mercoledì 25 febbraio 2009

“Varda Faloria, che sin và in fasc!”

Sono le parole del pastore di Larieto, pronunciate nel pomeriggio di domenica 20 maggio 2007, mentre dal "Brite" assistevamo in diretta al terzo crollo da un lastrone roccioso, situato sulla destra orografica della stazione terminale della Funivia Faloria. Il crollo ne seguiva un altro accaduto quella mattina e un altro ancora, ben più ampio e notato fin dal centro del paese, accaduto cinque giorni prima e del quale aveva informato anche la stampa. Le montagne che si polverizzano in minore o maggiore misura costituiscono un fatto ricorrente, un appuntamento ineluttabile. Dopo la Torre Trephor (primavera 2004), ricordo il cedimento sulla parete meridionale della Croda del Pomagagnon (29 giugno 2005), poi nello stesso anno quello sulla parete sud della Croda Marcora e quello sullo stesso versante della Punta Fiames, accaduto nell'aprile 2007; ultimo, ma più importante, l'enorme franamento sulla Cima Una in Val Fiscalina, del 12 ottobre 2007. Sicuramente, qui da noi ce ne saranno stati anche altri, che al momento mi sfuggono. Nulla di geologicamente preoccupante, dicono gli esperti: rientra tutto nella normale dinamica della Terra, certo. Ma per l’alpinismo, l’escursionismo, il turismo forse qualche preoccupazione nasce, dato che questi fenomeni interessano crode, rifugi, sentieri, vie: ambienti che per fortuna fino ad oggi – considerata l’epoca in cui accadono - ne sono sempre stati coinvolti in maniera abbastanza marginale. Quest’ultimo crollo, peraltro, interessò una zona in cui da tempo si vocifera della realizzazione di una ferrata “new wave”, che giungerebbe fin sul ciglio del Mondeciasadió (antico nome di Faloria, oggi dimenticato) e offrirebbe a chi sale in funivia una panoramica delle evoluzioni dei ferratisti su funi e scalette. Lungi da chi scrive l’intenzione di allarmare, ma non so se la zona sia ottimale per impiantarvi una via attrezzata, sia per la sicurezza del versante sia per lo sconsolante panorama che offrirebbe: una lastra rocciosa alta almeno cento metri, scollatasi dalla sottostante parete come un enorme wafer e precipitata sui ghiaioni, lasciando una giallastra e polverosa cicatrice che si è in parte rimarginata ma, con un po' d'occhio, si vede ancora.