sabato 14 agosto 2010

In gita col micio

Mi è successo, e non è certamente nulla di strano ma mi piace toglierlo dal cassetto dei ricordi, di realizzare almeno tre uscite in montagna con animali al seguito. Un cane, una capra, un gatto hanno fatto compagnia a me, familiari e amici durante due escursioni nel gruppo delle Tofane e una nel circondario della Croda Rossa. Della capretta ho narrato in un paio di sedi le vicissitudini, come pure del cagnetto e del piccolo felino. Per quanto riguarda quest'ultimo Era forse il 1975: agli esordi delle nostre scorribande in montagna, con Carletto, Didi e Sandro salimmo il Col Rosà per la ferrata. Niente di speciale guardando il fatto trentacinque anni dopo, ma allora ero il più anziano dei quattro, e non avevo neppure diciassette anni ... Al campeggio di Fiames, un micio emerse dagli alberi ed iniziò a trotterellare dietro di noi. A Posporcora ce l’avevamo ancora vicino, all’attacco della ferrata anche. Cosa fare? Carlo lo prese e se lo infilò nello zaino, lasciando fuori la testa; era piccolo, ma per nulla spaventato, e si lasciò portare senza fare storie su per la parete, fino in vetta. Lassù lo lasciammo libero, e non fuggì: anzi, divise con noi qualcosa della merenda che avevamo portato, e poi continuò a seguirci, zampettando lungo le ghiaie, in mezzo ai mughi, fra gli alberi, negli accidentati canali del sentiero di ritorno, fino a Pian de ra Spines. Giunto nei pressi del campeggio, mosso dall’istinto, il micio cambiò strada e sparì. A noi non miagolò nulla: fra me e me gli rivolsi un piccolo grazie per la tenera, silenziosa, discreta compagnia che ci aveva fatto in quella giornata di montagna

venerdì 13 agosto 2010

La Porta del Dio Silvano

Tra Fraina e Mandres, lungo il sentiero che si snoda ai piedi del Mondeciasadió (antichissimo ed evocativo nome dell’odierno, asettico complesso di Faloria), oltre il prato di Ranpognei, lo sguardo dell’escursionista sarà sicuramente calamitato dalla rossastra parete basale del monte. Nel centro di essa emerge una spaccatura della dolomia, un rettangolo ben squadrato, quasi un ciclopico portale. E’ la “Porta del Dio Silvano”, un luogo di culto precristiano, obiettivo turistico di un certo interesse nell’Ottocento, oggi poco conosciuto ed ancor meno frequentato. Il luogo si raggiunge, con difficoltà divenute ormai quasi alpinistiche per il terreno scosceso e franoso, lasciando a destra il sentiero di Mandres in corrispondenza di un solitario blocco cubico. In salita, spiccano ancora qua e là bolli di vernice dipinti tanto tempo fa, ma il sentiero vero e proprio sta scomparendo, e salire alla Porta - alla base della quale un’angusta cornice visibilmente utilizzata dagli ungulati consente una sosta panoramica e meditativa - mi pare quasi diventato un problema. E’ un peccato, per varie ragioni: nel periodo dell’esplorazione dolomitica, la Porta era compresa negli itinerari delle guide , che vi portavano i clienti smaniosi di provare il brivido dell’avventura; la Porta è un luogo misterioso che accende la fantasia; la zona emana un fluido quasi magico, che l’abbandono contribuisce solo ad accentuare. Mentre vi salivamo, in un livido pomeriggio novembrino di qualche anno fa, in tutto il circondario avvistammo soltanto due camosci che, intimiditi dalla nostra comparsa, in un secondo scomparvero fra gli alberi. Una volta, avevo lanciato l’idea di restaurare almeno in parte la via d’accesso: è rimasta soltanto un’intenzione, ma penso che una volta o l’altra un ripristino minimale dovrà essere ideato. In caso contrario, considerato il rapido degrado del pendio basale, credo che fra non molto la Porta, utilizzata dal Dio Silvano per accedere al suo reame, potrebbe non aprirsi più.

martedì 10 agosto 2010

91 anni fa, la prima via nuova in Ampezzo italiana

Qualcuno forse ha ancora memoria del "Péar", che svolse una buona attività alpinistica, e il cui nome è citato nel “Libro d’oro delle Dolomiti”. Il "Péar", dal soprannome di famiglia che significa “pepe” e richiama una persona frizzante ed energica, si chiamava Isidoro Siorpaes (1883-1958). Il suo ciclo d’attività in montagna occupò l’immediato primo dopoguerra, protraendosi lungo gli anni ’20. Nelle fonti, il suo nome ricorre almeno tre volte. La prima esattamente 91 anni fa, il 10/8/1919, quando - con Federico Terschak, rientrato da poco dalla triste esperienza della guerra - salì la Punta Nera per la cresta S, partendo da Dogana Vecchia, ex confine di Stato. Sette ore tra mughi, ghiaie e roccia friabile, uno sbalzo di oltre 1700 metri dal confine, una “arrampicata lunga e faticosa” (Berti), che forse nessuno ha mai ripreso. La seconda segue di un anno: il 9/9/1920, con Terschak, Angelo Dibona e Giulio Apollonio, Siorpaes si aggiudicò la prima salita italiana del dopoguerra della Via Eötvös sulla parete S della Tofana di Rozes, all’epoca un’impresa di un certo spessore. La terza: ho trovato da poco la notizia che il 29/10/1920 Siorpaes e Terschak, seguiti da Gianangelo Sperti e Agostino Cancider, compirono la seconda salita e prima italiana senza guide della via di Angelo Dibona, Celestino de Zanna, Amedeo_Girardi e Leopoldo Paolazzi sul Campanile Rosà, a E del Colle omonimo, tracciata il 17/10/1910. Si trattò di una via breve ma aerea e impegnativa, ripetuta spesso negli anni seguenti ma poi caduta nell'oblio. Mi sfugge il luogo esatto, ma da qualche parte si legge che Siorpaes avrebbe svolto il mestiere di guida: con sufficiente certezza non lo fece ufficialmente, anche se forse le sue capacità e la sua esperienza ne avrebbero fatto un valido maestro. Come ho detto, il suo nome fa parte del “Libro d’oro delle Dolomiti”, il dizionario di date, cime e personaggi dell'alpinismo dolomitico compilato da Severino Casara, che documenta la storia delle nostre montagne. In un momento poco adatto all’esplorazione (nel 1919 la gente aveva altro cui pensare), su una cima negletta, il Péar e Terschak scoprirono un percorso tra i più lunghi delle Dolomiti che non è divenuto classico, ma serve a ricordarli nella storia ampezzana.

La croce sul Monte Pore, in memoria di Don Claudio

Domenica 8 agosto, in occasione della salita sul Monte Pore fra Colle Santa Lucia e Livinallongo (classica facile e panoramica, ripetuta ormai diverse volte), abbiamo visitato la croce, posta alla base del tratto più ripido della via normale e da poco benedetta, a ricordo di Don Claudio Sacco Sonador, travolto da una valanga nella notte fra il 2 e il 3 dicembre 2009 sul versante NW della cima. Mi fa molto piacere che Don Claudio possa essere ricordato fra i monti prediletti. Lo rivedo, nostro giovane cappellano a Cortina per tutti gli anni ’70, amante della musica e del canto sacro e direttore della Schola Cantorum, ai vertici dello scialpinismo italiano con le discese della Tofana di Mezzo da W, della Tofana di Dentro da E, del “canale del prete” sul Cristallo, della Fissura del Pelmo da N e tante altre. Ma prima di essere un valente alpinista e scialpinista, Don Claudio era senz’altro un bravo prete: animatore dell’Azione Cattolica a Cortina, poi missionario a Sakassou in Costa d’Avorio, poi ancora direttore della Caritas di Belluno, e infine pastore della comunità di Mas - Peron, ai piedi dei Monti del Sole. Sul libro di vetta del Pore abbiamo letto la sua ultima firma, posta alle 23.30 di una notte di luna piena e accompagnata da un rigo musicale, come fosse un ultimo inno alla vita. Quella vita che Don Claudio ha tanto amato e che, prima ancora dell’inizio dell’inverno, una valanga ha inesorabilmente spezzato.