mercoledì 8 aprile 2009

"Francese, tedesco, inglese, parlato e scritto!" Parole di una guida alpina d'altri tempi, Celso Degasper Meneguto.

Il 14 giugno è un quarto di secolo dacché è scomparso Celso Degasper “Meneguto”, una delle oltre centocinquanta guide patentate a Cortina. Nel 1922 non aveva ancora diciannove anni quando, con l’amico Rinaldo Menardi, aprì la sua prima via alpinistica. Si trattava di una lunga variante alla “Corry” sulla parete SE del Col Rosà, un itinerario che al tempo riscuoteva un certo interesse, ma poi fu dimenticato. Nello stesso anno, con Angelo Dimai “Deo” ed Enrico Gaspari “Bechereto”, divenne guida (fu uno dei più giovani patentati nella storia ampezzana), e iniziò una carriera attivissima, conclusasi a metà degli anni Sessanta. Oltre ad una decina di vie e varianti nuove sulle Tofane, Nuvolau e Pomagagnon, Degasper vantò un singolare primato: salì la classica Via Dimai sulla parete S della Punta Fiames (350 m, IV grado) per oltre trecento volte. In un’intervista a Radio Cortina di tanto tempo fa, mi raccontò che una dozzina d’anni prima aveva dovuto lasciare la montagna per forza, a causa di problemi articolari che, da ultimo, costrinsero i medici ad amputargli una gamba. Fosse stato per lui, per la sua passione di montagna, l’allenamento coltivato sciando d’inverno e scalando d’estate, e soprattutto per le richieste dei suoi clienti, tanti dei quali si tennero in contatto con lui per anni, avrebbe continuato a scalare fino all’ultimo. Soprattutto dopo la scomparsa della consorte Giovanna, si dedicò alla Seggiovia Col Druscié (di cui era stato uno dei fondatori e dei principali azionisti, e dove lo sentii presentarsi ad un turista con la famosa frase "Francese, tedesco, inglese, parlato e scritto!"), e ad ottant'anni morì. Per Celso avevo stima e simpatia, tant'è che per il mio debutto giornalistico in ampezzano scrissi un ampio pezzo su di lui, uscito il 1° luglio 1984.

martedì 7 aprile 2009

Per una volta, propongo anch'io un quiz: ovviamente di montagna!

Qualche lettore sa indicare con la maggiore esattezza possibile dov'è stata scattata, il 19/10/2008, l'immagine che funge da "copertina" attuale a "Ramecrodes"? Ai primi 3 (se ve ne saranno ...) che entro aprile segnaleranno con un commento a questo post il luogo dello scatto, prometto un mio libriccino, naturalmente di montagna!
Ciao e buon lavoro.
Ernesto
PS Sono arrivate tre risposte al quiz, da Claudio, Vittorio, Paola. Sono tutte "quasi giuste", e meritevoli del premio. La fotografia è stata scattata sulla Forcella delle Pale di Misurina (q. 2140 m), tra le Pale di Misurina e il Popena Basso. Alla prossima occasione!

lunedì 6 aprile 2009

Note di storia della Punta Fiames, un simbolo dell'alpinismo ampezzano

Nell’archivio della sezione del CAI di Cortina, fra numerosi documenti, è conservato un quaderno di 22 cm per 15, rilegato con una robusta tela verde che lo ha salvato dal logorio degli anni.
In terza pagina, vergata con l’elegante grafia che troviamo anche in altri libri, si legge l’intestazione: “Club Alpino Italiano Cortina – Punta Fiames”: ogni facciata reca una griglia con tre colonne, “Data”, “Cognome e nome” e “Provenienza”. È il libro di vetta della Punta Fiames, prima cima del Pomagagnon, che sovrasta e prende il nome dall’omonima località a nord di Cortina.
Da oltre un secolo, la Punta è nota per le possibilità di scalate che offre sul versante meridionale; negli anni ’60 la sua fama crebbe con l’apertura della via ferrata dedicata alla guida Albino Michielli Strobel, che ne risale il fianco ovest.
Prima di analizzare il libro di vetta, s’impone una premessa. La Punta si raggiunge senza difficoltà da Forcella Pomagagnon attraverso le ghiaie dello schienale.
Dato il facile approccio, essa fu sicuramente nota fin dall’antichità ai pastori che portavano gli ovini sui sottostanti “Prade del Pomagagnon”, dai cacciatori che battevano i recessi più nascosti della zona e dai topografi che misurarono le cime incuranti della toponomastica, confusa fino all’inizio del secolo scorso.
Il libro di vetta documenta una trentina di stagioni di storia della Fiames, o più esattamente della via aperta sulla parete sud il 7 luglio 1901 dall’inglese J. L. Heath con le guide ampezzane Antonio Dimai e Agostino Verzi.
Le prime note risalgono all’autunno del 1926, ma forse già in precedenza la Punta aveva un libro, che sarebbe interessante consultare, per delineare con completezza la storia della parete.
Seconda premessa: all’inizio del secolo scorso firmavano il libro anche molti salitori di altre vie della Fiames, che poi - per tornare all’attacco – scendevano lungo la “variante” della parete sud. Negli anni ‘40, il libro si trovava trenta metri prima dell’uscita della Via Dimai: nella primavera 1952, ormai esaurito, fu sostituito da un altro, che raccolse le firme dei passanti fino all’11 agosto 1958.
Qualche anno fa, un appassionato ha rinverdito la tradizione, e sale ogni anno sulla Punta con nuovi quaderni, che ritira in autunno, colmi di firme, dediche e scemenze nelle lingue di tutto il globo. Oggi lasciano i loro nomi in vetta soprattutto i salitori della ferrata, perché i rocciatori che passano per la cima sono molti meno di un tempo.
Il libro si apre il 23 settembre 1926 con due illustri esponenti dell’alpinismo dolomitico: la baronessa ungherese Rolanda von Eötvös, riapparsa a Cortina dopo la pausa della Grande Guerra, e la guida Antonio Dimai, ormai sessantenne, che aveva aperto l’itinerario un quarto di secolo prima.
Le ultime firme, il 2 marzo 1952, appartengono a Guido Lorenzi, Scoiattolo e guida alpina, salito con Alfredo Zardini e Lino Lacedelli.
Fra gli estremi, centinaia di nomi famosi e sconosciuti, guide locali e forestiere, alpinisti d’ogni età e nazione, che per ventisette stagioni salirono la cima che domina Fiames lungo una via di roccia molto amata e frequentata.
Il 17 agosto 1927, firma il libro lo studente Edoardo Amaldi, divenuto un fisico del gruppo dei “ragazzi di Via Panisperna”. Una settimana dopo, troviamo Ludwig Gillarduzzi Zandeaco, giovane sacerdote nato ad Innsbruck da famiglia ampezzana, che si avventura sulla Dimai in solitaria.
Il 3 settembre la guida Angelo Dibona Pilato, che sulla via ha fatto il tirocinio e la ripeterà ancora cinquanta volte, vi porta i figli Ignazio, sedicenne, e Fausto di soli quattordici anni: nel 1945 la ripeterà con le figlie Giulia e Antonia.
Il 7 settembre compare il pittore e alpinista Erwin Merlet, e il 25 - con Otto Menardi, Antonio e Giuseppe Dimai – sale di nuovo Rolanda von Eötvös (secondo le testimonianze, una persona alla mano, che d’estate alloggiava con la sorella Ilona all’Hotel Cortina e, sfidando le convenzioni, aveva sempre la sigaretta in bocca).
11 ottobre: la guida Simone Lacedelli porta in vetta un personaggio interessante per Cortina. È Giuseppe Venturoli, dottore in agraria di Bologna, che nel 1929 pubblicherà la sua tesi di laurea “Cortina d’Ampezzo nei primi dieci anni di regime italiano 1918-1928”, assai interessante per la storia locale.
Il 10 giugno 1928, con Luigi Apollonio Longo, sale Rinaldo Zardini Foloin, fotografo e alpinista che diventerà un’eminente personalità in campo scientifico, vantata da Cortina a livello internazionale.
18 settembre 1929: Angelo Dibona guida in vetta Lucien Devies, salitore della parete E del Monte Rosa, con la quale si laureerà fra i migliori alpinisti francesi del ‘900. Nove giorni dopo, tornano ancora le Eötvös, con Angelo e Giuseppe Dimai.
Fra gli anni Venti e Trenta, scalano spesso la Punta tre guide già mature, ma energiche e ancora desiderose di cimentarsi nella salita: Bortolo Barbaria Zuchin, Antonio Dimai Deo (salito lassù fino al 20 agosto 1930, anche se la storia gli accredita un’ultima scalata nel 1932) e Agostino Verzi Sceco, presente ufficiosamente fino al 27 agosto 1933.
La “paré” s’impone come una delle salite più rinomate d’Ampezzo. Le guide vi portano clienti quasi quotidianamente, d’estate e fuori stagione, in virtù dell’ottima esposizione del versante, spesso in buone condizioni anche d’inverno.
Il 29 agosto 1930, dopo aver superato lo spigolo Jori con Giuseppe Dimai, scende per la parete Mary Varale, forte alpinista che tre anni dopo - con Comici e Zanutti – vincerà lo “Spigolo Giallo” in Lavaredo.
Il 9 luglio 1931, in cordata con Luigi Apollonio, sale Dino Buzzati: chissà se l’ascensione fu mai “trasfigurata” dallo scrittore bellunese in qualche suo scritto!
Il 18 gennaio 1932 Angelo Dibona scala la Dimai con il cliente Paul Leroy Edwards. in quel periodo Edwards ritorna spesso sulla Punta, e nella stagione 1932 addirittura tre volte, di cui una in solitaria.
Troviamo poi ancora Rolanda Eötvös con Giuseppe Dimai, e il 24 novembre chiudono la stagione Dibona, Leroy Edwards e Bepi Degregorio. Nel mezzo, un’altra firma celebre: Emilio Comici, salito il 2 settembre con clienti.
Il 17 luglio 1933 Giuseppe Dimai, Ignazio Dibona e Celso Degasper aprono la “Via Centrale”, tra la Dimai e lo spigolo. “Straordinariamente difficile, V grado superiore”, la nuova via non riscuoterà lo stesso favore della “paré”.
Compaiono numerosi locali, che lasciano sul libro commenti favorevoli (“ce bel! “, “magnifico”), e iniziano la carriera le guide della seconda generazione. Le salite della “paré” sono continue, anche se non eccessive: nel 1934 se ne contano trentanove, per un totale di cento persone.
Le ultime due cordate del 1935 sono formate ancora dalle Eötvös con Giuseppe Dimai e Celso Degasper, saliti l’8 ottobre. Dovrebbe essere l’ultima volta in cui le alpiniste ungheresi raggiungeranno le crode ampezzane.
Il sempre attivo Angelo Dibona, che se ne infischia degli anni che avanzano, compirà il canto del cigno sulla “paré” il 24 agosto 1949, quando – a settant’anni, col figlio Dino e Luigi Apollonio – porterà in vetta Anna e Cyril Escher.
In questo periodo, uno dei più fedeli ripetitori della Fiames è Celso Degasper, che al termine della carriera, vanterà il primato di aver salito la parete oltre 300 volte.
Il 26 luglio 1939 Emilio Comici e Osiride Brovedani stanno scendendo da Forcella Pomagagnon dopo aver raggiunto la Fiames. Sfuggono per un pelo al crollo di un lungo tratto di cresta fra la Croda Longes e la Croda del Pomagagnon, notato fin da Cortina. Il fatto ispirerà a Comici il celebre racconto “La falciata della morte”.
Il 26 maggio 1940 un altro scalatore illustre, Ettore Castiglioni, porta sulla Dimai il Commissario Prefettizio Alberto Brissa. Tornerà ancora nel luglio-agosto 1943, con il 7° corso d’addestramento alpinistico della Scuola Militare d’Alpinismo d’Aosta - Divisione Tridentina, di stanza al Passo Tre Croci.
Si vedono sulla “paré” i primi Scoiattoli, che rifiutano le vie facili e con la serenità e la disinvoltura tipiche della gioventù, iniziano dove i più anziani hanno coronato la carriera: la “Miriam”, il “Riss”, lo spigolo Jori. Il gruppo manovra abilmente le corde, rifiutando i maestri e ponendosi spesso in contrasto con loro, imparando il ”mestiere” a proprie spese, ribelle alle imposizioni ed in piena libertà.
In quel periodo frequenta la Punta, con compagni diversi anche Alma Bevilacqua, nota al pubblico come Giovanna Zangrandi, scrittrice bolognese di talento ed autrice d’interessanti opere narrative.
Nel 1942 spunta Bruno Verzi Sceco: ha solo sedici anni, si qualifica guida ed è figlio di Angelo e nipote di Agostino, guide illustri. Salirà ancora la “paré” nel 1945, prima di cadere dalla Fessura Dimai sulla Torre Grande.
Il 16 maggio 1943, scrive per la prima volta il suo nome sul libro di vetta un ragazzo che diventerà celebre: Lino Lacedelli, classe 1925, entrato poco dopo negli Scoiattoli, guida dal 1950 e conquistatore del K2.
Il 12 giugno, passa un bellunese che sulle Dolomiti è di casa: Attilio Tissi, salito con la moglie, un amico e Piero Apollonio “Longo”. Tissi tornerà sulla Fiames nel 1947, e morirà in un incidente sulle Tre Cime di Lavaredo nell’agosto 1959.
Il 17 gennaio 1944, inaugurano la stagione Maurizio De Zanna “Toto” (poi Scoiattolo e guida), e Attilio Menardi “Hababi”, capo di un gruppo di giovani che si firmano “Diavoli Cortina” o con altre sigle, “Gatto”, “C.R.C.”, “D.A.G.”, “S.R.C.”.
In questi anni, la “paré” è animata quasi soltanto da ampezzani. Sulla Fiames, quasi come in un’isola dispersa nel tempo e nello spazio, gli echi del conflitto giungono attutiti: valgono solo i camini, i diedri e gli spigoli di una delle più belle cime di Cortina. Nonostante la guerra, nel 1944 vi saliranno settantasei scalatori.
La Punta è sempre una buona fonte di guadagno per le guide: nell’estate ’44 vi sale tre volte Dibona, che il 28 luglio apre anche l’ultima via nuova sulla Punta Michele, con Casara, Cavallini, Otto Menardi e Trenker.
L’attività non cessa neppure nell’oscuro periodo della fine delle ostilità. Nel 1945, richiesto da clienti, Angelo Dibona sale altre tre volte. Sono sempre affezionati alla Via Dimai anche gli Accademici del CAI Otto Menardi e Bepi Degregorio, Presidente per mezzo secolo della Sezione del CAI di Cortina. La ventiseienne Anna Caldart, brava scalatrice, sale la parete da sola il 26 luglio: forse è la prima solitaria femminile.
10 agosto 1946: “Marco caro, 28 giorni or sono tu tentavi di scalare questa cima con audacia e indicibile coraggio ma la montagna ti volle per sé e tu lasciasti la tua vita. Qui tra queste roccie io ti ricordo con animo commosso. Luisa”. La frase, scritta da Luisa Aliprandi, salita con la guida Dino Dibona Pilato, si riferisce alla caduta del sedicenne Marco Dalla Valle, ricordato nel cimitero di Cortina.
Appaiono le guide nate dagli Scoiattoli: i fratelli Alverà, Costantini, Ghedina, Ugo Pompanin, e poi Bianchi e Zardini. Gli “anziani” Apollonio, Barbaria, Degasper, Dibona, Franceschi, Lacedelli, Pompanin, sono sempre sulla breccia.
Sale il “Rosso Volante” Eugenio Monti, che prima di eccellere nel bob fu sciatore e rocciatore; si affacciano i “Ragni” di Pieve, omologhi degli Scoiattoli, e molti compaesani scelgono la Fiames per passarvi una domenica in compagnia.
Passa il francese Pierre Allain, noto per le sue imprese sul Monte Bianco; sale la guida di Misurina Valerio Quinz; lo Scoiattolo Albino Michielli Strobel corre sulla parete da solo in 50 minuti; Dino Dibona vi riporta i clienti del padre Angelo.
Il 7 giugno 1951, Ettore Costantini Vecio guida in vetta Giuseppe Richebuono, già cappellano a Cortina, che quarantanove anni dopo salirà la vicina Costa del Bartoldo, per rivisitare la cima e la croce che la caratterizza.
Il libro finisce il 2 marzo 1952. Si chiude così l’epoca eroica della “paré”, delle guide dell’epoca classica, delle scanzonate compagnie di “Diavoli” e “Scoiattoli”.
La Via Dimai, ripulita dai continui passaggi e resa più sicura da una serie chiodi fissi, continuerà comunque ad essere molto frequentata. Vi saliranno migliaia d’alpinisti, fra cui anche chi scrive, giunto in vetta per la prima volta il 27 maggio 1976 con Ivo Zardini Laresc, e ritornatovi poi in diverse altre occasioni.
Alla fine di questo viaggio nella storia di una via alpinistica, mi auguro che la “paré” non passi mai di moda e veda ancora tante cordate all’opera, con la stessa passione che la Dimai ha sicuramente comunicato agli alpinisti che la scalano dal 1901.

domenica 5 aprile 2009

Dov'è finita la croce della Punta della Croce? (Una cima via dalla pazza folla)

Alcune delle immagini dell’archivio fotografico della grande guida ampezzana Antonio Dimai, custodite dal pronipote Franco Gaspari, riguardano la “via originaria” sulla parete S della Punta della Croce, che affianca la più nota Punta Fiames. La via, che ebbe molto credito negli anni d’oro dell’alpinismo, era stata aperta il 24.8.1900 da Agostino Verzi, Giovanni Siorpaes e Felix Pott. Essa si sviluppa lungo la parete ben visibile dal centro di Cortina per molte lunghezze di corda, di cui soltanto sei hanno rilievo per l'alpinista: salendo, infatti, si attraversano varie cenge ghiaiose ed erbose, per cui se è bagnata diventa piuttosto delicata. Oggi non si ripete più perché, si dice, “si arrampica poco, e per il resto della via bisogna tirarsi dietro la corda ...”. Eppure, fino alla Grande Guerra, la “Pott” era ricercata: la salivano gli aspiranti guida, scortati dai colleghi più esperti per imparare, la ripeterono De Falkner, il Re dei Belgi e altri. A parte la “Pott”, chi scrive ha salito la Punta per il semplice fianco nord che sovrasta di 120 metri la Forcella Pomagagnon e da essa si raggiunge in una ventina di minuti per una facile scarpata erbosa e detritica. La croce che le diede il nome, portata lassù dalla guida Giuseppe Ghedina prima del 1883, è sparita da decenni, e oggi solo un ometto di pietre ci fa compagnia. All’ometto si aggiungono gli sguardi spesso curiosi di chi anima la prospiciente Punta Fiames, dopo aver affollato perlopiù la ferrata, ma anche la parete o lo spigolo, e si chiede cosa facciamo su quel cocuzzolo con poca storia da raccontare e poco futuro da sognare. E pensare che negli anni '60, le guide vi organizzavano anche gite accompagnate! Raggiungendo la Punta, credo che non si possa restarne delusi: gente non se ne trova mai, e il morbido praticello della cima favorisce il riposo al grandioso cospetto di tutta la valle d’Ampezzo.