sabato 5 gennaio 2008

Cento anni fa moriva Pietro Dimai

Ricorre oggi il centenario della scomparsa di un protagonista della storia alpinistica ampezzana fra il 19° e il 20° secolo, Pietro Antonio Dimai Deo, più noto a Cortina come Piero de Jènzio. Intento di queste righe è ricordare la bella figura di un pioniere della montagna, al quale sono attribuite 12 vie nuove, 2 prime invernali e molte ascensioni su tutte le Dolomiti. Piero era nato a Chiave, ai piedi del Pomagagnon, l’8 settembre 1855 da Fulgenzio "Deo" e Maria Francesca Apollonio, in una casa dalla quale uscirono sette guide. Il padre e lo zio Angelo, consacrati da Paul Grohmann, furono fra gli antesignani della scoperta dei nostri monti e il 28 settembre 1864 guidarono il viennese sulla Marmolada di Penia. Furono guide anche Arcangelo (dal 1877) e il fratello Antonio (dal 1888), figli di Angelo, Angelo (dal 1922) e Giuseppe (dal 1925), figli di Antonio. Pietro viene autorizzato ad esercitare la professione nel 1874, primo ampezzano a conseguire il traguardo prima dei vent'anni. Con il padre, lo zio, il cugino, Santo Siorpaes (suo futuro suocero), Alessandro Lacedelli, Giuseppe Ghedina, Angelo Menardi e Angelo Zangiacomi (manca Giovanni Barbaria, patentato nel 1875), compare nel primo elenco delle guide alpine d’Ampezzo, pubblicato il 1° marzo 1876. Grohmann però lo aveva ritenuto degno d’attenzione già da tempo: “Devo ricordare i figli di Angelo e di Fulgenzio Dimai e cioè Arcangelo e Pietro Dimai, due bravi giovani. Penso che soprattutto il primo potrà diventare una guida eccellente”. Lavorò in montagna fino al 21 settembre 1907, poco prima della scomparsa, avvenuta a cinquantadue anni per una polmonite fulminante. Riscosse numerosi successi, e oggi il suo nome rimane scolpito nella storia delle Dolomiti.

venerdì 4 gennaio 2008

Sensazios (in ladino ampezzano)

Ra voia de ‘sì su sul Monte Bianco r é propio granda. El di de Nadà vado a na zena coi amighe de senpre. Sento di che Diego el vorarae fei festa par i sessanta ane co ra zima del Bianco. Eco r ocajion che spetae, un ‘siro co ra parsona iusta! Ai chinesc de aprile moon par chesta aventura, ma ormai da longo l viaso sentie che ra zima no r arae fata. L é stà in ogni cajo zinche gran biei dis: on vedù Cervinia, Courmayeur, Chamonix e par fenì son ‘sude sul Gran Paradiso, 4065 metre de outeza, co na gran bela ‘sornada e soralduto, infinalmente, a pè. Schie, peles, un saco sun schena e l ceto de ra natura che ‘sà da calche an el me fesc conpagnia. A ra fin, però, me vanza ra sensazion de in chera domegna: fosc ra zima del Bianco no ra fejaron. Ra crodes es resta là, i disc dute, e ió spero che st outro colpo, ormai a moe, ra sensazion iusta see chera de ruà su in son, ma del Monte Bianco sta ota!
Nicola Alverà de 'San

Propongo la recensione del mio libro sul Pelmo, a cura dell'amica Alessandra

Ernesto Majoni, Da John Ball al 7° grado. Note di storia alpinistica del Pelmo, a 150 anni dalla prima ascensione, CAI San Vito di Cadore, Cortina d’Ampezzo - Tipolitografia Print House s.n.c., giugno 2007, pp. 108 con oltre 100 f.t. e disegni, € 15,00.

È lo stesso Ernesto Majoni, alla fine del libro, a definire il suo lavoro un “lungo excursus attraverso un secolo e mezzo di grandi e piccoli fatti legati al colosso dolomitico…”; ed è proprio così: un’appassionata rassegna della storia alpinistica del “Caregon del Padreterno”, il Pelmo, una fra le cime certamente più spettacolari ed affascinanti delle Dolomiti Bellunesi e forse anche di tutte le Dolomiti Orientali, rivisitata dallo sguardo di un esperto, storico della montagna, oltre che conoscitore e alpinista lui stesso.
L’occasione della pubblicazione è una celebrazione importante per la storia della frequentazione e della valorizzazione dell’ambiente alpino e dolomitico: il 150° anniversario dalla prima salita ufficiale sul monte Pelmo, effettuata nel settembre del 1857 dall’alpinista John Ball, un personaggio appartenente all’alta borghesia irlandese, entusiasta esploratore delle Alpi, studioso, intellettuale, autore di diversi resoconti di viaggio, uno fra i primi grandi scalatori stranieri a compiere ascese ufficiali alle cime delle nostre Dolomiti. Il volume s’inserisce, infatti, all’interno di una serie d’iniziative promosse da alcune istituzioni locali per ricordare tale avvenimento.
Per cogliere una volta di più il valore di questa pubblicazione, vale la pena considerare la riflessione che l’autore porta all’attenzione del lettore proprio nell’introduzione: “…Dopo Antonio Berti, dopo Angiolo Sperti, dopo Giovanni Angelici, parlare del Pelmo e descriverne la superba struttura, illustrarne la poesia e la maestà, sarebbe presunzione…” (Aldo Depoli, 1965). Molto è, infatti, stato scritto sulla grande montagna che unisce, attorno a sé, le genti della valle del Boite, della valle di Zoldo e della val Fiorentina; lo scritto di Giovanni Angelini “Pelmo d’altri tempi” (Nuovi Sentieri, 1987) risulta poi costituire un’autentica “Bibbia”, fonte indispensabile cui attingere per raccogliere notizie sul vissuto delle genti che hanno abitato attorno a questa montagna e su coloro che la hanno esplorata in senso alpinistico.
Ernesto Majoni, nel ripercorrerne la storia, cita con rigore e puntualità tale fonte preziosa e, nelle ripetute riprese dal testo, sembra quasi voler rendere un elegante omaggio alla serietà del lavoro compiuto da Giovanni Angelini, con meticolosità e passione. È l’atteggiamento che si riesce a cogliere anche dietro l’elaborazione di questo libro, a partire dalla messa a punto del significato etimologico del nome Pelmo, per passare poi in rassegna eventi, personaggi noti e meno noti, raccontati dalla penna di alcuni fra i principali studiosi che hanno ricostruito le vicende passate di questa montagna. Ernesto Majoni ripercorre la storia in tono quasi interlocutorio, dialoga con chi racconta, riflette e indaga una volta ancora sul senso di un andare per montagne che ormai non esiste più, fino a toccare i giorni nostri.
Senza dubbio il volume si presenta in una veste grafica dal tono raffinato, con le immagini dalle tonalità volutamente invecchiate e l’impianto del testo impaginato ad arte; il risultato è quello di offrire al lettore un lavoro di una certa eleganza, importante, all’altezza della montagna cui è dedicato, regale ed imponente, come un tempo, così ancora oggi.

Alessandra Cason

mercoledì 2 gennaio 2008

Appunti di montagna

Ormai da alcune stagioni, ogni numero del "Notiziario di Cortina", il foglio bianco-blu pubblicato a Cortina quasi ogni giorno durante la stagione estiva e quella invernale da Feliciana Mariotti, ospita "Appunti di montagna", una rubrica nella quale il sottoscritto informa, propone, racconta, ricorda fatti curiosi, episodi storici, personaggi, ricorrenze sempre legate alle montagne. La rubrica riscuote un lusinghiero apprezzamento fra residenti e turisti e continuerà fino a marzo. Invito chi può farlo a darci un'occhiata!

“Anpezan o talian?”. Il gergo degli alpinisti ampezzani.

In Ampezzo, l’alpinismo vanta una tradizione ultrasecolare, che convenzionalmente si fa iniziare il 29 agosto 1863. Quel giorno, infatti, il giovane avvocato viennese Paul Grohmann (1838-1908), in compagnia di Francesco Lacedelli detto “Checo da Meleres” (1796-1886), orologiaio e valente cacciatore, giunse dal versante ovest in vetta alla Tofana Seconda (o di Mezzo, m. 3243), la più elevata delle montagne che circondano Cortina.
La conquista diede il via ad una disciplina che ha reso famosa la valle in tutto il mondo, fornendo cospicui motivi di gloria alla storia paesana e creando una fonte di reddito fondamentale per l’economia della conca, soprattutto nell’epoca dei trionfi dolomitici.
Dalle esplorazioni di Grohmann (avvenute fra il 1862 e il 1869), che fece conoscere Ampezzo dovunque, sono passati 140 anni. Sulle montagne ampezzane sono state aperte centinaia di vie di roccia, sentieri, ricoveri e vie attrezzate; oltre centocinquanta valligiani sono stati autorizzati a portare clienti in montagna; da mezzo secolo funziona una validissima stazione di soccorso alpino, e la pratica dell’alpinismo gradualmente ha interessato tutti i ceti sociali, tutte le fasce d’età e tutte le nazioni. Il resto fa già parte della cronaca.
Questo saggio mira ad illustrare il modo di comunicare di cui si serve in montagna, più specificamente nell’arrampicata, la popolazione ampezzana. E’ appena il caso di notare che Cortina ha dato i natali a varie generazioni di guide alpine e “Scoiattoli”, i dilettanti che dal 1939 sono riuniti in un affiatato gruppo, ed hanno portato il nome del paese su tutte le cime del globo; quindi il gergo è stato ed è tuttora piuttosto diffuso nella categoria.
Per quanto ci consta, non sappiamo, però, come gli alpinisti e le guide di Cortina parlassero di montagna nei tempi andati. Ed oggi? Il vocabolario degli scalatori locali, soprattutto dei più giovani, risente in modo massiccio della fraseologia tecnica italiana e inglese, lingue alle quali l’alpinismo e l’arrampicata sono debitori di numerosi prestiti.
Ad oltre 150 termini e frasi italiane inerenti alla pratica della montagna, sono stati associati i corrispondenti dialettali, raccolti dagli anni Settanta ad oggi perlopiù nell’ambiente giovanile.
Sono state raccolte le espressioni e i vocaboli che più di frequente ricorrono nella parlata dei praticanti l’alpinismo, sia in parete sia nei resoconti delle imprese compiute. Scavando localmente però, potranno senz’altro emergere idioletti, peculiari di una o poche persone.
In ogni caso, anche se la maggior parte del vocabolario usato dagli scalatori si è “ampezzanizzata”, un buon numero di lemmi è sicuramente autoctono, in gran parte registrato dai vocabolari, noto agli appassionati ed ancora vivo nella toponomastica.
Alle fonti bibliografiche che supportano lo studio, mi permetto di aggiungere la discreta, ma appassionata esperienza alpinistica che ho maturato in un trentennio, ed alcune testimonianze di persone che conoscono bene le emozioni derivanti dal “‘sì in croda”.
Questo breve studio non ambisce certamente ad illuminare chi vi cercasse novità in campo strettamente linguistico, ma intende solo schiudere una finestra fino ad oggi inesplorata sul mondo dell’alpinismo, uno degli aspetti fondamentali della vita fra le nostre montagne.

Afferrare: ciapà inze; afferrarsi: se ciapà inze
Aguzzo: a ponta, a spizon
Anticima: anticima
Appeso (restare): tacà su; nel vuoto: a pendoron (restà)
Appiglio: apilio/apilie, scafa/scafes, busc/buje, taca/taches, secèl (anche toponimo); a. grosso: mantia/manties
Aprire (una via): daerse (na via)
Arrampicare: ‘sì in croda/ranpegà; a. con decisione: tazà; a. faticosamente: stentà/scarpedà, lense; a. in cordata: ‘sì (su) leade; a. in libera: ‘sì (su) in libera; a. in conserva: ‘sì (su) in conserva; a. in aderenza: ‘sì (su) in aderenza; a. su terreno friabile: ‘sì (su) sui voe
Arrampicata: artificiale: artificiale, da se tirà su (par) i ciode; a. libera: libera
Arrampicatore: che và in croda; a. poco abile: zanpedon/zapoton
Assicurare: fei segura, segurà, assicurà; assicurarsi: se assicurà, se tacà inze
Assicurazione: segura; a. a spalla: a spala
Attaccare (una via): tacà (na via)
Attacco: ataco/atache; a. faticoso: Calvario (toponimo)
Attenzione (escl.): ocio!/tendi!
Attrezzare (una lunghezza di corda): atrezà
Bastoncini (per la marcia): bastoi
Bivaccare: bivacà; dromì fora
Bivacco: bivaco/bivache
Borraccia: boracia/boraces
Cadere: tomà (‘sò)
Calare: calà (‘sò); calarsi: se calà (‘sò)
Calata: calata/calates
Calosce da neve: stieles, ghetes (oggi poco usate)
Camino: camin; c. stretto: busc/buje (anche toponimo)
Campanile: cianpanin/cianpanis
Canalone: canal/canai; canalon/canaloi
Capocordata: prin; arrampicare da c.: ‘sì da prin/‘sì daante
Cascata (di ghiaccio): cascata/cascates; su par el jazo
Casco: casco/casche; iron.: elmo/elme
Cavalcioni, a: a caal, a caaloto
Caverna: landro/landre
Cengia: cengia/cenges, cenja/cenjes; accr. cengion/cengioi, cenjon/cenjoi
Chiodare: ciodà, petà ciode
Chiodo: ciodo/ciode; c. ad anello: c. col anel; c. a pressione: c. a prescion; c. ad espansione: c. a espans(c)ion/spit; c. fisso: c. zementà, resinà; c. di sosta: c. de sosta
Cima: zima/zimes; ponta/pontes (anche toponimi); in cima: su in son
Clessidra: clessidra/clessidres
Colatoio: (gelato, pericoloso per caduta sassi) canalato/canalate; colatoio/colatoie
Corda: corda/cordes (da croda); c. doppia: corda dopia; c. fissa: corda fissa; c. metallica: corda metalica
Cordata: cordata/cordates
Cordino: cordin/cordin, chevlar
Costone: coston/costoi
Crepaccio: crepo/crepe (anche toponimo)
Cresta: cresta/crestes
Croce di vetta: crosc/crojes
Cuneo: coin/cognes (de len) (oggi poco usato)
Diedro: diedro/diedre
Difficile: duro/difizile
Dirupo: crepo/crepe
Discensore: discensor/discensore; secèl; d. a otto: l oto
Dislivello: disliel
Dissipatore: dissipator/dissipatore
Esposto: esposto
Facile: fazile
Fessura: fessura/fessures, scendedura/scendedures; Ris (solo toponimo)
Fettuccia: fetucia/fetuces
Forcella: forzela/forzeles
Frana: frana/franes; (di terra) boa/boes
Franare: vienì ‘sò, franà (‘sò)
Fulmine: saeta/saetes
Ghiacciato: jazà
Ghiaccio: jazo; g. duro: j. duro patoco; g. trasformato: j. verde; arrampicare su ghiaccio: (‘sì) su jazo
Ghiaia: jera; g. fine: jerin
Ghiaione: graon/graoi; jeron/jeroi; di pietre grosse: sassera/sasseres; (raro) majiera/majieres
Gradi di difficoltà: prin/secondo/terzo/cuarto/cuinto/sesto; inferiore: inferiore/meno (es. terzo meno/cuinto meno); superiore: superiore/più (ad es. cuarto più/sesto più)
Gradinare: sciarinà, fei sciaris
Gradino: sciarin/sciaris
Guida alpina: guida/guides
Imbracatura: inbragadura/inbragadures; inbrago/inbraghe
Incassato: incassà (inze)
Incastrare: incastrà; incastrarsi: s’incastrà (inze)
Incrodarsi: s’incrodà/se ficià
Legarsi (in cordata): se leà
Libro di vetta: libro/libre
Lunghezza di corda: tiro/tire
Martello: martel/martiei
Masso incastrato: sas incastrà/sasc incastrade
Mollare la corda: molà (mòla!)
Moschettone: moscheton/moschetoi
Naso: nas; Naso Gialo (toponimo)
Neve: gnee; n. farinosa: sfaria; n. crostosa: crosta; n. dura: todo; n. marcia: g. marzo; n. primaverile: firn
Nicchia: busc/buje
Nodo: gropo/grope (nomi propri: barcaiolo, oto, meso barcaiolo, prussic, ecc.)
Ometto: ometo/omete
Orizzontale: via dreto
Palestra di roccia: palestra
Pancia (rigonfiamento roccioso): panza/panzes
Parete: paré/pares; paretina: paredina; (toponimo: Lasta)
Passaggio: passagio/passage (anche toponimo); passagiato/passagiate
Passo: pas/pasc
Pendio: spona/spones; con arbusti: grebano/grebane
Pendolo: pendolo
Piastrina per assicurazione: piastrina/piastrines
Piccozza: picoza/picozes; (raro) saponéto/saponéte
Pilastro: pilastro (anche toponimo)
Pino mugo: barancio/barance
Placca: di roccia: placa/plaches, lastron/lastroi; di ghiaccio: lastra/lastres; lastron
Posto di cordata: posto/poste de sosta
Precipitare: tomà ‘sò; toccare terra: pionbà ‘sò, se schiantà (‘sò)
Proseguire: ‘sì inaante
Punta: ponta/pontes; spizon/spizoi
Quota: cuota/cuotes
Rampa: ranpa
Ramponi: ranpoi, grife
Recuperare (la corda, una persona): tirà (su/‘sò), recuperà (recupera!)
Rifugio: rifujo/rifuje
Rinvio: rinvio/rinvie
Ritirarsi: tornà indrio/in ‘sò
Roccia: croda; r. solida: c. sana; r. friabile: c. marza/marzo/marzumera; r. gialla (spesso friabile): c. ‘sala/el ‘sal/i ‘sai (toponimo); r. nera (solida): c. negra/i negre (toponimo); r. liscia: slisc, c. sliscia; r. consumata dai passaggi: c. onta
Salire: ‘sì su; s. con sforzo: stentà; iron. ‘sì su come un vermo; s. di forza: jbreà (su)
Salto (anche roccioso): souto
Salvare: tirà ‘sò (calchedun)
Salvarsi: se salvà, se ra caà
Sasso: sas/sasc; coolo/coole
Scaglia: scaia/scaies
Scala: sciara/sciares
Scarpette da arrampicata: scarpete; balerines; iron. zapote
Scarponi: scarpoi
Schiena rocciosa: schena/schenes (anche toponimo)
Schiodare: des-ciodà
Scivolare: jlezià
Scivoloso: jlizego (raro)
Scorciatoia: curta/curtes
Secondo di cordata: secondo; arrampicare da s. di cordata: ‘sì da secondo; ‘sì dadrio
Segnavia: segno/segne
Sentiero: troi/troes
Sicurezza (fare): fei segura
Slegare (sciogliere la corda): dejgropà; slegarsi (sciogliere la cordata): se dejleà
Soccorrere: fei socorso
Soccorso: socorso
Sosta (posto di): sosta/sostes
Spaccata: spacata/spacates
Spalto: spalto/spalte (anche toponimo)
Spigolo: spigolo/spigole (anche toponimo)
Sporgente: che sporse/che vien in fora
Spuntone: spunton/spuntoi
Staffa: stafa/stafes
Strapiombante: strapionbante
Strapiombo: strapionbo/strapionbe; souto/soute
Superare (un passaggio): fei (fora) un passagio/passajo; soutà (su/fora)
Terrazzino: terazin/terazis
Tetto: cuerto/cuerte; dim. cuertin; accr. cuertazo
Tirare la corda: tirà (tira!)
Torre: tore/tores
Traversare: tra(v)ersà/scaazà; in quota: (‘sì via) a soman
Traversata: traversata/traversates; traerso/traerse
Tuono: tonada/tonades (anche nel senso di colpo)
Uscire (terminare una via): ruà su, soutà fora
Valanga: laina/laines
Variante: variante/variantes
Verticale: su dreto/a pionbo
Via: via/vies; normale: comune/normale; diretta: direta; direttissima: diretissima; facile/di poco rilievo; vieta/vietes; ferrata: ferata/ferates; lunga ed impegnativa: vion/vioi
Vite (da ghiaccio): vida/vides
Volare (cadere da una parete): volà (‘sò), oujorà (‘sò)
Zaino: saco/sache

Conclusioni
Quali considerazioni possiamo trarre dalla lettura e dall’analisi di questo breve glossario? Come già anticipato, molti dei lemmi utilizzati dagli scalatori sono autoctoni, compaiono nei vocabolari, e sono normalmente usati dai parlanti (‘sì in croda, bastoi, cianpanin, a caaloto, cenja, zima, ponta, corda da croda, crepo, crosc, coin, scendedura, gropo, tazà, cuerto).
Una parte perdura ancora nella microtoponomastica ampezzana, la cui conoscenza valica talvolta i confini paesani e potrebbe dar luogo ad interessanti ricerche (Busc de Frasto, Calvario, Lasta, Naso Giallo, Pilastro, Ris, Passagio Strobel), mentre un’altra parte cospicua è stata “ampezzanizzata”, ossia adattata dall’italiano alle peculiarità linguistiche dell’ampezzano, con risultati spesso sgraditi alle orecchie dei puristi, ma ormai consolidati: ad es. apilio, ataco, bivaco, boracia, calata, casco, clessidra, diedro, elmo, fetucia, palestra, placa, posto de sosta, fei segura/sicura, terazin, variante, ferata.
Premesso che numerose espressioni del linguaggio alpinistico si sono formate abbastanza di recente, possiamo costatare che molte di loro di solito sono attinte direttamente dall’italiano, scavalcando le autentiche voci locali, per motivi di maggiore frequenza d’uso, forse per pigrizia o forse soltanto per l’opportunità di farsi comprendere da interlocutori estranei (apilio, calata, cascata, casco, cordata, franà, inbrago, tiro, passagio, pendolo, ranpoi, rinvio, saco, scarpoi, socorso, spacata, spunton, strapionbante, superiore, traversata, via comune).
Da ultimo, alcuni lemmi sono peculiari del gergo alpinistico locale: ‘sì su come un vermo per salire con sforzo, tazà per arrampicare con decisione, jazo verde per ghiaccio trasformato, pionbà ‘sò, se schiantà (‘sò) per precipitare, croda onta per roccia lisciata dai passaggi, soutà fora per uscire da una via, vion per via alpinistica lunga e importante, lense per arrampicare faticosamente, soprattutto su placche.
E’ facile vedere che il gergo degli arrampicatori ampezzani d’oggi, ancora diffuso e resistente, deriva da una singolare combinazione fra lemmi autoctoni, ampezzanizzati ed italiani. Prescindendo da approfondimenti dialettologici e sociolinguistici, e tenendo conto che praticamente l’arrampicata di stampo classico ha ormai ceduto il passo all’arrampicata in palestra e sulle falesie, ambito sportivo perlopiù anglofilo che non ha troppo a che fare con l’alpinismo, è comunque auspicabile che il gergo della categoria degli amanti locali della roccia sopravviva ancora, senza farsi schiacciare troppo in fretta dalle lingue dominanti. Sarebbe certamente una cospicua perdita, sia per la linguistica sia per la cultura locale!
Al termine del lavoro, rivolgo un pensiero e un ringraziamento agli amici coi quali ho condiviso tante avventure in montagna. Fra tutti, un grazie speciale ai professori Enrico Lacedelli, guida alpina e Scoiattolo di Cortina, ed Enzo Croatto, dialettologo e alpinista, per i validi consigli e suggerimenti forniti.

Spiz Galina

Dopo affannose ricerche, è stato purtroppo ritrovato morto Franco Mezzavilla, Guardia Provinciale bellunese di 45 anni che il 30 dicembre aveva salito da solo lo Spiz Galina, singolare cima del gruppo Col Nudo-Cavallo, che ho sentito definire "il Cervino di Longarone" e si eleva fra Soverzene e Provagna, in sinistra orografica del Piave. Sono uno dei pochi a Cortina ad avere salito quella cima: accadde il 26 maggio 1991, quando con mio fratello Federico, Alessandro e Caterina ci portammo da Provagna a Forzela del Toch per la valle omonima (che Berti chiama Val Masarei), toccammo la vetta per la normale e la traversammo verso la Val Galina, tornando a Provagna per un bel sentiero, imboccato quasi per caso. Fu una gita originale ed appagante, che mi è tornata in mente poco tempo fa, parlandone con l’amico Luca di Udine, che il 24 gennaio 2004 ha salito lo Spiz in invernale con una cospicua variante, e ne ha dato notizia sul semestrale Le Alpi Venete. Con queste righe esprimo il mio dispiacere per il tragico destino del signor Mezzavilla, che conosceva bene le sue montagne, le frequentava sia per lavoro che per piacere, e fra di esse, in una zona selvaggia e nota solo a pochi, è giunto all'ultimo appuntamento.

martedì 1 gennaio 2008

Solitudine alpina

Giornata serena, piuttosto fredda, questo Capodanno 2008. Eravamo certi di non trovare la "solitudine alpina" che cerchiamo sempre, ma abbiamo voluto comunque ripetere un bell'anello escursionistico ai piedi del Col Quaternà (Cresta Carnica di Confine): dal Passo Montecroce Comelico a Malga Coltrondo, traversata al Rifugio Alpe di Nemes e ritorno al Passo. Neve scarsa, stradine ghiacciate, tantissimi escursionisti rumorosi, altrettanti cani, innumerevoli telefonini: ma la Montagna appartiene a tutti!
Comunque, l'immersione nei grandi boschi che segnano il confine fra il Sudtirolo ed il Veneto e il grande panorama sulle Dolomiti del Popera hanno contribuito ad arricchire l'anello, che consiglio a chiunque si trovi in zona.

lunedì 31 dicembre 2007

Sapete dove si trovano i "barance de Santo"? (in ladino ampezzano)

Su par ra fazada daante ra Ponta de ra Crosc, ca de ca de ra Ponta Fiames ves Anpezo, i prime a se ranpinà su l é stà Tino Verzi (Sceco) e Jan Siorpaes (de Santo) con Felix Pott, d agosto del 1900. Un toco in su l é na gran tacia de erba e de barance, che se vede finamai da Bigontina. Inze l libro “Dolomiti Orientali”, lieson che ra tacia, un zentener de metre sora l graon, che na ota i conoscea, parceche se fermaa proprio là a se bete i scarpete ci che tacaa l paré, e agnoche ades i passa de poche, i ra ciamaa “i barance del Banco”. Cal banco che see no sei, ma almoto in calche luò chel gnon l ea stà sentù e tolesc par bon. Orazio De Falkner, tornà su par prin drio Pott de ottobre del 1900, l disc che a ra tacia ra so guides es i ciamaa “i barance de Santo”. “Non so il perché …” del gnon, el disc, ma l é seguro che Santo fosse chel da Sorabances, sa pare de Jan, morto de dezenbre del 1900, che fosc lassù el no n aea mai stà. Ci alo rejon? L é un toco che vorarae capì se Santo da Sorabances, ignante de Pott e del 1900, l aea mai abù algo da che far con chera tacia, na pousa verde al soroio agnoche ancuoi và su solo chera poca ciamorzes che l é vanzà là dintor, o almanco ce banco che l i ebe dà l gnon a na barancera che poche conosce.

E' morta la prima "Scoiattola"

L’11 dicembre, dopo breve malattia, è mancata ad Albuquerque, nello stato del Nuovo Messico, Emma Franceschi de Cuto de Elena. Nota in gioventù col nomignolo di Ghèba poiché amava fumare, Emma ha spazio nella storia alpinistica locale in quanto, all’inizio degli anni ’40, fu la prima ragazza ammessa alla Società Rocciatori Sciatori Scoiattolo, oggi Gruppo Scoiattoli di Cortina, e mantenne il primato per mezzo secolo, fino all’entrata nel gruppo di Iaia Walpoth e Nadia Lustra. Classe 1920, l’ampezzana apparteneva alla grande famiglia di Francesco, insegnante alla Regia Scuola Industriale. Terminate le scuole elementari a Cortina, continuò gli studi a Rovereto, dove il padre si era trasferito. Ritornata in Ampezzo, costituì con Alo, Bibi, Boni, Vecio, Zesta ed altri il celebre gruppo di scalatori, che fra non molto festeggerà i 70 anni dalla fondazione e continua ad esplorare con entusiasmo le montagne di tutto il mondo. La stagione sportiva di Emma fu breve, e non annovera ascensioni importanti o prime salite. Sul finire della Seconda Guerra Mondiale, infatti, conobbe un ufficiale dell’U.S. Army di stanza a Cortina, e con lui emigrò negli Stati Uniti, dove lo sposò e gli diede cinque figli. Stabilitasi a Missoula, tornava spesso e volentieri in Italia per rivedere i parenti, a Cortina e Brembate, dove risiedeva la sorella Clelia - autrice di moltissime poesie in ampezzano -, scomparsa quest’estate quasi centenaria. Chi scrive non ha conosciuto Ghèba, ma è sicuro che non ha mai scordato la valle d’Ampezzo, le pallide Dolomiti, la sua gente.

Leggete il mio ultimo libro!

In luglio è uscito, per conto della Sezione CAI di San Vito di Cadore, "Da John Ball al 7° grado. Note di storia alpinistica del Pelmo, a 150 anni dalla prima ascensione", che ho scritto in onore della grande montagna che domina la Valle del Boite, la Val Fiorentina e la Val di Zoldo. Il volume si trova in vendita a Cortina e a San Vito, oppure può essere richiesto direttamente al CAI di San Vito. Invito gli appassionati di storia dell'alpinismo dolomitico a darvi un'occhiata: può essere anche un simpatico regalo.

Novità sulle Dolomiti

Un amico che, per dovere e anche per piacere, di montagne ne ha scalate parecchie e passeggia tuttora sul sesto grado, un giorno traeva una conclusione che mi ha fatto riflettere. Oggi, paradossalmente, nell’esplorazione delle cime soprattutto intorno a Cortina, è diventato più facile scovare una via nuova con difficoltà alte od estreme, che non un’ascensione di stampo classico, dei gradi che furono palestra d’impegno e divertimento anche per noi. Vale a dire che in Ampezzo e dintorni il mercato offre ancora qualche diedro, parete, tetto vergine di settimo e ottavo grado, ma si sono invece rarefatti i camini, le placche e gli spigoli di terzo e quarto. E poi non ci sono quasi più cime dove nessun essere umano abbia ancora messo piede, almeno con intenti alpinistici. Si vede però che questo non è sempre vero: nello scorso agosto due alpinisti, uno dei quali è Carlo, giovane “figlio d’arte” di Modesto, guida alpina e gestore del Rifugio Croda da Lago, sono riusciti a scovare - quaranta minuti sopra il Lago di Misurina - una cima ed una breve via, nuove ed originali. Essi, infatti, hanno battezzato il Torrione Medio-Orientale delle Pale di Misurina (Gruppo del Cristallo) salendone la parete nord, con difficoltà di secondo e terzo grado. Sono occorsi due chiodi e solo quaranta minuti di arrampicata, per “conquistare” quel corposo spuntone, sotto il quale sarò passato una mezza dozzina di volte, ma mai avrei immaginato che un giorno qualcuno si arrampicasse, creando una via nuova, poco difficile e magari degna di diventare classica. Mi auguro che questi ragazzi continuino così, dimostrando che l’alpinismo esplorativo vive ancora, anche nelle usate Dolomiti.