giovedì 7 gennaio 2010

Sul Picio Col de Lasta, con gli sci (ma anche a piedi)

Sicuramente lo saliranno più scialpinisti che escursionisti, ma lo consiglio ugualmente come breve e gradevole camminata estiva e autunnale per chi si trovasse nella zona di Sennes ed avesse un po' di tempo da spendere. Indicato per chi soggiorna ai Rifugi Sennes, Munt de Sennes o Fodara e vuole godersi un bel tramonto dall'alto, il Picio (piccolo) Col de Lasta è un rilievo poco marcato e senza valenza alpinistica. Domina la grande Alpe di Sennes e l'omonimo rifugio, frequentato da oltre settant'anni, e offre un'escursione panoramica e priva di difficoltà. Dal rifugio varie tracce di sentiero, più o meno marcate, salgono lungo la costa detritica NO, raccordandosi in alto con altre tracce che giungono dalla Munt de Senes lungo il versante N e portano sulla ampia e tondeggiante sommità. Rinomato come “campo scuola” invernale e piuttosto solitario (una domenica d'agosto vi salii da solo, e non trovai assolutamente nessuno), il Picio Col de Lasta offre interessanti aperture sui monti di Fanes-Sennes-Braies e d´Ampezzo. Chi poi avesse ancora voglia di camminare, dal Col può seguire la facile cresta, giungendo in breve sul misconosciuto, poco più alto Col Mareo, ornato di una croce con iscrizione in ladino: un luogo che ho trovato selvaggio e molto suggestivo.

martedì 5 gennaio 2010

Un consiglio per la prossima escursione? La Kradorfer Alm!

Per chi desidera provare il gusto di camminare d'inverno nei boschi della Val Casies-Gsiesertal, suggeriamo la salita per la valle del Rio Pudio-Pidig Bach a Malga Kradorfer-alm. Dalla Talschlusshütte, bar ristorante di Santa Maddalena-St. Magdalena, posto al termine della strada che risale la Val Casies e all’ingresso della valle del Rio Pudio, si segue per 1 km la strada asfaltata (parcheggio), e poi la strada forestale segnalata col n. 49, che s'inoltra lungo la valle boscosa. La strada sale leggermente, mentre a destra l’acqua del rio scroscia sotto una pesante coltre di neve e ghiaccio. Nel paesaggio invernale incontaminato si possono spesso vedere le impronte di lepri e caprioli. Presto il bosco si dirada: la forestale costeggia il rio, passa a destra di una malga di recente costruzione, anch'essa aperta d'inverno (Mesneralm), da una seconda (Pidigalm) e una terza malga, entrambe chiuse. Infine, fra gli alberi appare la Kradorferalm, che si raggiunge in breve oltrepassando il Rio Pudio e salendo verso sinistra. Il dislivello dalla partenza è di 240 metri, e occorre un'ora di camminata, non incontrando difficoltà che non sia quella dovuta al fondo stradale, spesso ghiacciato. La Kradorferalm sorge in una radura un po' chiusa fra i ripidi versanti della valle che sale alla Forcella di Casies - Gsiesertoerl e consente soltanto il panorama verso la valle sottostante. L'ambiente però è tranquillo, confortevole e provvisto di ottima cucina: è una meta che abbiamo scoperto da un paio d'anni e consigliamo davvero.

Souto del Ris-cia: c'è ancora, o è scomparso sotto le ghiaie o nel bosco?

Nel territorio di Cortina d'Ampezzo sono piuttosto numerosi (almeno una quarantina) gli antroponimi, cioè i nomi di luoghi legati, per le ragioni più svariate, a persone fisiche. Per quanto mi riguarda, molti di essi sono accomunati dal fatto che ... non ho esattamente idea di dove si trovino, e non mi sono mai preso la briga di andare a cercarli. Di certo, è assai interessante consultare i libri e gli atlanti sulla toponomastica del territorio ampezzano, che si rivelano inesauribili fonti di scoperte, per trarne informazioni e curiosità. Un luogo munito di un antroponimo curioso, che potrei cercare di riscontrare sul terreno, visto che passo abbastanza spesso in quei paraggi, è il coisddetto “Souto del Ris-cia”, ovvero il “Salto dell'Hirschstein”. Si tratta di un piccolo salto di roccia, che magari oggi sarà anche scomparso sotto le ghiaie o inghiottito dal bosco (entrambi avanzano veloci, in quella zona), nella parte nord del gruppo delle Tofane. Più precisamente, il luogo si trova in Val Fiorenza, quel canalone boscoso e detritico di storica importanza per i pastori ampezzani e per l'Esercito Italiano in tempo di guerra, che unisce il Pian de ra Spines con il Passo Posporcora, ombroso valico ai piedi del Col Rosà. Ris-cia è il soprannome, ancora oggi fiorente, del ceppo regoliero Hirschstein. Un membro di questa famiglia, in tempi ormai trascolorati nell'oblio, uscì di strada mentre scendeva d'inverno lungo la Val Fiorenza con un carico di legna, e la sua slitta volò sopra il salto che oggi lo ricorda. Non è noto come sia andata a finire: certo è che dev'essere stato un gran volo, se quel salto di roccia ha mantenuto fino ad oggi il nome del nostro antenato.

Il luogo più suggestivo della valle d'Ampezzo: Forzela Sonforcia de Col Jarinei

La forcella denominata, quasi tautologicamente, Forzela Sonforcia del Col Jarinei è situata a oriente della Croda da Lago, ad un'altezza di 2069 metri. Di proprietà della Regola di Anbrizola, è una larga insellatura verde sul crinale che dalla Rocheta de Prendera si protende verso nord. Funge da valico, in verità frequentato più dai bovini che la raggiungono da Federa per il Col Jarinei, che dagli umani, fra la testata della Val Federa - ossia i pascoli della Monte di Col Jarinei - e la Val d'Ortié. Nei pressi della forcella, qualche anno fa il coetaneo Carlo Michielli ricostruì, su un sedime preesistente, un capanno dove si ferma con parenti e amici durante le battute di caccia nella zona. Il luogo è così suggestivo che l'ultima volta, giungendovi nella limpida giornata del 9 ottobre 2004, mi venne spontaneo buttarmi sull'erba per ammirare prima il panorama verso le Rochetes che chiudono l'orizzonte da una parte, e poi rigirarmi dall'altra parte per ammirare una visione inconsueta della conca d'Ampezzo. La forcella è traversata da un sentiero segnalato ma poco conosciuto, che non soffre di affollamento. Se folla c'è, sarà prevalentemente di appassionati locali. Vi sono passato una dozzina di volte, perlopiù durante la salita alla Rocheta de Cianpolongo, e giudico senza mezzi termini Forcella Sonforcia del Col Jarinei uno dei luoghi più suggestivi della nostra grande valle d'Ampezzo.

Tra leggenda e storia: il solitario Busc de r'Ancona

Che sia raggiunto dall'alto, mediante la rudimentale “via ferrata” che agevola l'esposta cresta in discesa dalla cima della Croda de r'Ancona, oppure dal basso, risalendo per labili tracce di guerra con bolli rossi il pendio barancioso e detritico che fiancheggia la carrareccia della Val de Gotres poco prima di Forcella Lerosa, il “Busc” (buco) “de r'Ancona” resta per me sempre un luogo pregno di suggestione. Questo foro naturale alto almeno venti metri, inciso nella roccia rossastra e friabile della cresta che dalla Croda de r'Ancona degrada verso la dorsale di Ra Ciadenes, evidente dalla sottostante Strada d'Alemagna poco oltre la grande curva di Podestagno, è un luogo importante. Importante perché è oggetto di un'antica leggenda, raccontata anche da Karl Felix Wolff, secondo la quale fu opera del demonio, in fuga precipitosa dalla conca ampezzana che aveva tentato invano di convertire; importante perché durante la Grande Guerra fu un luogo strategico e sulla circostante dorsale s'infransero pesantemente i tentativi dell'Esercito Italiano di sfondare e assaltare Son Pouses; importante perché è oggetto di un simpatico anello escursionistico dai Ciadis a Forcella Lerosa attraverso la solitaria Croda de r'Ancona; importante, infine, perché ventisei anni fa fu scelto da Nina Ford Bartoli per traversarlo in solitaria con gli sci ai piedi, scendendo il rovinoso canalone che dà su Ospitale, fino alla Strada d'Alemagna. Importante o no, è un luogo che mi piace e dove, dopo trentatré anni dalla prima volta in cui vi giunsi, ritorno sempre volentieri.

Forzela Camin (in ricordo di Claudia e Antonio)

Credo che sia uno dei luoghi più preservati della conca d'Ampezzo, e mi auguro che tale possa rimanere ancora a lungo: è la Forcella Camin. Larga insellatura erbosa e ghiaiosa nel gruppo della Croda Rossa, pone in comunicazione le Ruoibes de Inze, Val de Mez per i vicini marebbani, col Valun de Rudo, che da San Vigilio sale verso l'Alpe di Fanes. Conosciuta dagli scialpinisti per la traversata di cui può essere oggetto, purtroppo pochi anni fa ha mietuto due giovani vittime, Claudia e Antonio, travolti senza scampo da una valanga. Chi scrive conosce la Forcella solo d'estate, per esservi salito una volta e sceso un'altra volta, lungo le tracce di sentiero che percorrono le Ruoibes de Inze. Questo selvaggio vallone prende avvio dalla Forcella e scende racchiuso fra le Crode Camin e le Lavinores a nord e il Col Bechei e la Croda d'Antruiles a sud: un magnifico ambiente dolomitico! La sezione superiore del vallone, ghiaiosa e sassosa, è quella che le carte IGM denominano “Valle di mezzo”; le parti mediana e inferiore sono coperte di alberi ma frequentemente soggette a franamenti, per cui il sentiero che risale la valle, nel primo tratto una pista forestale, non è definito né segnato. Nel 1976, giunti faticosamente a Forcella Camin da Antruiles, non volemmo scendere il vastissimo e arido ghiaione che sull'altro versante scollina verso il Lé Piciodel, e così continuammo per un altro ghiaione, breve ma ripidissimo e instabile, uscendo a Forcella Valun Gran e da qui scendendo, fra ghiaie, lastre e sassi instabili, a Fodara Vedla.

Trent'anni fa sulla Torre Fanes

La Torre Fanes, nell'omonimo gruppo, è un poderoso torrione posto all'estremità della diramazione che dalla Cima Fanis Sud volge verso nord-est, e domina con pareti alte oltre quattrocento metri la porzione superiore della Val Travenanzes. Le sue eleganti forme, squisitamente dolomitiche, si intuiscono già da lontano, ad esempio dalla strada che dal Tornichè di Podestagno sale verso il Rifugio Ra Stua. L'ascensione della Torre – raggiunta per la prima volta da Viktor Wolf von Glanvell e Karl Guenther von Saar nel luglio 1898 – appartiene a quel tipo di alpinismo oggi poco praticato, perché richiede approcci lunghi e faticosi e capacità di orientamento, si svolge su versanti rocciosi non sempre baciati da sole, riserva a volte roccia friabile, costellata da pochi chiodi e con difficoltà relegate al livello minimo della scala. Ho vissuto una grande e indimenticabile avventura giungendo in vetta a quella bellissima Torre - con il caro amico Enrico Lacedelli, appassionato di terreni e di itinerari un po' “originali”. Enrico mi condusse in cima alla Torre Fanis trent'anni fa, nell'ormai remota domenica 28 settembre 1980. Partiti a piedi dal Falzarego, ripetemmo il fotogenico spigolo nord del torrione, conquistato da Angelo Dibona Pilato con la cliente Winifred Marples il 15 luglio 1921. Aldilà delle caratteristiche della salita, degna comunque del massimo rispetto anche per il lungo avvicinamento e la severità della via di discesa, ricordo la Torre Fanes per la irripetibile atmosfera della cima, lontana, isolata e conquistata da pochi, interprete del miglior modo di affrontare la montagna dei tempi andati, del quale quel giorno anche noi due ci sentimmo partecipi.

Pensieri sull'alpinismo

Per me, salire sulle montagne è rivivere: scrollarsi di dosso le tare, le remore, l'inquinamento che contamina la vita di fondovalle. Per me, salire sulle montagne è uscire dal mondo, purificarsi per entrare in una dimensione nuova. Una dimensione dove quello che si lascia perde di valore: quello che conta sono solo le rocce, il vuoto, il cielo. La realtà è la propria vita affidata a nuovi elementi: appigli per le mani, appoggi per i piedi, la capacità di vederli e sfruttarli. Per me, salire sulle montagne significa essere più liberi, liberi di salire. Le mani che accarezzano la pietra cercando l'appiglio. Un appiglio dopo l'altro, ci si alza sempre di più: l'orizzonte si allarga, si sfalda in piani diversi fino a perdersi nell'infinito. Per me, salire sulle montagne significa salire sempre più verso l'immenso. Le mani si screpolano, sanguinano al contatto con la pietra, ma si continua a salire. Si sale inebriandosi di cielo e di roccia, fino alla completa soddisfazione del proprio modo di essere alpinisti. Salire sulle montagne fino a raggiungere le vette: è l'ambito premio alle proprie fatiche. Assaporare l'orizzonte dei monti circostanti, in modo che la visione rimanga a lungo nel proprio animo e sia in ogni momento di conforto. Alzare le braccia verso l'alto per toccare con la punta delle dita l'azzurro del cielo. Per me, salire sulle montagne vuol dire proprio questo, ma anche tanto di più.