sabato 30 maggio 2009

16 anni fa come oggi, sotto la cima c'era ancora un sacco di neve!

Lo Strudelkopf, sulla dorsale del Picco di Vallandro, è una cima per ... pigri. La croce di vetta, dedicata ai reduci di tutte le guerre, si raggiunge, infatti, da Pratopiazza in meno di un’ora, per una larga stradina, praticabile anche in mountain bike. Oltre che per il panorama, lo Strudelkopf – vasto rilievo erboso – è frequentato proprio per l’accesso facile e breve. Comunque c’è anche un modo più “alpinistico” di salirvi: dal versante opposto a Pratopiazza, per l’Helltal-Val Chiara, dove si snodava la via d’accesso militare austriaca. Il sentiero parte dal Ristorante Tre Cime di Landro. Risale la ripida costa di alberi e mughi che sovrasta la strada, poi cambia versante ed entra nella valle vera e propria. Superata una scalinata di legno, una galleria e un’esposta cengia con corde fisse, il sentiero continua in destra orografica della valle sbucando su una sella del crinale, dove sorge un fortino diroccato. Qui s’incrocia la stradina che sale da Pratopiazza, e in un quarto d’ora si è in vetta. Il dislivello da Landro è di 900 metri: per la salita occorrono due ore e mezzo, un po’ faticose ma interessanti per le testimonianze belliche sparse lungo il percorso e l’ambiente silenzioso. Il sentiero è un tratto dell’Alta Via delle Dolomiti n. 3, ed è spesso seguito in discesa. Ho salito molte volte anche lo Strudelkopf, per scendere dal quale preferisco una variante poco segnata: il vecchio sentiero dei cacciatori. Esso devia da quello usuale presso un rudere di teleferica, e si abbassa tra gli alberi, accanto ad un rio. Dove questo sprofonda in una cascata, piega a sinistra e cala fra i mughi, rientrando nel bosco e sboccando sulla Strada d’Alemagna, a due km da Landro. La variante percorre una zona impervia ma non difficile: attenzione in caso di pioggia o di neve. 16 anni fa come oggi ero lassù: e nella conca sotto la vetta c'era ancora un mucchio di neve, sul quale ci divertimmo con lunghe scivolate.

mercoledì 27 maggio 2009

1979, 1980, 1987: ansimando sullo spigolo del Col dei Bos

La consegna all’archivio della nostra Sezione del CAI, di un libro di via collocato lungo la Via Alverà-Menardi sullo spigolo sud-est del Col dei Bos e distrutto anzitempo dalle intemperie, mi ha fatto riandare alla mia esperienza della via in questione. Sono lieto di averlo salito tre volte: il 20 maggio 1979 con Enrico, poi il 13 luglio 1980 con Stefano e Marco e infine il 7 giugno 1987 con Mauro. Oggi, nonostante l’aggiunta di chiodi, che semplificano alcune situazioni allora piuttosto aleatorie, e l’affermazione da parte di qualche "Big Jim dell'alpinismo" che si tratta di una via “facile”, mi consola sapere che una guida di vie scelte classifica di V+ la fessura strapiombante a metà salita, dove … vidi almeno due volte le streghe. Lo spigolo, salito per la prima volta dagli Scoiattoli Silvio Alverà Boricio e Luigi Menardi Iji il 13 luglio 1947, è noto e frequentato anche oggi. Va evidenziata una certa discontinuità nelle tirate di corda, che alternano passaggi di difficoltà media ad altri molto più impegnativi, la comodità dell’attacco ma soprattutto l’uscita sui morbidi prati della vetta, dove ci si può stravaccare e gustare la “conquista”. Ho notato che la via è percorsa soprattutto da veneti, tedeschi ed est-europei, e qualche salita è ancora appannaggio di guide con clienti. La cosa fa piacere, e spero che lo spigolo del Col dei Bos attragga sempre vecchi e giovani, magari meglio dotati del sottoscritto, il quale ha tratto l’amara conclusione che certi passaggi stretti e strapiombanti forse non erano per lui.

martedì 26 maggio 2009

In montagna, cantando (o quasi) sotto la pioggia

Oggi pomeriggio, tornando a casa dal lavoro al principiare di un diluvio poi scatenatosi con tutte le forze, riflettevo su quante volte mi è capitato in questi anni di imbattermi, sopportare, in concreto uscire sempre indenne da un temporale di grossa portata, mentre mi trovavo in montagna. Adesso avventure di quel tipo non capitano più, e se prendiamo un po’ di pioggia di solito succede in situazioni abbastanza sicure, perché non saliamo pareti impegnative e perché, prima di partire, ci affidiamo sempre alle previsioni, ma in gioventù ho ricordi d’alcuni momenti abbastanza traumatici. Due temporali di grosso calibro ci sorpresero, guarda caso, scendendo dalla via normale della Cima Grande di Lavaredo. La prima volta (1985) lungo la via, eravamo in tanti, tutti sorpresi dal maltempo scatenatosi nel pomeriggio: dovemmo scendere lentamente, le corde si attorcigliavano, eravamo bagnati, faceva freddo, il nervosismo aumentava e una volta alla base … festeggiammo con una gran libagione. La seconda volta invece (1996) eravamo solo in tre, con le corde smuovemmo valanghe di pietre ma senza ferire nessuno, arrivammo a Misurina senza un millimetro di pelle asciutta, ci consolammo dello scampato pericolo con un semplice tè e … giurai che per la prossima salita della Grande di Lavaredo avrei aspettato un periodo di siccità. Per non parlare poi della discesa dal Gran Ciampani dl Murfreit in Val Gardena del 1986, dove alla pioggia successe la neve (era il 10 agosto), ci disorientammo e dovettero venire a prenderci! Ma ci sono state anche altre occasioni in cui siamo usciti dal contatto con le pareti fradici, infreddoliti, scossi, un po’ nauseati, ma pronti a ripartire al primo balenare di un raggio di sole!