sabato 18 aprile 2009

Cronaca di una visita al diavolo. La traversata del Busc de r Ancona, un angolo di vera wilderness.

Trentadue anni fa per la prima volta, e poi in alcune altre occasioni, scesi con vari amici lungo il marcato imbuto roccioso in cui scorre il Ru de r Ancona, che dal Busc omonimo ("location" della leggenda del diavolo, che sarebbe scappato dalla valle d’Ampezzo bucando a cornate la parete della Croda de r Ancona perché non era riuscito a convertire a suo vantaggio gli ampezzani) scende a lambire la strada d’Alemagna all’altezza del Ponte de r Ancona. L’imbuto caratterizza un angolo piuttosto impervio del Gruppo della Croda Rossa, e si estende su un dislivello di circa 500 metri. Con un minimo di disinvoltura, dato che il letto detritico è piuttosto sconnesso e mancano le tracce, è ancora transitabile, eccetto un tratto. Abbastanza in basso, infatti, il torrente si allarga in una piccola pozza, oltre la quale uno strapiombo, percorso da una bella cascata e troppo alto per essere disceso con un salto, impedisce la discesa escursionistica. La chiave del problema sta sul versante destro del canalone. Tracce nel bosco raggiungono un cippo forestale e poi discendono nel sassoso solco del rio, permettendo di evitare comodamente l’ostacolo e di riprendere il percorso. Il canale, secondo me risalito da pochi, anche perché in alto è friabile e faticoso, fu disceso con gli sci intorno al 1984 da Nina Ford, sola: l’avventura fu descritta sul semestrale “Le Dolomiti Bellunesi”. Tra le escursioni "selvagge" possibili a Cortina, questa è consigliabile a persone esperte e disincantate, munite di buoni garretti e robuste calzature. Salire al Busc per il sentierino militare che fiancheggia il canale sulla sinistra (indicato da qualche segno rosso), traversare l’alto e singolare arco roccioso e poi destreggiarsi tra i massi e le ghiaie fino alla strada: è un grande “sentiero selvaggio”, mai comparso finora nelle varie antologie, che consente di recuperare un frammento di wilderness altrove ormai dissoltasi.

giovedì 16 aprile 2009

“Con entusiasmante scalata portarsi sul fondo del diedro e rimontarlo fino ad uscire sulla cresta sommitale in prossimità della cima.”

Queste parole identificano l’ultima lunghezza di una fra le più divertenti vie che mi capitò di salire, e ricordo volentieri. Aperta da Marino Dall’Oglio, Paolo Consiglio e Giovanni Micarelli il 2 agosto 1954, la via in questione supera una parete ideale, sufficientemente articolata nei punti strapiombanti. L’itinerario sale, con una dirittura e una logica che mi pare strano siano state svelate soltanto cinquant’anni fa, lungo la parte superiore, regolare e compatta, del diedro formato da Cima e Torre del Lago. Nella parte bassa, si giunge al diedro, rotto da strapiombi poco abbordabili, salendo senza via obbligata per alcune lunghezze meno impegnative, alla sua sinistra. Questo è tutto: si tratta esattamente del diedro OSO della Cima del Lago, che domina il Lago del Lagazuoi. Fu Enrico a farmelo conoscere, all'inizio dell’autunno 1980. Vi portai poi Mario undici mesi dopo (nel giorno in cui prese inizio il mio vezzo, di lasciare ogni tanto un libretto sulle vie o sulle cime che frequento). Tornai lassù ancora nell’ottobre 1982, nel 1985 e infine conclusi le visite con Nicola nell’ottobre del 1986. Cinque salite di una via “entusiasmante”, la più bella lunghezza della quale ritengo sia l’ultima. Dopo una parete da manuale, esposta e solidissima, essa ti deposita a mezzo busto sulla cresta fra la Cima, a sinistra, e la Torre del Lago a destra. Giunti lassù è finita, ma ogni volta avrei desiderato che la salita continuasse ancora a lungo! Oggi il diedro rimane di certo una piacevole esperienza di anni proficui per la mia carriera di modesto ed appassionato quartogradista, che da vie come quella può rievocare emozioni e sensazioni da raccontare

mercoledì 15 aprile 2009

Nik, Tonin, Vito e la Punta Nera. Cronaca di una "piccola", grande impresa.

L'avventura in montagna non s'incontra soltanto, ad esempio, sugli 8000 più aspri, saliti in solitaria, d'inverno, o concatenandoli tre per volta. Si può ancora trovare persino nelle Dolomiti, su cime vicine a funivie che non raggiungono neppure i 3000 e - pur essendo piuttosto semplici da salire - sono poco frequentate. E' il caso della Punta Nera, che domina il polo sciistico di Faloria. Il giorno di Pasquetta tre ampezzani appassionati di montagna, Nik, Tonin e Vito, hanno compiuto la (prima???) discesa scialpinistica dalla Punta seguendo il percorso proposto un tempo dal "Berti" come via normale. Giunti in cima da Faloria senza ramponi né piccozza per le ottime condizioni della neve, i tre si sono poi buttati in discesa lungo la via normale, sino alla Sella di Punta Nera. Da qui, per la ripida rampa che guarda il Sorapisc hanno raggiunto i Tonde, quindi - sciando su un "firn" da favola - il Rifugio Vandelli e infine Valbona. Penso che non esistano altre discese in sci dalla Punta: nel 1941, il triestino Giorgio Brunner fu il primo solitario invernale sulla cima, ma lasciò gli sci ai piedi delle rocce. La giornata di Nik (mio "allievo" nel 1986-87 su diverse belle vie di roccia, a partire dal "Diedro del Naza" della Cima Cason de Formin), Tonin e Vito merita la notizia su questo blog, dove convergono storie piuttosto normali di alpinisti normali. Avevo suggerito a Nik di studiare una scialpinistica anche sulla vicina Zesta, una cima che riserva sicuramente ancora spazio per l'avventura, quasi sulla porta di casa. Ma, si sa, le notizie vanno veloci, "... come freccia che da arco scocca ...". Vito mi ha prontamente fatto sapere che la discesa scialpinistica dalla Zesta è stata già fatta da lui, Tonin e Bepo, nell'inverno 2005-2006. Vuol dire che il blog funziona!

Una piccola, ma "diabolica" guglia del Cadore (grazie a DDM e ai suoi apprezzamenti per questo blog!)

Forse è caduta un po' nell’oblio, ma ai primi del ‘900 era una meta rinomata per molti rocciatori. Mi riferisco alla Guglia Edmondo De Amicis, il torrione che spunta dal bosco come una gigantesca spugnola pietrificata, ai piedi delle Pale di Misurina e al cospetto dell’omonimo lago. Non più alto di 60 metri e sottilissimo, sul torrione salirono per la prima volta nel 1906 la guida Tita Piaz e Ugo De Amicis, figlio dell’autore del libro “Cuore”, che lo dedicò al genitore. Per conseguire la vetta, che sfida la legge di gravità, Piaz ideò un futuribile espediente: una corda legata ad una palla di piombo, lanciata dalla sommità del prospiciente Campanile Misurina, e attorta sui mughi della vetta con un macchinoso sistema di cordini. Scivolando "a salame" sulla corda tesa sul vuoto per una lunghezza di 18 metri, i protagonisti dell’impresa toccarono la cima dopo varie ore di lavoro. In vetta alla Guglia per roccia invece giunsero per primi nel 1913 Hans Dűlfer, von Bernuth, la guida tirolese Zelger e la signora Kasnakoff. Le difficoltà incontrate dai quattro toccavano il V grado, oggi reso più sicuro da alcuni chiodi. Soprattutto negli anni '20 e '30, la traversata e la scalata furono ripetute spesso, anche per motivi fotografici. Sulla De Amicis, l'uomo è riuscito a scovare persino altre tre vie: lo spigolo a destra della Via Dűlfer fu salito da Mazzorana, Pagani e Falconi nel 1940; il versante E, dove si scende in doppia, fu risalito da Menegus, Bonafede e Nessi nel 1961; nel 1967, infine, Molin e Pandolfo superarono con trenta chiodi lo spigolo a destra della Via Mazzorana. La Guglia De Amicis è così piccola da poter ospitare soltanto un ciuffo di mughi, i chiodi di sosta e null’altro. Il 13 maggio 1979 ebbi anch’io la fortuna di potermi sedere in vetta, con i due Enrichi e Stefano, e conservo vivo il ricordo di quella salita, con molta soddisfazione.

martedì 14 aprile 2009

Soltanto 27 firme l'anno su una grande montagna che non soffre d'intasamento: la Costa del Bartoldo.

Diciannove stagioni fa, con amici che già la conoscevano, salii per la prima volta la panoramica cima della Costa del Bartoldo, la più celebre anche se non la più alta somità del gruppo del Pomagagnon, che incornicia Cortina. Mi piacque, e così quaranta giorni dopo la rifeci, tornandovi poi regolarmente quasi ogni anno. Per numerose stagioni non volli mancare all’appuntamento consueto con una montagna dove - come scrisse un amico giornalista dopo averla visitata nell'estate 2002 - “ci vanno in pochi, pochissimi, perché si fa fatica, non ci sono impianti a fune e neppure rifugi, non c’è proprio un sentiero e quella traccia non è segnata, niente cartelli.” Sotto la croce di vetta, in un barattolo oggi rugginoso e scassato ma ancora adatto alla bisogna, il 28 settembre 1996 riposi un quaderno. Nell’estate 2000 la croce, che da mezzo secolo sfidava bufere e nevicate, fu sostituita con una nuova, robusta e splendente, ma dopo un attimo di celebrità la cima tornò silenziosa come ai tempi dei pionieri. Dopo una prolungata assenza, sono tornato sulla Costa nel 2002 e poi, finora per l'ultima volta, nel 2005. La prima volta sfogliai attentamente il "mio" libro di vetta, contando 164 firme: quindi, ogni stagione, 27 alpinisti hanno seguito le orme di von Glanvell, von Saar e Domènigg, gli austriaci che giunsero per primi lassù il 31 luglio 1900. Ritengo che la via normale della Costa costituisca una delle gite di media difficoltà più soddisfacenti d’Ampezzo. Dalla cupola sommitale si domina Cortina, adagiata 1200 metri più in basso, e il panorama sull'ambiente circostante è davvero grande. Pur essendoci salito molte volte, pensando alla Costa mi verrebbe voglia di lasciar correre altri progetti e salirvi ancora: seguire il ruscello asciutto che s’interna fra le rocce con allegri salti, il ripido declivio di ghiaie e magro pascolo, spesso punteggiato di camosci, che s’interna verso la meta e il divertente gigantesco diedro che porta in cresta, a due passi non banali dalla croce. Ne è sempre valsa la pena.

domenica 12 aprile 2009

Un nuovo libro per camminare

A chi ama camminare, segnalo un libro molto interessante, opera di un'escursionista, scrittrice e cara amica. "Camminare in montagna. Norme, consigli, itinerari" di Lorenza Russo (Hoepli 2008, € 19,00) è un manuale che affronta le basi dell'escursionismo, da come ci si veste a come si legge una carta topografica, dall'alimentazione al kit per la notte in rifugio. In più, cinque itinerari tra Dolomiti, Liguria e Maiella, per fare pratica. Questo manuale, semplice e completo, serve ai neofiti e anche a chi sa già tutto, ma ha voglia di imparare comunque qualcosa. Ne scrivo con simpatia, perché anch'io ci ho "messo lo zampino", con un'immagine scattata sulla via normale del Corno d'Angolo fra le nuvole, testimonianza di una salita agostana su una montagna del tutto "via dalla pazza folla".

Dove si può provare la gioia di stare sulla punta di un ago ... senza pungersi?

1991: con gli amici, salgo per la prima volta una cima ampezzana che mi regala suggestioni molto diverse dal solito: la Bujèla (ovvero l'ago) de Padeon, nel Pomagagnon. E’ una caratteristica cupola, visibile dalla strada d’Alemagna nei pressi di Ospitale che fino al 1985 aveva (pochissimo) interesse alpinistico per la semisconosciuta via normale. Il 28 luglio di quell’anno, gli Scoiattoli Paolo Bellodis e Massimo Da Pozzo tracciarono la difficile via “Gipsy” sulla placca – residuo di un antico franamento – che guarda la Val Pomagagnon, via che ebbe un certo successo. La Bujèla era stata conquistata dagli autriaci Von Glanvell e Von Saar il 28 luglio 1900, lungo la “cengia a spirale” che contorna la guglia con una certa regolarità. Due giorni dopo, l'amico Domenigg salì in vetta per un “alto e liscio camino” che incrocia la via originaria e riserva qualche difficoltà in più. La via Von Glanvell, percorsa abbastanza di rado e che Visentini nel suo libro sul Cristallo-Pomagagnon giudica una delle più godibili vie normali della zona, può essere stimata di I grado superiore. Non è una passeggiata, ma neppure una scalata: nel salirla, s’incontrano mughi, detriti, roccette, un tratto roccioso compatto e quasi verticale, e in fin dei conti - per conseguire una comoda sommità piatta ed erbosa – è necessario un discreto impegno. Dopo il primo approccio, vi sono tornato nel tardissimo autunno 1992, trovando la salita ghiacciata e molto poco gradevole, e nel 1995: in seguito, non ho più salito la Bujèla (ma come dice qualcuno, “le montagne sono sempre là”). E' un luogo al quale, prima che altre frane sconvolgano la “cengia a spirale” e impediscano un accesso tutto sommato non complicatissimo e molto godibile, gli appassionati della wilderness montana potrebbero fare una visita. Volete mettere la soddisfazione di stare sulla punta di un ago e non pungersi?