sabato 19 gennaio 2008

Doro Pear, un on che i piajea 'sì in croda (in ampezzano)

Desseguro calchedun se pensarà ancora del Pear, un anpezan che i piajea 'sì in croda e l à lascià l so gnon inze "Il libro d'oro delle Dolomiti", betuda aduna da Severino Casara e stanpada del 1980. El soragnon “Pear” l i ea stà betù a un Godini - almoto pien de forza e duto fó - e l i é ruà da sa mare a chesto anpezan, che l aea gnon Isidoro Siorpaes, l ea nasciù de l 1883 e l é morto iusto 'sà zincuanta ane. Dapò ra Prima Guera, Doro l aea scomenzà a ‘sì in croda, e inze i libre se ciata l so gnon ai 10 de agosto del '19, canche - con Fritz Terschak - l à darsonto ra Ponta Negra par ra cresta che vien 'sò ves Dogana, sul vecio confin d Anpezo. Sete ores intrà barance, jera e croda mesa marza, 1700 metre dal stradon, na “arrampicata lunga e faticosa” disc el Berti, che inze deboto nonanta ane fosc negun à mai pi fato. Un an dapò, ai 9 de setenbre del '20, con Terschak, Anjelo Dibona Pilato e Julio Apollonio de Varentin, el Pear l é stà un dei prime dapò ra guera a tornà su par ra sud de Tofana de Rozes, inalora un dei parés pi nomade d Anpezo. No sei pi agnó, ma in calche luó ei lieto che in chi anes Doro el fejea anche nafré ra guida. El no n aea l parmesso, ma desseguro l aea na gran pratega e l arae podù deentà un brao maestro, par ci che vorea conosce ra Dolomites. El no n é 'sù drio i Dee, i Pilate e trope outre, ma l sò gnon el resta inze ra storia, parceche in chi anes, canche ra 'sente no pensaa de zerto a ‘sì a spasso (del '19 l ea outro da fei!), inze un dei ciantoi manco conosciude d Anpezo, el Pear e Fritz Terschak i à ciatà fora ra via fosc pi longa de ra val, che ancuoi no se sà pi gnanche agnoche r é, ma ra l recorda inze ra bela storia de ra Dolomites.

giovedì 17 gennaio 2008

Salviamo i libri di vetta sui monti!

Lasciare la propria firma in vetta ai monti che si salgono, è un'usanza antica. Nell’800, i pionieri dell’alpinismo lasciavano i loro biglietti da visita in bottiglie di vetro sotto i sassi delle cime; più tardi, i Club Alpini iniziarono a collocare sulle vette scatole di metallo, con “libri di vetta” che duravano anni. Oggi molte scatole sono ancora metalliche, ma sempre più di frequente se ne trovano di vetro o di plastica, con eleganti quaderni rilegati o normali agende scadute, talvolta colme delle futilità che lascia chi non comprende il valore di un nome, una data, un pensiero per chi sale le montagne. Il nostro Becco di Mezzodì vantava un libro di vetta già nel 1901; quello del Piz Popena, rimpiazzato nel 1981, dopo settant'anni era riempito solo a metà; sulla Torre Grande d'Averau, fra il 1927 e il 1948, ne furono lasciati tre, mentre sulla Punta Fiames dal 1926 al 1958 gli scalatori ne trovarono due; un’agenda è stata posta sulla Punta Nera nel settembre 2000, e dalla primavera 2007 anche sulla piccola Pala Perosego c'è una bella scatola, con un quaderno nuovo. Tempo fa, alcuni alpinisti notarono che qualche contenitore sulle cime ampezzane era stato rovinato, spesso addirittura smembrato da temporali, nevicate, fulmini. Si profilava quindi la necessità di trovare una soluzione a questa situazione, in modo che i libretti non ammuffissero per le infiltrazioni d’acqua, le scatole non fossero più bersagliate da scariche elettriche, per garantire che le fonti di storia alpinistica che giacciono sulle cime abbiano lunga vita. Franco Gaspari, guida alpina, propose di adottare un cilindro artigianale di plastica con un tappo a vite: impermeabile, inalterabile dai fulmini e dall’umidità, il cilindro è adatto ad accogliere un quaderno e qualche matita. Gaspari ha mostrato il prototipo al CAI di Cortina, che l’ha subito apprezzato. Su alcune vette ampezzane si possno già trovare sotto l’ometto i nuovi cilindri con i libretti che venivano spesso danneggiati da fulmini e intemperie. Resta sempre aperta la questione di chi oltraggia intenzionalmente i libri di vetta, forse perché non crede utile che sui nostri monti si trovino quaderni, in cui gli alpinisti appongono con piacere la propria firma e qualche pensiero, contribuendo così a stendere una pagina originale della storia dolomitica.

lunedì 14 gennaio 2008

I ghiaioni non sono più quelli di una volta!

Un tempo, sui nostri monti esisteva un buon numero di canaloni detritici e ghiaiosi, lungo i quali si doveva, o si poteva scendere nel corso di una gita, di solito divertendosi un mondo. Per fermarci a Cortina, da Forcella Pomagagnon, Forcella Ra Ola o dal Monte Valon Bianco, vuoi per l’inclinazione, vuoi per le ghiaie quasi polverose, si calava velocemente e comodamente (sempre con le dovute attenzioni), si copriva mezzo chilometro e più di dislivello in un quarto d’ora, e le camminate in quelle zone avevano nella discesa un elemento d’interesse in più. Anche altri canali, magari meno gustosi, erano ugualmente degni di visita: il Canalon del Pesc sul Pomagagnon, quello fra le Lavinores e Antruiles ecc.. I dissesti idrogeologici di questi anni hanno purtroppo modificato molti canali, e pochi sono ancora gradevoli da percorrere. Uno che lo è ancora, non molto noto, scende da una forcella di cresta senza nome alla testata del Cadin di Croda Rossa, e s’innesta in quello molto ampio che da Forcella Colfiedo scende al Passo Cimabanche. A noi il canalone, oggetto anche di una bella gita scialpinistica, offrì una lunga e divertente discesa, in un ambiente quasi lunare. Passammo ai piedi del Torrione Lorenzi, lo spuntone a prua di nave che caratterizza il versante sud della Croda Rossa, ma in basso dovemmo comunque fare i conti con l’intricata parte finale del vallone di Colfiedo, uno degli ultimi luoghi d’Ampezzo in cui manca un sentiero definito. Sul canalone di Forcella Pomagagnon sono tornato due anni fa: con un po’ di abilità, ma senza gran piacere, qualche scivolata si riesce ancora a fare. Il Valon de ra Ola ormai è sconsigliabile d’estate, poiché è così eroso dalle acque da aver persino cambiato colore: quello del Valon Bianco, quando scesi per l’ultima volta, era così indurito nella parte alta che un amico si fece assicurare con la corda per scendere più tranquillo. Sarà un luogo comune, ma lo ripeto: oggi neppure i ghiaioni sono più quelli di una volta!