sabato 4 settembre 2010

La Croda Rossa nella storia

La Croda Rossa d'Ampezzo fu tentata per la prima volta nel 1865 dal pioniere Paul Grohmann con due omonimi cacciatori di Chiave, Angelo Dimai Deo e Angelo Dimai Pizo. Giunti poco sotto la vetta, i tre commisero un errore di prospettiva nel valutare le difficoltà residue, che fece loro mancare la salita. Il 20/6/1870 torna in zona un'altra guida ampezzana, Santo Siorpaes, con il collega svizzero Lauener e il cliente britannico Whitwell.  Scartato il canalone scelto da Grohmann, che sale dalla Val Montejela ed è più impressionante che non difficile, Santo prende le mosse dal circo ghiaioso delle Valbones per un altro canale, a SO. Stretto e nevoso all’inizio e soggetto a scariche di sassi in alto, il canale presenta un masso incastrato che sarà valutato di IV. La via riesce ai tre in modo avventuroso e combattuto. Secondo Dall’Oglio, in centoquarant’anni dall’apertura sarà stata ripetuta tra le dieci e le venti volte. Apparentemente, però, non ha soddisfatto le aspirazioni della guida, tanto che per un periodo la Croda Rossa d’Ampezzo rimane il suo chiodo fisso. Il 2/8/1870 coglie l’occasione per risalirvi dalle Valbones con il bolzanino Albert Wachtler. Nell’occasione, i due tracciano lungo la parete O un itinerario del tutto dissimile da quello di quaranta giorni prima. E’ l’unica “doppia via” aperta da Siorpaes sulla stessa cima: complicata e friabile, si svolge però su roccia asciutta, ed è meno difficile e pericolosa della precedente. Le difficoltà d’orientamento costringeranno alcune cordate – tra cui anche quella del bellunese Attilio Tissi, a metà del ’900 - a bivaccare in discesa.

giovedì 2 settembre 2010

Sas da Pera, un sabato di settembre

Tra le numerose immagini della guida Angelo Dibona in azione sulle montagne, una, risalente a mio parere almeno a novant’anni fa, lo ritrae sul Sas da Pera, un grosso macigno nei boschi alle pendici del Pomagagnon che dicono fosse la sua falesia. Oltre alla conferma che anche nei tempi andati gli alpinisti si tenevano in forma scalando montagne in miniatura, magari vicine al fondovalle (Dibona abitava a Chiave, poco distante dal Sas da Pera), questa presunta falesia mi aveva incuriosito molto prima della divulgazione della fotografia. Ero stato nella zona da ragazzo, ma ormai il ricordo di quela camminatal era quasi svanito. Vi sono tornato in un bel sabato di settembre, salendo dapprima in cima al colle di Pierosà, oggi tornato quasi vergine dopo la cancellazione del piccolo polo sciistico che animava la zona, traversando poi sopra Staulin per tracce nel bosco, lambendo il Sas e chiudendo la passeggiata a Col Tondo. Solo che il Sas da Pera dei tempi di Dibona, oggi non c’è più. Pare sia stato ridimensionato già molti anni fa, con lo sbancamento di parte della roccia (usata per lavori di costruzione nell’Hotel Savoia, mi è stato detto), e quello che ne rimane è soffocato da alberi, vincastri, alte erbe; l’impressione che se ne trae è ben altro che quella di una comoda falesia a due passi dall’abitato. Tutta la zona che si estende fra Verocai e Chiave è comunque piacevole per brevi camminate, perché il “Picheto”, dove generazioni di locali hanno imparato a sciare, è abbandonato. Cemento e ferro sono stati smantellati, e la natura si sta riappropriando in fretta di quello che molti decenni fa fu preso in prestito. Anche della possibilità di capire come fosse la falesia di Dibona, dove il leggendario “Pilato” perfezionava l’allenamento in vista delle sue imprese.

La montagna è piena di croci

Della vasta messe di miei compaesani che in centocinquant'anni hanno scelto il mestiere di guida sulle montagne, dopo Bruno Verzi Sceco, che cadde dal “Ris” della Torre Grande d’Averau nel 1945 a diciannove anni e appena diplomato guida, colui che è scomparso più giovane è Sandro Zardini, “Sandrino Laresc”. Di famiglia di guide, Sandrino era divenuto guida a vent'anni, nel 1982. Il 2 settembre 1984 morì in un incidente motociclistico a Pocol, mentre tornava dalla Tofana con il fratello: gli mancavano tre mesi per compiere ventidue anni. Quando seppi della disgrazia, ero appena tornato da Misurina, dove ero andato a salire da solo la Punta Col de Varda per la “via obliqua”, facendo crollare un masso che spero non abbia mai raggiunto il sottostante Sentiero Bonacossa. L’ultima immagine che ho di Sandrino risaliva a pochi giorni prima, ad una festa campestre dei Sestieri, in cui ci trovammo sullo stesso tavolo. Anche se eravamo solo conoscenti, fui molto scosso dall’episodio, per varie ragioni: l'assurdità della disgrazia, l’età di Sandro, il dolore della famiglia, la perdita subita dalle guide alpine, private di un giovane e forte componente. La fila che attendeva di partecipare alla cerimonia d’obito partiva da Ronco, dove abitava Sandrino, e si allungava lungo la strada fino al Ponte Corona: chi conosce Cortina, sa quale sia la distanza fra i due estremi. Alla memoria del giovane scomparso, il 27-28.7.1985 Maurizio Dall’Omo e Renato Peverelli, “Ragni” di Pieve di Cadore, hanno dedicato una via sulla parete S della Croda Marcora: sentito omaggio ad un innamorato della montagna e dell’arrampicata, a cui il destino non ha concesso di coltivare a lungo la sua passione.



Ernesto Majoni

mercoledì 1 settembre 2010

Oggi, primo settembre ...

Trovo nel mio diario:
1° settembre 1984: Spigolo Colbertaldo del Sas de Stria, con Carlo (giorno importante, fu accolta la mia domanda di svolgere il servizio civile, quindi niente naia!);
1° settembre 1985: Spigolo Dibona della Grande di Lavaredo, con Sandro e Renzo (bellissima via fatta in 5 ore, discesa sotto un furioso temporale, robusta bevuta a Misurina per festeggiare lo scampato pericolo);
1° settembre 1990: Cristallo, via normale con Tomaso e Massimo (III salita, veloce e con tempo autunnale piuttosto freddo, lungo la discesa magro pranzo con un'arancia quasi vetrificata);
1° settembre 1991: Ortles, via normale, con Sandro L. e Marco (stupenda salita, regolare e veloce, eravamo in vetta alle 9.05, la corda non ci servì e la lasciammo in un crepaccio);
1° settembre 1996: Cima Piatta Alta, via Nieberl-Klotz per Forcella Buona, con vari amici (salita lunga e non banale in ambiente grandioso: quando l'escursionismo tocca l'alpinismo);
1° settembre 2002: Sasso del Signore, via normale, con vari amici (ascensione tutta nella nebbia dopo un acquazzone, ma intorno alla croce di vetta si fece largo un raggio di sole).
Quanti bei ricordi, 1° settembre!

martedì 31 agosto 2010

Q. 2014, a quando un nome anche per te?

Non credo siano moltissime, le montagne senza nome intorno a Cortina. Negli anni passati sono salito tre volte su una di esse che, anche se balza con evidenza dalla piana di Fiames, possiede soltanto la quota altimetrica, 2014. Si tratta dell’elevazione coperta di mughi, che con la Q. 1933 – staccata dal profondo e invalicabile intaglio di Forcella Bassa - forma il Pezovico, trincerato dagli Italiani durante la Prima Guerra Mondiale e rimasto uno fra i luoghi meno battuti della nostra conca. Q. 2014 cade con una parete inclinata sul varco che la separa dall’antistante Pezovico (Q. 1933), mentre scende con un breve pendio poco ripido e coperto di detriti e mughi su Forcella Alta, da dove si può salire senza gravi ostacoli. Nella zona ricordo una bella traversata, salendo prima sul Pezovico dal ponte metallico dell’ex ferrovia sul Felizon e superando per tracce di camosci la dirupata dorsale rocciosa. Dalla cima scendemmo a Forcella Bassa e guadagnammo Q. 2014 per i resti di un sentiero militare incavato nella roccia. Doppiammo Forcella Alta e, intuendo con prudenza tra le rocce le tracce del bellissimo accesso di guerra che veniva da Fiames, aggirammo il Torrione Scoiattoli. Per un canalone sassoso sotto le Pezories, recentemente sconvolto dalle frane, uscimmo poco a valle del ponte. Nonostante il dislivello contenuto, l’esplorazione fu faticosa, a tratti non semplice né evidente: essa si svolge in ambiente selvaggio e riveste valore storico e ambientale, per le testimonianze belliche che s’incontrano. Q. 2014 e Forcella Alta sono i due luoghi più “commestibili” che toccammo: fermandoci lassù godetti l’unicità della zona e le attrattive di queste cime deserte, che deserte dovrebbero restare.

lunedì 30 agosto 2010

Rifugio Bonner e Corno Fana di Dobbiaco

Il Corno Fana di Dobbiaco (detto Toblacher Pfannhorn, per distinguerlo dal Deferegger Pfannhorn, Corno Fana di Casies, che sorge un po' più a N, alla testata della valle omonima) si eleva a NE di Dobbiaco, presso il confine con l'Osttirol. Rispetto a tante cime delle prospicienti Dolomiti, è un'oasi tranquilla, poiché è interessato da una frequentazione discreta di escursionisti e scialpinisti, forse aumentata da quando è stato reinaugurato su un costone erboso ai suoi piedi il Rifugio Bonner, base per la salita e per interessanti traversate. Il primo rifugio, aperto al pubblico il 28/6/1897, era stato edificato dalla sezione Bonn del D.Oe.A.V., che ne rimase proprietaria fino alla Grande Guerra. Dopo la guerra, l'edificio fu espropriato dallo Stato Italiano e utilizzato per scopi militari fino al 1971. Rimase quindi abbandonato, aperto e presto andò in rovina. Nel 2001, le rovine passarono in proprietà al Comune di Dobbiaco, che le ha affittate per un quarto di secolo ad un falegname locale, il quale ha ristrutturato e riaperto il rifugio, aprendolo di nuovo dopo 110 anni, il 30/6/2007. La vetta tocca i 2663 m, e chi se la sente di camminare per tre ore lungo un sentiero sassoso e costantemente ripido, potrà facilmente conquistarla. Con le sue lunghe creste di magro pascolo e i versanti profondamente incisi da solchi erosivi, è la cima più alta della porzione di Cresta Carnica che domina Dobbiaco. Grazie all'altezza e alla posizione soleggiata ma anche abbastanza ventosa, il Corno Fana offre un panorama eccezionale su valli, paesi e monti del circondario. Quando l’aria è particolarmente limpida, infatti, da lassù si riesce ad abbracciare con un solo colpo d'occhio il Grossglockner, le Lienzer Dolomiten, la Cresta Carnica, le Dolomiti di Sesto e quelle di Braies, le più alte vette d'Ampezzo, l’Antelao e la Marmolada, le Zillertaler Alpen, le Vedrette di Ries e il Grossvenediger. In vetta, sotto un’alta croce, è posta un'artistica tavola di rame (copia di un lavoro realizzato nel 1898 da un ingegnere pusterese), che aiuta gli escursionisti a riconoscere ben 102 montagne circostanti. Per celebrare l’Anno Internazionale delle Montagne, nel 2002 l’Alpenverein-Sezione Hochpustertal fece inoltre riprodurre una pregiata carta panoramica risalente ad oltre un secolo prima, al cui centro campeggiano il Corno Fana e il grazioso rifugio, appollaiato a 2340 metri sul costone erboso che scende dalla vetta verso Kandellen, grazie al quale il Corno è noto agli escursionisti. Il Bonner Hütte, che ancora non conoscevamo essendo saliti in vetta per l'ultima volta nel settembre 2001, è stata la nostra meta di ieri, domenica 29 agosto, e debbo ammettere che si è trattato di una meta davvero interessante e meritevole.