sabato 29 maggio 2010

I Monti di Casies, nostro eden

Nel 2009, ho salito una sola montagna nel circondario d'Ampezzo. Non è stato per vanto, ma per scelta, derivata dal fatto che delle nostre cime accessibili in modo naturale non me ne mancano più tantissime. Così, ho maturato l'idea di accumulare materiale per futuri studi su un gruppo di cime che accostai per la prima volta nel 1987: i Monti di Casies, lunga catena di elevazioni che si estende a ridosso o appena all'interno del confine italo austriaco, dal Passo Stalle fino a Prato Drava. Nelle valli d'Anterselva, Casies e Pusteria sono, a occhio e croce, almeno ottanta le montagne salibili: a qualcuno non dicono granché perché “sono tutte nere”, e le definisce mucchi di pietre, montagne aride, desolate. A noi che le visitiamo spesso, forse piacciono proprio per questo: non hanno tanti passaggi alpinistici in senso dolomitico, se non qualche roccetta, anche se spesso friabile ed esposta; perlopiù sono bonarie cupole erbose e detritiche dai fianchi spesso molto ripidi, in genere presentano grandi dislivelli dal fondovalle, mancano di impianti di risalita e rifugi e non hanno la fama turistica delle Dolomiti. Sono monti senza storia, sicuramente esplorati in epoche antiche da pastori, cacciatori e topografi; elevazioni perlopiù inserite in cornici bucoliche e ricche di poesia, che offrono ambienti particolari, riposanti e silenziosi, lontani dal frastuono, dalla ferramenta, dalla calca. Sono, insomma, mete ideali di escursioni. Se l'Hinterbergkofel somiglia all'Innerrodelkunke, se l'Heimwaldspitze e la Kaserspitze si possono quasi confondere, se dalla Vorder Taistnersennhütte si possono salire anche tre cime in un solo giorno, non conta: il primo problema è districarsi nella toponomastica, ma una volta risolto, le possibilità sono tutte di grande sodddisfazione.

mercoledì 26 maggio 2010

Briciole di storia. Passo Falzarego, la dimora del falso re

Situato a 2117 metri di quota sul confine con Livinallongo, il Passo Falzarego unisce Ampezzo con l’Alto Cordevole attraverso la Strada delle Dolomiti. La storia recente, soprattutto quella della Grande Guerra che in queste zone fu cruenta, ha decretato l’importanza del luogo, che è sovrastato dalle pareti del Lagazuoi, tagliate dalla “Cengia Martini”, strategico avamposto dell’esercito italiano oggi ristrutturato e visitabile.
Il ventoso passo riveste notevole interesse turistico, essendo un eccezionale punto panoramico e un luogo di sosta sempre affollato. Ne ha accresciuto la notorietà soprattutto la diffusione dell’escursionismo e dell’alpinismo classico e sportivo, che nel circondario trovano numerosi luoghi nei quali esprimersi.
Quest’importante insellatura, insieme alla zona pascoliva che la contorna, in ampezzano viene genericamente denominata Fouzàrgo, toponimo che si rifà alla falce. Falzarego (Falzarégo, per i tedeschi), termine riportato sulla cartografia ufficiale e oggi diffuso dappertutto, è l’italianizzazione del nome originale.
Esso potrebbe legarsi all’epoca in cui i prati circostanti il valico erano regolarmente falciati. Secondo informazioni autorevoli, la Monte de Fouzàrgo e Potór - prossima al Passo –fu concessa, infatti, per lo sfalcio a famiglie ampezzane, mediante licitazione privata, sino alla II Guerra Mondiale.
La presenza della mónte fa pensare anche, come ipotesi alternativa alla precedente, che anticamente le zone fossero sfruttate per il pascolo più che per la raccolta del fieno, e il termine falce (fòuze) alludesse alla forma del bastione roccioso del Lagazuoi sopra il Passo, o alla fascia che incombe sul Lago de Lìmedes, in destra orografica della Val Costeàna.
Il cantore dei Monti Pallidi, Karl Felix Wolff, suggerisce un’altra interpretazione di Falzarego, poetica ma poco attendibile. La parola ricorderebbe un “fautso rego”, “falso re”, protagonista di una leggenda dei Fanes: un sovrano straniero, che per avidità di conquista tentò di impossessarsi del regno sotterraneo d’Aurona abbandonando per sempre il suo popolo, e fu punito con la pietrificazione nelle rocce del Lagazuoi Piccolo.
Attraversato da una mulattiera, allargata a carreggiabile nel 1866 e rifatta come strada per automezzi nel 1909, il Passo - usato ab antiquo per la comunicazione tra Ampezzo, Livinallongo e Badia - in realtà è un trivio. L’asse principale unisce Cortina a Livinallongo e prosegue poi verso il Pordoi e l’Agordino, mentre a NO un ramo di strada passa sotto il Sas de Stria e scende in Val Badia attraverso il Passo Valparola.
La “Guida della Valle d’Ampezzo e dei suoi dintorni” così descriveva la zona: “… si raggiunge il Passo di Falzarego ove vedonsi la maestosa Marmolata col suo grande ghiacciaio, il Col di Lana, e più lontano le Pale di San Martino di Castrozza.
Al di là del Passo di Falzarego staccansi due strade, di cui quella a destra guida In tra i Sas (meglio “Tra i sassi” che “Tre Sassi”, come da qualche tempo si è battezzato a forza!), a S. Cassiano e nella valle di Badia, quella a sinistra ad Andraz, Caprile o a Pieve di Livinallongo. …”
Nel 1958, la famiglia Andreis, che vi gestiva l’Hotel Marmolada, volle abbellire il Passo costruendovi una sobria cappella, in magnifica posizione sopraelevata rispetto al traffico che interessa la Strada delle Dolomiti. La cappella, nella quale si celebrano sovente messe e matrimoni, fu denominata “ della Visitazione”: il suo interno è arricchito da un affresco della Visitazione di Maria, opera di Vittorio Casetti.
Dal punto di vista storico, al Passo si lega la figura di un montanaro: Giacomo Colli Saèrio. Nato in Col d’Ampezzo il 20/5/1855, Colli ottenne il “patentino” di guida alpina nel 1889 e morì il 22/6/1918: il ceppo familiare è oggi estinto.
Fu attivo in montagna sino al 1914, quando l’Austria richiamò alle armi tutti i cittadini d’Ampezzo che per qualsiasi motivo vi erano obbligati, causando un notevole sconvolgimento nella popolazione locale, e curiosamente venne detto “di Falzarego”.
L’appellativo deriva dal fatto che, fino al 1907 circa, Giacomo Colli gestì l’Ospizio di Falzarego, il primo rifugio alpino di Cortina. L’Ospizio era propriamente un’osteria con alloggio per i viaggiatori, sita a quasi 2000 m di quota nella località "Ospizio Vecio", ad E del valico e al margine dell’acquitrinoso Pian dei Menìs.
La struttura era stata edificata dalla Magnifica Comunità d’Ampezzo, prima in legno e nel 1868 in muratura, per accogliere i viandanti che dalle vallate contermini giungevano a Cortina, sede del più piccolo Capitanato Distrettuale dell’Impero d’Austria-Ungheria.
Dotato di telegrafo e telefono, l’Ospizio fungeva anche da stazione di posta, e nel 1907 fu trasformato in Albergo e affidato per un periodo al pioniere del turismo dolomitico Theodor Christomannos, che ne gestiva uno anche sul Pordoi.
Demolito per motivi strategici nel giugno 1915, oggi ne restano soltanto pochi ruderi. Al suo posto, il Magistrato alle Acque di Venezia costruì una stazione idropluviometrica, trasformata in bar ristorante, aperto per anni col nome di "da ra Nona" ed oggi chiuso.
La citata “Guida della Valle d’Ampezzo e dei suoi dintorni”, scrive che all’Ospizio “… puossi ristorarsi e godere in pari tempo la vista delle vette della Tofana, del Logazuoi, del Col dei Bos, del Sas de Stria (Sasso delle Streghe) e del Nuvolòu che si distende verso mezzodì.” e ne contiene un’immagine, sullo sfondo delle Torri e della Cima Falzarego, celebri in epoca bellica.
La concessione a condurre l’Ospizio, rilasciata al Saèrio dalla Magnifica Comunità d’Ampezzo, era subordinata ad obblighi precisi e curiosi: uno di loro prevedeva l’apertura del locale fino al 20 novembre d’ogni anno, con qualsiasi condizione di tempo.
Sul gestore incombeva il dovere di “mantenere la strada dal confine di Livinallongo fino a Cianzopé”, e doveva essere “fornito di vettovaglie e di buone bibite nonché di foraggi, dei quali avrà sempre una provvigione di almeno 300 chili di fieno e sufficiente quantità di avena”. La notizia si chiude con un riferimento quasi umoristico: “Si avverte che l’Ospizio non potrà giammai essere abbandonato in mano a sole donne” …
Pur trovandosi nel pieno della maturità quando “il livello tecnico alpinistico delle guide locali era altissimo”, il Saèrio fu solo “guida per montagne basse”, specializzato nel condurre turisti ed alpinisti attraverso i passi e le forcelle fra Ampezzo ed i paesi vicini.
Pare che non abbia preso parte ad alcuna via nuova, anche se alcune fonti, citando la parete SO della Tofana di Rozes (salita da J.S. Phillimore e A.G.S. Raynor con Antonio Dimai Déo e G. Colli il 10/8/1897), lo hanno confuso con Giuseppe Colli Pàor (1854-1928), guida dal 1884.
Dal punto di vista turistico, attorno a Falzarego s’irradia un’ampia sentieristica, che consente escursioni d’ogni genere. Mi limito a consigliare a chi vi abbia interesse una passeggiata e una salita di particolare valore ambientale e storico: la Croda Negra (o Punta Gallina) e lo spigolo SE del Sas de Stria.
Quotata 2518 metri, la Croda, costituita da rocce prevalentemente nerastre, è il rilievo più alto del crestone che da Forcella Averau scende sul Passo. Un tempo, la sua parte inferiore era detta anche “El Cóolo”, per la forma tondeggiante, che ricorda un enorme ciottolo.
Ridenominata in guerra Punta Gallina con un antroponimo, è stata rivalutata da qualche anno con numerose vie alpinistiche di varie difficoltà sul versante agordino, ed ha fortunatamente riacquistato anche l’oronimo originario.
La vetta, spaziosa e panoramica, si può raggiungere con una passeggiata, attraverso luoghi ricchi di testimonianze belliche (camminamenti e reticolati), che consente di scavalcare da E ad O, lungo il sentiero n. 422, con qualche breve e facile passaggio roccioso, una montagna minore, ma assai piacevole.
L’elegante spigolo SE del Sas de Stria (2477 m.) – classico sfondo del Passo, provenendo da Cortina - fu salito L'1/8/1939 da Luigi Colbertaldo e Lorenzo Pezzotti. I due seguirono l’aereo spigolo sinistro del monte, innestandosi poco sotto il salto finale in un itinerario oggi abbandonato, aperto da austriaci nel 1908, per il quale uscirono in cima.
Reso sicuro da numerosi ancoraggi fissi, oggi lo spigolo Colbertaldo-Pezzotti è un itinerario quasi troppo frequentato, soprattutto ad inizio e fine stagione da scuole di roccia, scalatori in allenamento, militari.
Esso offre una scalata classica, non troppo lunga né impegnativa (200 m al limite superiore del III), con passaggi caratteristici su roccia compatta e sicura ed in un ambiente spettacolare.
Dal 23/10/1977 (quando festeggiò lassù il 19° compleanno) in poi, chi scrive ha salito lo spigolo una ventina di volte, cercandovi sempre un’arrampicata dolomitica divertente, di stampo e livello classico.
Lo spigolo e la vetta del Sas (meta anche di un’interessante escursione a sé stante) fronteggiano la bastionata del Lagazuoi: nelle sue pareti giallastre – con un minimo di fantasia– ancora oggi s’intravede il volto impassibile del re che, per brama di potere, volle conquistare il pacifico reame d’Aurona, tradì la sua gente e fu punito con la trasformazione in fredda pietra dolomitica.

lunedì 24 maggio 2010

Croda d'Antruiles "mons horribilis" (immagine che accompagna l'intestazione del blog)

Salendo verso Malga Ra Stua, sulla destra orografica della valle e al di là della radura di Antruiles, salta subito all'occhio un torrione rossastro alto circa duecento metri e situato sullo sperone che si protende dal Col Bechei verso E. Il torrione separa le Ruoibes de Inze (Val de Mez) da quelle de Fora (Val d'Antruiles) e si chiama Croda d'Antruiles. Appartiene al gruppo della Croda Rossa, è quotato 2405 m e si trova citato per la prima volta nell’Oesterreichische Alpenzeitung nel 1901. L’oronimo ricorda il sottostante pascolo, sul quale da secoli gli ampezzani monticano gli ovini, e risale alla conquista alpinistica, compiuta l’11 settembre 1900, dopo un bivacco presso la Casera d’Antruiles, da Viktor Wolf von Glanvell e Karl Günther von Saar. I due austriaci percorsero la dentellata cresta O della cima, che evoca la schiena di un drago, inizia sulla Forcella d’Antruiles e porta in vetta con un dislivello di settantadue metri ma uno sviluppo assai superiore. Dopo la conquista, pare che la Croda non abbia ricevuto visite fino al 1991, quando Marino Dall’Oglio e la guida Fabio Lenti, respinti dalla via dei primi salitori (forse non ancora ripetuta, a causa dell'enorme friabilità della roccia) ne aprirono una verso le Ruoibes de Fora, con difficoltà di V e oltre. In seguito, la Croda è stata salita per altri itinerari nuovi, difficili ma rischiosi per la roccia instabile e la caduta di sassi. Circa vent'anni fa, prima che arrivasse Dall'Oglio, la cresta von Glanvell - von Saar aveva indotto per un attimo insani pensieri nell’amico Alessandro e in me, ma per fortuna rimasero solo pensieri. Descrivendola in un articolo per un mensile locale, mi accontentai di parlare della Croda come di un “mons horribilis”, che non ho mai salito e mai salirò, ma che non mi stanco mai di ammirare quando passo da quelle parti.

Oggi niente grandi cime: solo una passeggiata vicino alle case!

Vicino alla strada che dalle case di Lazedel, sottendendo a N il rilievo di Crépa, sale alla spianata di Pocol e fino a un secolo fa fu l'unico collegamento fra Cortina ed il Passo Falzarego, tra l'erba quasi sotto i primi roccioni una piccola croce lignea reca un’iscrizione. Quella croce ricorda da oltre centoventi anni Ester Sprood, consorte del calzolaio Andrea Constantini, fulminata durante una passeggiata nell’estate 1889, a 77 anni. La memoria ha dato origine al toponimo del luogo, "Ra Crosc de Ester". Una decina di anni fa, lavori boschivi in zona causarono danni al manufatto, rapidamente ripristinato grazie all’interessamento del vice Sindaco di allora. Fu un dovuto e gradito atto di rispetto, anzitutto verso la memoria dell’anglosassone accasatasi in Ampezzo, quindi verso il sito e il toponimo, consolidato anche se pressoché sconosciuto alle nuove generazioni. Lì vicino poi c’è un’altra bizzarria toponomastica. Nel bosco alle spalle della croce, un masso un po’ strapiombante è noto come “Ra Cojina del Mòisar”. Il toponimo è legato, secondo Richebuono, a tale Angelo Ardovara di Col (a un Dadié di Cianpo, secondo Berti - de Zanna), detto Moisar (“lento nel pensare ed agire, tonto”). Sembra che costui si preparasse solitamente il pranzo e la cena sotto quel roccione: da qui l’originale toponimo. Negli anni Sessanta, il Sestiere di Azon propose su un carro carnascialesco la figura dell’Ardovara (o Dadié che fosse), in una rievocazione intitolata "El Landro del Mòisar". Suppongo che pochi oggi conoscano il luogo e le motivazioni del curioso nome. Sarebbe interessante catalogare e illustrare i toponimi ampezzani originali che si vanno perdendo, per farli conoscere ai villeggianti ma soprattutto ai residenti, e affidare ai giovani alcuni elementi della pericolante memoria storica della valle d’Ampezzo.