martedì 19 ottobre 2010

Cianpolòngo e/o Salvaniéra: una croce fra Cortina e San Vito (200° post pubblicato quest'anno!!!)

Sono passati già undici anni da quel sabato 16/10/1999, quando Mara e Ivano, appassionati escursionisti di Cortina che escono spesso dalle piste battute, fecero una scoperta, tanto più interessante poiché totalmente casuale, in una remota plaga del territorio di Cortina.
Salendo verso la Rochéta de Cianpolòngo, una cima posta sul crinale fra Cortina e San Vito, dopo aver visitato il cippo “numero 1” del confine fra le due comunità, a pochi passi dalla vetta gli escursionisti s’imbatterono in un altro cippo “numero 1”.
Su un lastrone roccioso apparve, infatti, ai loro sguardi stupiti una croce incisa, con la data 1779 e il numero 1, che fa esattamente il paio con quella presente circa 250 m più in basso, ai piedi del Zìgar, piramide visibile anche da Cortina che ebbe un peso di rilievo per definire i confini del territorio, al tempo anche confini fra l’Impero d’Austria e la Repubblica Serenissima.
Di questa duplice pietra di confine è probabile che fino allora nessuno sapesse alcunché. Non fu citata nei suoi pregevoli studi da Giuseppe Richebuono, storico d’Ampezzo; non la trovò né ne fece menzione Illuminato de Zanna, il ricercatore che negli anni ’60 aveva scandagliato per primo i 75 km del perimetro confinario ampezzano; non lo conoscevano i cultori di storia e d’alpinismo che chi scrive volle interpellare.
Il secondo confine “numero 1”, ripassato in vernice e copiosamente fotografato dagli “scopritori” (e poi visitato da chi scrive in più riprese, nel 2000, 2003 e 2004), è andato ad inserirsi come elemento prezioso dell’esplorazione del territorio d’Ampezzo, del quale sovente anche i residenti sanno poco o nulla.
Pur essendo raggiungibile con fatica ma senza difficoltà di roccia, giacché si mimetizza bene sulla dolomia, evidentemente l’iscrizione sfuggì a coloro che toccarono la vetta dopo il 1779. Non lo notarono, o non ne fecero parola, i cacciatori, i contrabbandieri, i pastori, i rari rocciatori che salirono la cima, e gli alpinisti che trovano sulla Rochéta la meta di una gratificante escursione da quando, nel 1986, alcuni amici hanno segnato l’accesso a minio e collocato in cima una croce e un quaderno per le firme.
Resta ancora da decifrare, e non pare del tutto intuitivo, il motivo di una duplice confinazione. Ad onore del vero, in ogni modo, una citazione illuminante sull’argomento c’è.
Leggendo il “Protocollo” del 20/8/1779, che descriveva l’andamento dei confini, i cippi e le distanze intermedie fra di loro espresse in Pertiche viennesi (m 1,896), il primo termine del confine Ampezzo - San Vito, quindi Tirolo – Cadore, avrebbe dovuto trovarsi in vetta ad una montagna, la cosiddetta “Rocchetta di Selvaniera”. Il testo originale recita così: “… la linea prosegue per la sommità delle più alte crode fino alla Rocchetta di Selvaniera rupe di grande estensione in continuazione delle crode di Ambrizzola.Ora a fianco detta cima, non potendo arrivare alla sommità, guardando verso Ampezzo fu scolpito il primo termine principale n. 1 ed una croce col millesimo 1779, in distanza dal Sasso di Mezzodì pertiche 1000.” Non è la stessa cosa, ma giacché nella fascia boschiva ai piedi delle Rochetes, sul lato di San Vito, oltre al toponimo “Ciampolongo” si rinviene anche un “Taulà Salvaniera”, il parallelo Salvaniéra – Cianpolòngo pare facile e remunerativo.
Azzardo l’ipotesi che, in prima battuta, i topografi del 1779 avessero iniziato a demarcare i confini sul terreno dal visibile “Zìgar”, dopo aver giudicato la Rochéta inaccessibile. Analogo sistema fu poi seguito al termine dei lavori sulla sponda opposta della Valle del Boite. Non riuscendo a salire il fianco S della Croda Marcora (dove qualcuno si avventurerà solo nel 1927), gli agrimensori incisero, accanto al cippo numero 10, la celebre mano, che traccia una linea di confine immaginaria verso i 3154 m della soprastante Croda.
Verificata in seguito la facilità, in senso alpinistico, della cresta che dalla Rochéta scende verso il Boite, probabilmente già nel medesimo anno i mappatori ritornarono in vetta, dove incisero la “nuova” croce con il numero 1.
L’ipotesi, più che logica, sembra probabile. La pietra di confine della vetta poi, a differenza di quella alla base del “Zìgar”, non fu fatta oggetto di ricognizione nel 1852, data della “seconda mappatura”, e nemmeno nel 1964, da parte di Illuminato de Zanna e amici. I topografi la dimenticarono, o non la conoscevano per niente?
Non essendo citato nel “Protocollo” né in altri documenti, il cippo “ritrovato” nel 1999 pare sia rimasto ignoto e invisibile per oltre 200 anni. Altra soluzione possibile non so fornire a questo piccolo dubbio storico, al quale sarebbe bello dare una risposta inequivocabile.

lunedì 18 ottobre 2010

Gironzolando intorno al Col Druscié

Alpinisticamente parlando il Col Druscié (1778 m), ai piedi delle Tofane, non è un monte. E’ un vasto dosso boscoso, apprezzato da tempi remoti per il panorama che offre su Cortina, poi in guerra per la posizione strategica, e sfruttato turisticamente da una settantina d’anni. Nel 1937, infatti, la sommità venne raggiunta da una delle prime slittovie. Nei primi anni '50 la slittovia fu demolita e al suo posto nacque una seggiovia in due tronchi, che partiva dalle case di Ronco e serviva le due celebri piste di sci “A” e “B”. Poco sotto l’arrivo fu costruita anche una casetta per l’alloggio degli operai. In seguito l’impianto passò di mano, il primo tronco di seggiovia venne chiuso e il secondo cedette il posto ad un impianto più adeguato ai tempi. Sulla sommità del Col, unita a Pietofana da una ripida strada sterrata oggi trasformata anch'esso in pista di sci, negli anni '30 era sorto un grazioso rifugio, nel quale dal 1947 al 1982 imperò mio zio "Ijuco" Majoni Coléto e fino al 1993 continuarono i suoi familiari, divenuto pochi anni fa una nuova struttura moderna in legno e vetro. Nel 1971, vicino al rifugio, sorse la mastodontica stazione a monte del primo tratto della funivia “Freccia nel Cielo”. Nell'aprile 1975, infine, fu inaugurato l’osservatorio dell’Associazione Astronomica Cortina, poi ingrandito e oggi sempre attivo. Nel 21° secolo, sul Col Druscié non è facile poter godere di un ambiente primigenio, anche se frequentandolo in una giornata di calma assoluta, si riesce persino ad incontrarvi qualche camoscio e il gallo forcello. Il versante che guarda Cortina, sulla destra orografica della linea seggioviaria, infatti, è abbastanza intricato d’alberi, mughi e massi rimasti come secoli orsono, e costituisce un piccolo serbatoio di natura selvaggia. Alla base del Col, in località Colfiére, c’è anche il "Sasso", piccola storica falesia di roccia ancora frequentata. Che dire di più? Anche i luoghi dove gli interventi umani sono stati piuttosto pesanti, potrebbero riservare qualche sorpresa!

domenica 17 ottobre 2010

Un ricordo al giorno: 17 ottobre

17/10/1910, un secolo fa. Le guide alpine Angelo Dibona Pilato e Celestino de Zanna de Bepe de Poulo scalano per prime con i clienti Amedeo Girardi e Leopoldo Paolazzi il Campanile Rosà, robusto pinnacolo che si appoggia alla parete E del Col Rosà. la via, 100 m circa di buon IV, avrà un certo favore negli anni '20 e '30 del secolo scorso, per subire via via il destino degli itinerari troppo lontani dal fondovalle, con roccia spesso incerta, pochi chiodi di assicurazione e il biglietto da visita di alcuni incidenti, anche mortali.
17/10/1965: gli Scoiattoli Ivano Dibona Pilato e Diego Valleferro Sfero salgono con Renato De Pol la breve parete S della Torre Romana delle Cinque Torri d'Averau, inerpicandosi più o meno dove si scende in doppia sia dalla Torre Romana sia da quella del Barancio. La via, 50 m circa di VI superati in tre ore con diversi chiodi, non è passata alla storia, se non come ricordo di Ivano e René, entrambi scomparsi in montagna.
17/10/1999: siamo in sei, e quel giorno saliamo un'interessante e poco nota sommità delle Dolomiti di Sesto in Pusteria: il Morgenkofel - Monte Mattina (2493 m), che fa da classico sfondo alla  testata della Innerfeldtal - Val Campodidentro. Qua e là dove non batte il sole è già comparsa la neve: la salita della cima e la traversata al Passo Grande dei Rondoi si svolge in condizioni tardo-estive e si rivela più lunga del previsto, ma molto interessante. Purtroppo da allora non abbiamo più avuto occasione di rifarla.
17/10/2010: un annunciato peggioramento del tempo dopo una serie di belle giornate tardo-estive, porta il primo assaggio d'inverno. Nel pomeriggio, i prati sono coperti di bianco da Alverà (1300 m) in su, e da Rio Gere (1690 m) anche la strada è tutta bianca. A Misurina si sono già accumulati 5-10 cm di neve, e nessuno ha ancora messo le gomme invernali ...

Confidando in uno scampolo d'autunno ...

Quando sopra una certa quota ormai c'è ben poco da fare, una meta adatta per un'escursione può essere il Rifugio Casera Ditta, costruito negli anni '800 unificando due antichi fabbricati costruiti a servizio della povera pastorizia della zona sull'unico slargo prativo dell'impervia Val Mesath, a 966 m d'altezza e a poca distanza dalla diga del Vajont. Da alcune stagioni il rustico rifugio è gestito, in maniera simpatica e anticonvenzionale, da Guido e Adriano; quest'ultimo vive lassù praticamente tutto l'anno e sulla valle e i suoi "orsi" ha scritto anche un libro, edito un paio di anni fa a Pordenone. Per salire a Casera Ditta, dove si possono trascorrere alcune ore in un ambiente dolomitico/prealpino selvaggio ed estraneo alle solite rotte, mangiando abbastanza bene e perdendosi con lo sguardo fra i boschi, i dirupi e le cime dell'incontaminato gruppo del Col Nudo, bisogna portarsi a Pineda. Sono quattro case fuori dal mondo, a cui si giunge per una comoda strada asfaltata che parte dal culmine della frana del Vajont. Da Pineda alla Casera Ditta occorre circa un'ora e un quarto di cammino: il sentiero segnalato, in parte rovinato dal penultimo duro inverno, nella primavera 2009 è stato ridisegnato lungo un erto canalone boscoso. Per chi non lo conosce, il Rifugio Casera Ditta, i suoi abitanti e frequentatori, le cime che gli fanno corona, potranno essere una piacevole scoperta. Noi l'abbiamo già fatta quattro volte, indirizzandovi anche alcuni amici.