martedì 16 febbraio 2010

Pensando all'estate: i 999 metri di dislivello del Monte Serla

Con il Lungkofel - Monte Lungo di Braies, il Sarlkofel - Monte Serla è la punta più a N del gruppo del Picco di Vallandro. Costituito da due cime, di cui la principale tocca i 2378 metri, deve all’eccellente posizione la sua fama di meta panoramica. Dalla vetta, la vista spazia infatti dal versante W delle Dolomiti di Sesto (Valle dei Baranci e Alpe delle Pecore) al Picco di Vallandro ed al versante N della Croda Rossa, la Valle di Braies e i Colli Alti. Verso N, la Pusteria si svela dal Serla in tutta la sua ampiezza, e s’intravedono le retrostanti catene dei Monti Defregger, gli Alti Tauri fino, più a occidente, alla Zillertal. Da Dobbiaco, stesa ai suoi piedi e base di partenza per uno degli itinerari di salita, appare come una piramide con ripide pareti e canaloni, mentre dal versante di Braies il Serla è ammantato dai pascoli dell’Alpe Serla. Le possibilità di salire la cima sono quattro: da Braies, da Dobbiaco Nuova, dal Lago di Dobbiaco e da Villabassa. Dopo aver raggiunto il Serla varie volte sia da Dobbiaco sia da Braies Vecchia, mi sento di consigliare la seconda possibilità, meno ripida e più breve delle altre. Sono comunque 999 metri di dislivello, e ci vogliono almeno tre ore per toccare il culmine di questa cima, che dalla Val Pusteria austriaca, ci appare davanti a chiudere l’orizzonte già prima di Sillian. Come per altri monti della zona, una storia del Serla (il toponimo qui è molto diffuso e identifica un’alpe, una forcella, una malga, un monte, un passo, un torrente e una valle) in pratica non esiste. La vetta, infatti, non ha nulla di alpinisticamente interessante , e fu sicuramente raggiunta da cacciatori e pastori in tempi remoti. E’ un’ascensione remunerativa, in un angolo dolomitico meno battuto di quanto si possa credere e non molto noto ad escursionisti di lingua italiana.

lunedì 15 febbraio 2010

Colle dell'Eremita, la montagna più bassa tra la Vetta d'Italia e Pantelleria

Nel giugno scorso credo di avere salito la montagna più bassa d'Italia. Non ne sono assolutamente certo, non sapendo se esiste una statistica delle italiche elevazioni montane, ma i 116 metri sul livello dell'Adriatico ai quali si erge il Colle dell'Eremita rappresentano di sicuro un record. Ovviamente non è una montagna rocciosa dalle pareti strapiombanti, ma solo il punto culminante della piccola, splendida isola di San Domino, la più nota dell'arcipelago pugliese delle Tremiti, di fronte al promontorio garganico. Dal gregge di case del Villaggio San Domino, sede comunale, basta una camminata di tre quarti d'ora per salire sul culmine del Colle, prima per una strada lastricata e poco trafficata che solca la pineta, e poi per una comoda sterrata, che ci è rimasta impressa essendo ornata di lampioni da città sino in vetta. L'elevazione del Colle, piatta e ricoperta di una bassa macchia mediterranea, alloggia i miseri e solitari resti della presunta Cappella dell'Eremita, unico relitto storico dell'isola, e una bellissima un'eccellente visione delle isole circostanti e della più lontana costa pugliese. Ricordo il Colle perché vi salimmo con piacere al crepuscolo del nostro secondo giorno di permanenza a San Domino (si sa che noi cerchiamo sempre le montagne, anche in mezzo al mare!), e la sensazione di stare sulla cima più bassa dello stivale fu una cosa quasi emozionante.

Scusate il tono critico: prima di scrivere un libro sui rifugi non sarebbe meglio controllarli bene tutti, sentieri d'accesso compresi?

Nella primavera 2009 è uscita, in allegato ad un noto quotidiano, la "Guida ai Rifugi delle Dolomiti in Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige", edita da Dario De Bastiani. Sono 201 pagine con numerose foto a colori; si tratta di una nuova guida ai rifugi e bivacchi delle Dolomiti trivenete, definita come "guida sicura al piacere della vita in montagna" e scritta da Renato Zanolli, autore di varie altre pubblicazioni sul tema. Senz'altro ben realizzato, maneggevole e accattivante, il volume illustra con altrettante significative immagini 180 rifugi censiti nelle tre regioni contermini, e risulta anche utile, se usato con beneficio d'inventario: si potrebbe, infatti, organizzare una caccia al tesoro, per estrarne i numerosi refusi che si nascondono nelle duecento pagine. Soltanto per esemplificare: già in bibliografia si trova il nome dell'amico Armando Scandellari tramutato in Antonio; il volume cita poi un bivacco fisso che non esiste più dal 1991, quando fu spazzato via da una valanga; un altro rifugio a lato di una strada di grande traffico, sarebbe ancora gestito da una guida alpina scomparsa un paio d'anni fa nel lago di Arsié; il nome del Rifugio Nuvolau, immutato dal 1919, è stato promosso a “Rifugio Forcella Nuvolau”; dal Passo Tre Croci al Rifugio Sonforca sono richieste 2,40 ore di cammino, quando ne basta una sola. Numerosi errori di quote, refusi e ingenuità narrative, il lettore potrà scoprirli durante la lettura. Questa guida segue di due anni “Rifugi della Provincia di Belluno”, curata da Carlo Avoscan e Fabrizio Francescon, un esempio nella compilazione di guide, il più possibile precisa, scarna e schematica ma completa. Qualche anno fa lavorai sodo col CAI Cortina per verificare dati, notizie, numeri dei sentieri, numeri telefonici dei rifugi della conca d'Ampezzo e contribuire alla maggiore esattezza possibile della guida "Dolomiti della Val del Boite" di Camillo Berti, ritenendo che solo i dati citati con serietà siano utili ad una frequentazione sicura della Montagna. Quest'ultima guida inserisce in bibliografia antecedenti pregiati, ma è stata usata troppo spesso la tecnica del “copia e incolla” ed è mancato il controllo delle bozze, necessario perché gli escursionisti possano avventurarsi in sicurezza e tranquillità fra le Dolomiti. Chiudo con una domnda: fino a che punto è giusto far circolare pubblicazioni approssimative, e quanto bene può fare al turismo alpino?

Marcoira d'inverno: Corona o Rumez?

Non sono uno scialpinista, e la montagna invernale m'interessa solo dal punto di vista storico-statistico, quindi non esprimo giudizi sull'avventura che sto per narrare. Per quanto riguarda le salite e le discese compiute in inverno sulle cime intorno a Cortina, si deve ascrivere a compaesani (Bruno Corona e amici) la prima discesa ampezzana del ripido e orrido canalone che, iniziando da una forcellina erbosa e senza nome, divide nettamente le due cime di Marcoira, sul versante Passo Tre Croci. Il canalone ha un dislivello di 500 m circa e un’inclinazione massima di 55°, quindi la discesa fa parte dello sci ripido. Se ne raggiunge la testata senza difficoltà di rilievo da Forcella Marcoira (sono transitato d'estate sulla forcellina erbosa almeno dieci volte per salire la Cima NE, la più bassa, facile e interessante delle due, dove nel 1999 lasciai un libro di vetta) ed è stato sceso dai nostri alla fine degli anni ’80. Dell’impresa dovrebbe essere rimasta la testimonianza in un video amatoriale, che fu proiettato a Cortina qualche anno fa. Credevo si trattasse di una prima discesa assoluta: sfogliando invece il diario di Mauro Rumez, scialpinista triestino travolto da una valanga sull’Ortles (“Il mio sci estremo”, Nordpress Edizioni, 2001), risulta che il canale fu già sceso da lui stesso a metà anni '80. Se anche quella di Corona e compagni dunque non è stata una prima assoluta, rimarrà comunque una bella avventura. Penso che il canale, ben visibile dalla strada che va a Misurina, non sia finora stato sceso o salito d'estate: ammesso che la cosa sia fattibile e abbia un senso, potrebbe essere un suggerimento per chi sta ancora cercando prime nelle arcibattute Dolomiti Ampezzane.

Leonardo Gasperina scompare sotto una valanga in Val Visdende.

Il 12 febbraio Leonardo "Leo" Gasperina Geroni, 54 anni, di Casamazzagno, guida alpina e tecnico di elisoccorso della Stazione CNSAS Val Comelico, è stato travolto da una valanga sul monte Vancomun in Val Visdende, nel territorio di San Pietro di Cadore. Gasperina stava compiendo una gita di scialpinismo con un amico quando, poco prima di mezzogiorno, si è staccata la valanga che lo ha sepolto. Il compagno ha immediatamente dato l'allarme al 118 e iniziato a cercarlo. Sul posto si è subito portato l'elicottero del Suem di Treviso con un'unità cinofila, poi raggiunto dalle squadre del Soccorso alpino Val Comelico, Sappada e Auronzo. Gasperina è stato trovato poco dopo da un collega, grazie all'Arva che indossava. Ottimo alpinista del Gruppo comelicese dei Rondi, con all'attivo numerose vie nuove sui monti della sua valle, con la moglie Rosanna aveva gestito per alcuni anni il Rifugio Venezia-Albamaria De Luca al Pelmo. Due vittime di valanghe in una settimana in Comelico, in questo inverno che sembrava "tranquillo", sono davvero tante: non conoscevo di persona Gasperina, se non per averlo visto al Rifugio Venezia un paio di volte, ma la sua scomparsa mi ha turbato. Senza volere far colpe a nessuno usando i soliti paroloni, e senza scivolare nell'esagerazione legislativa del carcere per chi stacca valanghe dai monti, ritengo che l'alpinismo (che non è uno sport né una scienza, ma semplicemente una passione, un moto dell'animo) riceva troppo duri colpi da queste disgrazie, che capitano a ciabattoni come ad esperti, a gitanti della domenica come a guide alpine. E' la natura: malgrado tutte le precauzioni che possiamo adottare per muoverci in essa con sicurezza, l'imponderabile è sempre in agguato, d'estate come d'inverno.