giovedì 2 ottobre 2008

75, ma non li dimostrano!

L’estate 2008 riservava tre illustri anniversari della storia dell’alpinismo, legati alla stessa persona. Il 14 agosto, infatti, sono caduti i settantacinque anni da quando il triestino Emilio Comici e gli ampezzani Angelo e Giuseppe Dimai, dopo tre giorni d'impegno, domarono la superba parete nord della Cima Grande di Lavaredo, cinquecento metri di verticale che allora rappresentarono un “salto di qualità” per l’arrampicata dolomitica, e oggi sono ancora meta di scalatori provenienti da tutto il mondo. Meno di un mese dopo, ancora Comici - con Mary Varale e Renato Zanutti - realizzò un’altra importante prima salita sulle Tre Cime: lo spigolo sud dell’Anticima della Cima Piccola, denominato “Spigolo Giallo” per il colore della roccia e anch’esso divenuto una classica, oggi quasi usurata da migliaia di passaggi. Alla fine dell’estate 1933, comunque, Comici si aggiudicò una terza nuova ascensione, meno appariscente delle altre due ma certo non meno impegnativa: lo spigolo nord del Corno d’Angolo, nel sottogruppo del Popéna. Sono duecentoventi metri di roccia giallastra e friabile, che Comici salì il 20 settembre con Sandro Del Torso, trovando anche un passaggio di VI. Riguardo a queste conquiste dell'alpinismo dolomitico, a me rimane una piccola soddisfazione: essermi trovato indirettamente a ricordare la maggiore con uno dei protagonisti, all’epoca l’ultimo ancora vivente. Il 14 agosto 1983, infatti, ero diretto al Rifugio Auronzo alle Tre Cime di Lavaredo, deciso a salire da solo la via normale della Grande, cosa che riuscii a fare con successo. Davanti a me, nell’autobus, sedeva Angelo Dimai, ottantatreenne ma sempre in gamba, che si apprestava a compiere un’escursione in quella zona, con parenti e amici (quando si dice la coincidenza…) Non osai chiedergli nulla: ero certo che si dirigesse verso la “sua” parete nord, per contemplarla e rimembrare con emozione la bella conquista di cinquant’anni prima.

domenica 28 settembre 2008

Amedeo Girardi, albergatore e scalatore

Nel camposanto di Cortina, sulla lapide che commemora i cittadini benemeriti, compare anche il nome di Amedeo Girardi (1877-1933). Conduttore dell’Hotel Vittoria, alla fine del XIX secolo - mentre svolgeva gli studi ad Innsbruck – s’impegnò in politica a favore dell’irredentismo, cosa che nel paese natale non fu molto apprezzata. In questo momento, però, Girardi interessa poiché, tra le attività svolte nella sua non lunga vita, fu anche un discreto rocciatore. Nella cronaca dell’epoca d’oro dell’alpinismo ampezzano il suo nome appare, infatti, almeno tre volte. Il 17 VIII 1910, con il compagno Leopoldo Paolazzi e le guide Angelo Dibona e Celestino de Zanna (coetaneo del Girardi, dichiarato disperso in Russia nell’estate 1915), Amedeo portò a termine la prima salita assoluta dell’arditissimo Campanile Rosà, ad oriente del Colle omonimo. Alto un centinaio di metri, il torrione fu conquistato a prezzo di grandi sforzi e con l’impiego d’alcuni chiodi. In un giorno imprecisato d’ottobre del medesimo anno, l’albergatore si aggiudicò con le stesse guide la parete nord della Torre Grande d’Averau (Cima Nord): nella prima lunghezza, verticale ed esposta, la via presenta difficoltà di 5° grado, notevoli per l’epoca e superate senza l’uso di mezzi artificiali. Nel settembre dell’anno seguente, sempre con l’amico Dibona, a Girardi riuscì la prima ascensione di ambedue le guglie (Bassa e Alta, oggi molto frequentate) che costituiscono la Torre Quarta d’Averau. I due le scalarono per itinerari di difficoltà classiche. Altre notizie certificate sull’attività in montagna dell’albergatore Girardi per il momento non ne possiedo: certamente nel primo ventennio del secolo, florido di successi per l’alpinismo ampezzano, egli portò a termine altre imprese sulle cime di casa, contribuendo a valorizzare la storia locale e a far sì che il suo nome non fosse dimenticato.

Pini, montagne e silenzio e ... una pecora

Poco più di mezz’ora sopra la trafficata Strada d’Alemagna, quello fra Cortina e San Vito, c'è un luogo quieto, che sembra quasi immobile nel tempo. Forse il posto è noto soltanto ai locali, poiché risulta che lassù, in una radura alla base della Croda Marcora, un tempo sorgesse un “cason” a servizio di un pascolo ovino. Si tratta della Baita Peniés, citata sulle carte, ma i cui ruderi sono stati sostituiti, una quindicina d’anni fa, da una mangiatoia per ungulati con una spartana stanza ad uso riparo. Oltre la mangiatoia, raggiunta da una scoscesa trattorabile che inizia dove un tempo c'era il Ponte del Venco, a 8 km. da Cortina, e s’inerpica nella magra pineta che fascia i soleggiati fianchi meridionali del Sorapis, c’è una singolare pendice d’erba costellata di massi, che termina a quota 1427. In quel punto, uno dei tanti canaloni del versante si divide in due rami, che convogliano altrove le eventuali scariche di ghiaia e sassi, lasciando così pulito il pendio verde e solitario. All'inizio di aprile del 2006, nella prima gita annuale su terreno asciutto, lassù abbiamo incontrato … una grossa pecora che, visto il folto vello, doveva essere nei paraggi da molto tempo. Dapprima l'ovino pareva impaurito, poi ci ha fatto compagnia, brucando finché non siamo scesi. Peniés è un luogo distensivo, che offre una visuale a 180 gradi dal Penna al Pelmo, le Rocchette, il Becolongo, il Becco di Mezzodì, le Cinque Torri e la Tofana de Rozes. E’ un luogo minore, traguardo di una gita nella quale difficilmente si troverà qualcuno a contenderci il passo.