giovedì 18 novembre 2010

Un giorno di febbraio d’alcuni anni fa ...

Nel febbraio d’alcuni anni fa, con un paio d’amici salii in vetta al Beco de ra Marogna, piccolo cono roccioso del gruppo del Nuvolau, che balza evidente dalla strada del Passo Giau. Più che per l’arrampicata, il Beco ha lasciato un segno nella storia d'Ampezzo, poiché per circa 400 anni segnò un confine nazionale, e oggi marca il limite fra la sanvitese Monte de Giou e il territorio regoliero ampezzano. Fino alla Grande Guerra il cono, la cui somità è quotata 2271 m, non aveva un nome. L'oronimo Becco Muraglia (Beco de ra Marogna), quindi, gli fu assegnato meno di un secolo fa, traendolo dalla Marogna, la Muraglia di Giau che alla sua base trova uno dei due capisaldi. Non è noto chi abbia salito per primo quella punta, dove nel '72 Franz Dallago tracciò una breve via di III e IV, ed un quarto di secolo dopo è tornato ad apportarvi una variante. L'accesso usuale al Beco si sostanzia in una parete inclinata di roccia ghiaiosa, con difficoltà di I per una cinquantina di metri di lunghezza. Un amico che vi è salito nel settembre 2009, mi ha riferito che sulla parete sommitale si è depositato ulteriore detrito, per cui sono più che mai necessarie prudenza e piede fermo, soprattutto per la discesa. Qualche mezzo di sicurezza forse tornerebbe utile, ma il terreno non ne favorisce certamente l´utilizzo. Sul Beco sono salito quattro o cinque volte, sempre per coronare un breve vagabondaggio nel sottostante, accidentato bosco del Forame, uno dei più suggestivi della nostra zona. Una delle mie salite è stata una vera e propria invernale: non sarò stato certamente il primo, ma l’inverno asciutto di quell’anno e la voglia di respirare aria sottile ci aveva spinto ad avventurarci su quella cima anche in una breve giornata d'inverno. Sono tornato ancora lassù, sempre volentieri: il silenzio ovattato del luogo e l'ampia visuale che si gode dagli sconnessi blocchi della cima li conservo dentro di me come un bene prezioso.

Una chiesetta ad alta quota, che merita più attenzione

Sul Passo Tre Croci (localmente Son Śuogo, 1805 m), valico che collega la valle del Boite con quella dell’Ansiei, all’inizio dell’ex strada militare diretta verso Forcella del Ciadìn sorge una chiesetta, che non è dedicata ad alcun santo particolare.
Vicino ad essa, tre croci di legno allineate ricordano la storia della povera madre morta assiderata lassù oltre due secoli fa con i due figlioletti, mentre tentava di scendere da Auronzo a Cortina in cerca di cibo.
La chiesa ha poco più di cent'anni: volle costruirla, infatti, nel 1906 Giuseppe Menardi “Tre Crójes” (1854-1938), proprietario del grande albergo sul valico. Il millesimo MCMV, collocato sopra la porta d’entrata, la farebbe però retrodatare al 1905.
L’edificio è chiaro, semplice e disadorno, e si articola in un vano unico con il presbiterio rialzato. Non offre particolari degni di nota, né sotto l'aspetto costruttivo né delle opere d'arte. L’altare ligneo, prodotto di buona fattura risalente al XIX secolo, fu tolto dalla chiesa della B.V. della Salute di Cadin per essere posto lassù in occasione dell’Anno Santo 1950.
Seconda in Ampezzo per quota dopo quella sul Passo Falzarego, la chiesetta di Tre Croci rientra nel perimetro del vicino Hotel, prima multiproprietà di Cortina e in ristrutturazione da lunghi anni: è aperta e non è granché curata. Di sicuro meriterebbe qualche attenzione, magari arricchendola col ricordo degli alpinisti ed escursionisti caduti dalle prospicienti vette del Cristallo fin dalla nascita dell'alpinismo, da Michl Innerkofler (+ 1888) ad oggi.

martedì 16 novembre 2010

Uno scampolo d'autunno

14/11/2010. Un po' di sole c'invita a partire, e così alle dieci del mattino lasciamo la macchina poco oltre Dogana Vecchia, alla base della pista forestale che ci porterà all'Albergo dei Peniés, meta di un'escursione alla quale siamo ormai affezionati.  In alto, sopra la rumorosa Statale d’Alemagna fra Cortina e San Vito, in una radura imboschita ai piedi della Croda Marcora, sorge quello che un tempo era un "cason" pastorale, al centro di un pascolo degli ovini sanvitesi. Arrivai lassù per la prima volta nel 1991: pur essendo citata sulle carte topografiche come "Baita Pinies", dell'antica costruzione però trovammo solo tronchi accatastati. Nel 1994 i tronchi, ormai marciti, furono sostituiti da una mangiatoia per gli ungulati, con annesso uno stanzino per una precaria sosta d'emergenza. Dall’ex Ponte del Venco, oggi cancellato dalle rettifiche alla SS51, la pista risale ripida il costone che fiancheggia un grande invaso detritico, inoltrandosi nella magra pineta che caratterizza le balze meridionali del Sorapis. Dall'Albergo dei Peniés, poi, si può salire ancora un po' lungo una pala erbosa costellata di massi, probabile resto di una grande frana. Essa termina sessanta metri più in alto, a 1427 m di quota. In quel punto, dove usualmente ci fermiamo presso un grande masso piatto, uno dei colatoi che scendono dal Marcora si divide in due rami minori, convogliando altrove ghiaie e detriti e tenendo pulita la pala, luogo verde e solitario. L'Albergo dei Peniés, dove siamo passati sette volte in cinque anni,  è un angolo rilassante che offre una visuale a 180°, dalla Ponta dei Ros al Péna, Pelmo, Rochétes, Becolòngo, Beco de Mesodì, Cinque Torri e Tofana de Rozes. Luogo quasi sconosciuto, è il clou di una distensiva passeggiata, nella quale credo che molto raramente troveremo qualcuno a contenderci il passo.

lunedì 15 novembre 2010

Non sarà famosa, ma è una gran bella montagna davvero!

Diciannove anni fa, l’11 agosto, giunsi con un amico su una sommità del tutto “fuori del coro”: la Cima Scotèr, nella porzione sanvitese del gruppo delle Marmarole, ben visibile dalla piazza centrale di San Vito ma incredibilmente ignorata. Buon pretesto per salirla fu la relazione pubblicata da Luca Visentini in “Antelao Sorapiss Marmarole” del 1986, dove comparivano queste allettanti note: “È cima tra le più belle di questa regione. Irragionevolmente dimenticata e trascurata. Notata, indicata sulle carte, ma sprofondata nel segreto di quei pochi – 10 salite dal 1940 al 1985!- che hanno potuto ammirare, calcando la sua vetta, l’immagine più diretta ed ideale dell’Antelao …” Nell’anno in cui salii in vetta, consultando il libretto apprendemmo di essere i secondi: dopo di noi non so, ma penso che ben poche persone tocchino ogni estate la solitaria vetta di questa grande montagna, superando i circa 100 m di dislivello che la staccano dal temuto Passo del Camoscio, con difficoltà di I-I+ su roccette non troppo difficili, ma piuttosto friabili ed esposte. La prima ascensione della Cima Scoter si deve ad Ernestine e Otto Lecher e C. Reissig con quattro guide ampezzane della seconda generazione, Giovanni Barbaria, Arcangelo Dibona, Pietro Dimai e Arcangelo Siorpaes, il 25/8/1900. Una curiosità: qualche anno fa, nei libretti di Giovanni Battista Del Favero "Tita Valier" (1878-1952), guida alpina di San Vito in esercizio dal 1910 al 1937, trovai le note di quattro salite con clienti sulla prospiciente, e più impegnativa Cima Bel Pra, ma in 27 anni nessuna su quest’altra montagna, che pure impone sul paese cadorino una sagoma massiccia e altissima. Con alcuni altri amici, partimmo per rifare la Scotèr intorno al 1997. Un incidente ad una del gruppo interruppe la salita, e oggi mi piace sempre guardare la Cima da San Vito, specie nella luce del tramonto, dopo un temporale o d'inverno. Non sarà famosa né ambita, ma è una gran bella montagna, davvero!