venerdì 25 giugno 2010

Spigolo Fanton, a cent'anni dalla prima salita

Ho già detto e scritto che le Marmarole costituiscono uno dei gruppi dolomitici più selvaggi, meno frequentati, più ricchi di opportunità per scalatori, amanti di vie normali, frequentatori di grandi sentieri. Fra le poche avventure vissute su quei monti, mi sovviene la salita alla Croda Bianca. La cima in questione è quel magnifico, gigantesco pilastro appuntito che ognuno di noi avrà sicuramente notato almeno una volta, transitando sul Ponte Cadore in direzione di Cortina. Non è una montagna facile, ma la ritengo una delle più belle delle Dolomiti Orientali. Mi è occorso di salirla con mio fratello, lungo la cresta SE, detta anche “spigolo Fanton”, che ricordo oggi perché fra cinque giorni compie esattamente 100 anni. Non è la “via normale”, peraltro oggi abbandonata, e neppure la possibilità più semplice per giungere in vetta, ma per la linea superba, la scalata di difficoltà medie ma continue, il grandioso ambiente in cui s’inserisce, è un gioiello da raccomandare. Come tante altre nella zona, la prima salita della Croda Bianca appartiene ai fratelli Fanton di Calalzo, che esplorarono la cresta il 30/6/1910. Facendo un po’ di conti, si tratta di 600 metri di cresta-spigolo, con difficoltà stabili di II e II+. Il passo più impegnativo, stranamente, si trova al termine della salita, anzi in discesa: è infatti una cengia ripida, friabile ed esposta, che si deve scendere per risalire poi verso i due caratteristici spuntoni detti “Dante e Virgilio” e rientrare alla base. Ricordo che la lunga escursione, compiuta il 17/8/1993, ci gratificò moltissimo: ci legammo solo in alcuni tratti della via, e la salimmo tutta in circa tre ore. Eravamo ben attrezzati e ben allenati, quindi anche la cengia, la risalita ai due torrioni “letterari”, la traversata a Forcella Marmarole eccetera, scorsero via lisci. Diciassette anni dopo, di quella salita mantengo ancora un ricordo indelebile, e la consiglio a tutti coloro che salgono le cime coi piedi, le mani e il cervello, si guardano intorno e godono delle grandi, ma anche delle piccole cose.

giovedì 24 giugno 2010

Ricordi di una visita lampo ai piedi del Monte Rosa

Dal 17 al 20 giugno, in occasione dell'81° incontro del Gruppo Italiano Scrittori di Montagna, al quale mi onoro di appartenere dal 2004, mi è stato possibile visitare Macugnaga. Il paese della Val Anzasca è noto per la sua strategica posizione ai piedi della parete E del Monte Rosa, la più alta ed himalayana delle Alpi (2,5 km circa...). Durante il soggiorno, con la competente e appassionata guida del glaciologo Claudio Smiraglia siamo saliti all'Alpe Pedriola, quasi alla base della parete, dove sorge dal 1925 l'ospitale Rifugio Zamboni-Zappa. Il tempo ci ha riservato una miracolosa finestra d'azzurro e di sole, permettendoci di godere, soprattutto dalla Cappella Pisati, un'ampia visuale sui 4000 del gruppo del Rosa e sul tormentato Ghiacciaio del Belvedere. Il giorno dopo, con l'intenzione di dare un'occhiata alla confinante valle svizzera di Saas, siamo saliti in funivia al Passo del Moro e lungo il nevaio ancora sciabile abbiamo raggiunto la soprastante Madonna degli Alpinisti. La fitta nebbia e il nevischio sferzante hanno impedito ogni sguardo, sia verso la Svizzera sia verso l'Italia, consentendoci comunque una simpatica escursione in compagnia, con la visita al grazioso rifugio Oberto-Maroli, appollaiato a 2800 m sotto il Monte Moro. Pur se devo confessare che, da viziato dolomitista, preferisco le mie montagne, ammetto che il versante macugnaghese del Rosa mi lascia un ricordo di enormi spazi, distese nevose e seracchi di ghiaccio, implacabili morene, boschi fitti, cascate grandi e piccole ed animali: davvero emozionante!

lunedì 21 giugno 2010

No smoking (per iniziare l'estate)

Ebbene sì, sono anch'io un fumatore pentito. Da giovane, fumai diverse buone sigarette: nulla di strano, se non fosse che dopo qualche tempo mi resi conto che l'alpinismo e il fumo non sono grandi amici. Ricordo una volta, mentre salivamo la via normale del Sassongher in Val Badia: a metà dell'accesso alla cima, che per noi era iniziato direttamente dalle case di Pescosta sopra Corvara, trovai una panchina e mi fermai ad accendere una "ghèba". Fu un'idea disgraziatissima; da là in avanti (per la vetta mancavano ancora 600 metri di dislivello), nonostante avessi ventidue anni, feci il triplo della fatica degli amici per salire e giunsi alla croce di vetta veramente spompato. Quindici mesi dopo, per una serie di concomitanze chimico-fisiche a me ancora ignote, smisi definitivamente di fumare, ed in effetti i vantaggi si ripercossero subito anche in montagna. Nell'estate successiva all'ultima sveviana sigaretta, mi capitò di ripetere con Mario la "fessura Mazzorana a sinistra degli strapiombi gialli" sul Popena Basso, una via che mi piaceva molto. Uscito dal diedro, mentre ripiegavo la corda, un riflesso condizionato mi portò, dopo tanto tempo, ad infilare la mano nella patella dello zaino cercando un pacchetto, che per fortuna non c'era più. Quel giorno, lo confesso, ebbi una certa nostalgia dell'abitudine che avevo instaurato, di godermi una sigaretta al termine delle salite: come scrisse Casara, “le poche, più buone sigarette sono quelle fumate in parete, guardando le nuvolette di fumo azzurrino ...” Non fumo più dal 1982, ma un paio di volte, dopo aver guadagnato con soddisfazione qualche montagna, specie se impegnativa, mi è venuto ancora spontaneo infilare la mano dove un tempo tenevo le Marlboro ...