci ha richiesto poco meno di due ore; non è molto faticosa ed è molto frequentata anche d’inverno, con gli sci o le racchette. Da quassù, il panorama che possiamo godere è semplicemente straordinario, e chi lo desidera potrà esercitarsi a riconoscere, vicine o più in lontananza, alcune delle più famose vette delle Dolomiti Orientali. Se non siamo troppo stanchi e vogliamo vedere cosa c’è “al di là” della sella, potremmo avventurarci alla scoperta del Corno d’Angolo, una cima panoramica che richiede una salita breve e non troppo impegnativa, in una zona incontaminata con poche tracce. La salita è alla portata di quegli escursionisti che sono in grado di procedere su terreno non segnato e un po’ friabile; se però ci dà fastidio l’esposizione, forse il Corno non fa per noi. Dalla sella ci inoltriamo nel silenzioso circo sulla destra orografica della testata di Val Popena Alta. Lo rimontiamo sul fondo, affiancando a destra le Torri di Popena e scegliendoci il percorso più comodo fra erba, ghiaie e grossi massi, fino a raggiungere una caratteristica, piccola forcella della cresta, che sul versante opposto sprofonda inaccessibile verso il Rudavoi, fra il nostro Corno a sinistra e la Croda di Pousa Marza a destra. Dall’erbosa selletta, seguendo tracce sulle ghiaie ed alcuni ometti verso sinistra, saliamo per una cinquantina di metri di dislivello, con qualche breve e facile passaggio su roccia (possiamo restare in cresta o anche sotto cresta, verso la valle), fino all’esposto mucchio di blocchi che costituisce la cima del Corno, segnalata da un bastone. Quando torneremo sui nostri passi, seguiremo attentamente la via di salita, cercando di non smuovere sassi su chi ci sta davanti, e in pochi minuti riguadagneremo il circo sassoso, dal quale potremo tornare alla base soddisfatti per aver conquistato una bella cima dolomitica. Chi è rimasto ad aspettarci alla Sella, se ne ha voglia, in una mezz’oretta può salire ai piedi della Torre Nord-Est di Popena, per vedere le tavole di pietra recanti gli stemmi del Tirolo e della Repubblica Veneta, sistemate lassù nel 1754 dagli incaricati dei due governi per marcare il confine fra gli imperi.
Pur essendoci, come detto, anche percorsi alternativi, per il ritorno seguiremo in senso inverso l’itinerario di salita, ed in circa un’ora e mezza raggiungeremo nuovamente le nostre vetture.

Il "sentiero selvaggio" del Busc de r'Ancona

Nell'agosto 1977 per la prima volta, e poi in altre occasioni, scesi con gli amici l'imbuto roccioso nel quale scorre il Ru de r’Ancona, che dall'omonimo Busc (luogo della leggenda ampezzana del diavolo, che sarebbe scappato dalla valle forando la parete a cornate, perché non era stato capace di convertire a suo vantaggio gli abitanti) scende a incrociare la strada d’Alemagna all’altezza del Ponte de r’Ancona. L’imbuto caratterizza un bell'angolo del Gruppo della Croda Rossa, e scende per circa 500 metri di dislivello. Con un po' di disinvoltura, dato che il letto detritico è sconnesso e non ci sono tracce, è tutto transitabile, a parte un breve tratto. Abbastanza in basso, infatti, il torrente si espande in una piccola pozza, oltre la quale uno strapiombo di almeno 15 metri, percorso da una cascata, blocca l’ulteriore discesa. La chiave del problema risiede sul versante destro del canale. Tracce nel bosco raggiungono un vecchio cippo forestale e poi scendono nel solco sassoso del Ru, permettendo di scansare comodamente l’ostacolo e riprendere il percorso. Il canale, risalito da pochi anche perché è piuttosto franoso e faticoso, fu sceso con gli sci intorno al 1984 da Nina Ford, sola: l’avventura scialpinistica fu descritta sul semestrale “Le Dolomiti Bellunesi”. Tra le escursioni selvagge ancora possibili a Cortina, questa è consigliabile a persone esperte e disincantate, munite di buoni garretti e robuste calzature. Salire al Busc per la traccia militare che fiancheggia il canale a sinistra (qualche segno rosso), traversare il singolare arco roccioso e poi destreggiarsi tra i massi e le ghiaie fino alla strada: è un grande “sentiero selvaggio”, che non compare nei libri e permette di vivere un'esperienza di wilderness altrove ormai sparita.

lunedì 3 novembre 2008

Croda d'Ancona, cronaca della posa di due libri di vetta

Sapendo che mancava, il 22 agosto 2002 portai un libro di vetta sulla Croda de r’Ancona, il “fosco baluardo” nel gruppo della Croda Rossa che domina la Strada d’Alemagna - tra Fiames ed Ospitale - con canali franosi, cenge spioventi su cui regnano i camosci, rocce friabili, mughi e zolle erbose, ed offre una istruttiva escursione, con base di partenza a Ra Stua o in Val de Gotres.
Teatro di scontri durante la Grande Guerra, tracce dei quali sono ancora visibili sulle sue pendici, fino a qualche anno fa la cima non era molto visitata. Oggi, anche se - fortunatamente - non rientra fra le più gettonate delle Dolomiti, conta molte visite in più. Molti salitori sono locali e veneti - che scelgono la Croda anche come destinazione per gite sociali -, mentre sono rari gli stranieri.
Non è una meta per rocciatori, perché non ha pareti o spigoli degni di considerazione, né vie di scalata. La “via normale” è una camminata mediamente lunga, in cui si alternano fasce detritiche, erbose e sassose. Non esposta né difficile, l’ascensione, specie nelle stagioni intermedie, va comunque affrontata con l’attenzione richiesta da escursioni in quota.
Il 15 ottobre 2006, su segnalazione dell’amico guardaparco Giordano, tornai in vetta con un’amica per sostituire il libretto, già logorato dalle intemperie e quasi esaurito. Il nuovo quaderno, che spero duri a lungo senza essere imbrattato da troppe stupidaggini e volgarità, è posto in una scatola impermeabile a fianco della croce, protetto da alcuni sassi, e ben visibile per chi giunge in cima.
Ho sfogliato il ”vecchio” libretto, ma non proporrò statistiche né giudizi sui suoi contenuti. Mancano le firme d’alpinisti famosi e non ci sono grandi imprese, ma solo i segni discreti del passaggio di chi è arrivato fin lassù spesso con fatica e sudore, per godersi il panorama sulle Dolomiti, fino alla Val Badia e ai ghiacciai sudtirolesi. Estrarre un nome o una frase piuttosto che altri non avrebbe scopo. Noto invece che diverse persone sono state colpite dalla bellezza di quei luoghi; molte si affezionano alla cima e vi salgono più volte, anche nella stessa stagione, magari venendo da lontano. La Croda è meta anche di alpinisti in erba, indotti a conoscere la montagna con una salita che fa da efficace banco di prova (fu così anche per me, salitovi per la prima volta coi miei genitori a circa dieci anni di età).
Non mi avventuro quindi in deduzioni storiche o di altro tipo dai contenuti del libro di vetta, oggi custodito nell’archivio della Sezione CAI di Cortina. Auspico che la cima, nota ab antiquo ai cacciatori per la ricchezza d’ungulati della zona, e ai pastori, poiché domina la Monte de Lerosa, costituisca una piacevole meta per un momento di svago.
Per alcuni sarà un traguardo sofferto e importante, per altri un tirocinio in vista di altri cimenti, ma dovrebbe conservare sempre integro il fascino di cima selvaggia, teatro di cruenti episodi in guerra ed oggi simbolo di pace alpinistica. Sarebbe bello che la Croda restasse sempre fuori da iniziative di valorizzazione, e si mantenesse come la conosciamo: una vetta facile, praticabile fino a stagione inoltrata, che offre un gran panorama e vari motivi d’interesse, anche non atletico, per essere conosciuta.
Coloro che sceglieranno la Croda de r’Ancona per una salita dolomitica, potranno apporre con piacere il loro nome sul libretto di vetta, lasciando un segno della presenza su una cima interessante per il panorama che offre, le testimonianze storiche che custodisce e l’atmosfera di solitudine che avvolge i suoi versanti.

domenica 2 novembre 2008

Ra mè Ponta Fiames - 21 anni dopo una delle tante ripetizioni, 2 novembre 1987

Avrò salito la Punta Fiames almeno 70 volte, circa 50 per la ferrata Albino Michielli Strobel e una ventina per la via Dimai della parete sud-est. Alla fine degli anni ’80, giunsi al punto di battezzare la cima “ra mè Ponta Fiames” e citarla sempre e dovunque come una montagna amica e confidente. Fino all’8 maggio 1988. Quel giorno, infatti, stavo salendo con un amico la via Dimai. Giunti alla penultima lunghezza (la più delicata, caratterizzata da una parete con piccoli appigli, che permette di uscire fra i tetti visibili anche dal basso), mi stavo impegnando sul passaggio più duro quando fui impaurito dagli schiamazzi provenienti da una cordata che sopra di noi stava smuovendo alcuni sassi. Scivolai indietro sulla roccia, sbattendo un piede sul terrazzino dove l'amico faceva sicura, e mi procurai - per fortuna - una distorsione ad una caviglia. Fui costretto a risalire comunque la parete, superare l’ultimo tiro e mezzo con un piede solo, uscire in vetta, traversare in Forcella e scendere il ghiaione. Giunto nel bosco ai piedi del Pomagagnon, ottenni un passaggio da due ragazzi saliti con noi che mi avevano aiutato a togliermi da quella situazione, e giunsi a casa con loro. L’incauto incidente mi costò 35 giorni di gesso e un bel po’ di riabilitazione. Mi rimisi in piedi in fretta, tanto che a fine giugno feci già un'altra salita, ma per un lungo periodo della Fiames non volli più sentir parlare. Dopo d’allora ho salito ancora la Dimai e la Ferrata ma, chissà perché, il ricordo del malaugurato incidente che poteva avere conseguenze molto serie, cancellò per sempre dal vocabolario l'espressione “ra mè Ponta Fiames”.