sabato 2 ottobre 2010

Il mistero dei Tonde de Cianderou

Allo spunto proposto in queste righe, potrebbe seguire più di una risposta: aldilà di un’interpretazione scientifica, che certamente è a portata di mano, anche spiegazioni più fantasiose, come quelle di coloro cui ho chiesto lumi sul fenomeno che andrò ad illustrare. Sulla quota 2273, la più elevata dei Tonde de Cianderou, cupola tondeggiante evidente anche dal centro di Cortina, lungo i dossi che da Tofana III si abbassano verso Fiames, costellata da opere militari giacché lassù si combatté aspramente durante la guerra del '15-'18, c’è una cosa interessante. Si tratta di una grotta dalla volta piuttosto alta: quando la visitammo (mi dicono però lo sia costantemente) era riempita da una profonda pozza d’acqua assolutamente trasparente e calma, un autentico, cristallino laghetto d’alta quota. Sulla volta della cavità, lo scomparso Renato Schiavon aveva fissato anche una Madonnina, a protezione dei passanti. La pozza d’acqua non dovrebbe essere stata un pozzo, e pare non abbia immissari, emissari, fattori che la intorbidano. D’inverno ovviamente gela, creando uno specchio ghiacciato dai bellissimi colori, e tanti non hanno capito come si possa trovare là, se ci sia sempre stata, sia un fenomeno naturale o frutto di manomissioni umane. Oltretutto, il fondo di una grotta scavata per ricavarne una postazione, un deposito di munizioni o un ricovero, se non impermeabile, doveva essere almeno asciutto a sufficienza per sistemarvi uomini e materiali, altrimenti sarebbe stata inutile. A parte l’interesse paesaggistico e naturalistico del luogo, che molti scoprono comodamente dall’alto (da Ra Vales), ma sembra più bello, seppure più faticoso, conquistare dal basso (dal Lago Ghedina), i Tonde de Cianderou riservano un interrogativo: quale sarà l’origine di quel fascinoso, trasparente, immobile laghetto che occupa la “Grotta della Madonna”? Lascio a chi lo vorrà, chiarire il quesito, che mi ha prospettato per primo nel 2007 l’amico Ennio, ed al quale non ho saputo fornire risposta sicura.

venerdì 1 ottobre 2010

Jubiläum sulla Punta Nera

L’occasione farebbe la gioia delle associazioni alpinistiche dell’area austro-tedesca. Per loro, infatti, l'anniversario che cadrà nel 2011 potrebbe essere occasione di festa, uno dei tanti Jubiläum. Sto parlando della Punta Nera, cima del gruppo del Sorapis, che fu violata 135 anni fa, verosimilmente nel 1876 e forse per caso. Il primo salitore - la guida Alessandro Lacedelli da Meleres, antesignano dell’alpinismo - raggiunse la Punta, che domina dall'alto la vallata d’Ampezzo, seguendo un camoscio, animale di cui era appassionato cacciatore. L'ascensione, che, fino all'apertura della Funivia Faloria (1939), si doveva compiere a piedi da Cortina o dal Passo Tre Croci e richiedeva fino a cinque ore di cammino solo per l’andata, già nel 1898 appariva nel tariffario delle guide: durata della gita 12 ore, prezzo 12 corone. Oggi la funivia permette di salire e scendere in mezza giornata o poco più, e in vetta giungono in pochi. Ricordo che dal 9/9/2000 - giorno in cui, dopo tanti anni, l'amico Giulio portò sulla sommità un nuovo “libro di vetta” - fino al 17/8/1991, quando vi compii la terza delle mie 8 salite, contai la bellezza di 22 firme, tra cui solo tre di locali. Il regno indisturbato delle cacce di Sandro da Meleres, una grande montagna che affonda in Valle del Boite con una lunghissima cresta di 1750 m di dislivello e si sale da N su roccia friabile (120 m di I), non è più di moda. Pochi conoscono la superba visione del Sorapiss che si gode dall'alto dei suoi 2847 m e da quale pulpito si possono ammirare le sue pareti, i suoi ghiaioni, i suoi ghiacciai; pochi sanno cogliere le attrattive di quella montagna solitaria, dimenticata ma grandiosa.

giovedì 30 settembre 2010

Il famoso sentiero 0

Negli anni, alcuni tratti della rete dei sentieri compresi nel Parco Naturale delle Dolomiti d’Ampezzo sono stati variati, vuoi per ragioni di logicità, vuoi per la diminuita sicurezza che garantivano agli escursionisti, vuoi per evitare disturbi alla fauna, che in alcune zone sosta o si riproduce. Uno dei tratti modificati è un’ampia porzione del sentiero non più segnalato, che da Cianpo de Crosc, passando per il Pian de Socroda, collega unisce Ra Stua col sentiero diretto al Rifugio Biella, attraverso la “Madonna della Solitudine” e l’altopiano. Il sentiero, segnato col numero 0, che gli ha conferito il nome, era stato ideato e tracciato per facilitare le salite della Croda Rossa dal Bivacco Fisso Pia Helbig Dall’Oglio (inaugurato il 19/9/1965 sulla soglia del catino della Montejela), e facilitare il collegamento tra il Biella e il Bivacco. Il segmento che si diparte dalla Madonna della Solitudine, e all'altezza della “Crosc del Grisc” s’innesta nella mulattiera lungo la quale da sempre le pecore salgono in Fosses, non è lungo, ma traversa una zona accidentata e pericolosa in caso di maltempo per la ricettività ai fulmini. Per essere obiettivo, non mi dispiace che il sentiero, innumerevoli volte percorso in tanti anni, sia stato “ufficialmente” chiuso, poiché è solitario e affascinante, ma sassoso e scomodo come pochi. Considerato che il Bivacco Dall’Oglio serve come ricovero d’emergenza, ma come base per ascensioni non ha più senso, è un notevole passo avanti avere restituito la magnifica zona dei Crepe de Socroda alla fauna selvatica che da sempre vi regna indisturbata!

mercoledì 29 settembre 2010

Ponta del Pin, 1990


Incuriosito dalla breve relazione che riporta la guida delle Dolomiti Orientali di Antonio Berti, nelle'state del 1990 mi spinsi con la solita compagnia sulla Ponta del Pin. E’ questa la massiccia cima tondeggiante che fronteggia la parete E della Croda Rossa, si vede molto bene dal Passo Cimabanche e segna il confine fra Cortina e Dobbiaco. La salita, non troppo difficile ma nemmeno banale, mi era stata testimoniata da Camillo Berti, che mi disse di aver salito giovanissimo la Punta con il padre Antonio. E’ una montagna scorbutica, fatta di blocchi e placche, detriti e rocce puntute calcate perlopiù dai camosci, che regala un grande panorame, soprattutto sulla Croda Rossa e sulle Cime Campale che la fiancheggiano. La normale raggiunge forse il I+ e, deviando da essa per poco, si può anche visitare il grande foro che buca la cresta, visibile fin da Pratopiazza. Dalla Ponta si dominano tante montagne e la Strada d’Alemagna scorre 1200 metri più in basso, molto lontana coi suoi rumori! La gita mi piacque, la rifeci con Massimo e Cristina già il 29 settembre di quell'anno (vent'anni fa ...) e poi, nel corso di otto stagioni, per altre quattro volte. Interessato da quanto avevo scritto della Ponta su qualche rivista, nel 1999 Marino Dall’Oglio ripeté la salita e poi con due guide tracciò sullo sperone contrapposto alla normale una delle sue ultime vie nuove, trovandovi roccia buona e difficoltà classiche. In più, nel 1997 tre sudtirolesi hanno salito la parete verticale, strapiombante e compatta che cade sul Cadin di Croda Rossa, per una via estrema. La Ponta del Pin domanda certamente fatica e attenzione, dato il terreno, ma a mio giudizio ricompensa l’alpinista esperto e desideroso di uscire da passi troppe volte percorsi. Non so se e quando risalirò una delle montagne meno note d'Ampezzo: certo è che l’ho conosciuta e ne sono contento.

martedì 28 settembre 2010

Evvai con gli anniversari ... Torre Fanes, 30 anni fa

La Torre Fanes, nell'omonimo gruppo montuoso, è un poderoso torrione che sorge all'estremità della diramazione che dalla Cima Fanes Sud volge verso NE, e domina con alte pareti e marcati spigoli il segmento superiore della Val Travenanzes. Le sue forme eleganti, prettamente dolomitiche, si intuiscono già da lontano, ad esempio dalla strada che sale dal Tornichè a Ra Stua. La salita della Torre – raggiunta per la prima volta dagli  irriducibili Viktor Wolf von Glanvell e Karl Guenther von Saar nell'agosto del 1898 – appartiene ad un modo di andare in montagna che oggi è quasi estinto, fatto di avvicinamenti lunghi e faticosi, buona capacità di orientamento, versanti rocciosi spesso ignorati dal sole, dolomia spesso friabile, chiodi pochi, difficoltà relegate ai livelli bassi delle varie scale che oggi "qualificano" le montagne. Personalmente, sulla bella Torre ho vissuto una giornata campale salendola con l'amico Enrico, appassionato di itinerari un po' “originali”. Andai con Enrico sulla Fanes esattamente trent'anni fa, il 28/9/1980. Partiti a piedi dal Passo Falzarego, quel giorno ripetemmo il fotogenico spigolo N del torrione, per la via di Angelo Dibona e Miss Winifred Marples del 15/7/1921 (400 m, IV con un paio di tiri forse più difficili), rientrando a Falzarego al crepuscolo. Al di là delle prerogative strettamente atletiche e paesaggistiche della salita, degna di grande rispetto per il nome del primo salitore, il lungo avvicinamento e la complessa via di discesa, non posso dimenticare la Torre per altri motivi. In primis l'irripetibile atmosfera che offre una cima veramente "fuori dal mondo", patrimonio di pochi, paradigma di un modo antico di affrontare la montagna, che quel giorno d'autunno condividemmo con gioia. Grazie ancora, Enrico, per l'entusiasmo e l'amicizia che ci unì sullo spigolo N della Torre Fanes quell'ormai lontanissimo 28 settembre 1980! 

lunedì 27 settembre 2010

27 settembre 2009, Forcella Costantiol

Vi sembra plausibile che nelle Dolomiti, a meno di un'ora da un noto rifugio, che a sua volta dista abbastanza poco da una strada carrozzabile, possa ancora esistere una forcella priva di tracce da entrambi i versanti, non considerata dagli uomini e ricca solo di abbondanti testimonianze dei bovini che pascolano in zona? Ebbene, questa forcella c'è, e la visitammo con piacere esattamente un anno fa, il 27 settembre 2009. E' Forcella Costantiol o Colsantiol, è quotata 2140 m e separa il Col de la Puina a S dai Crépe dei Béche a N. Ci troviamo nel gruppo del Pelmo, fra i Comuni di Borca e San Vito di Cadore. Lungi da me volerne fare pubblicità (che in ogni caso non le nuocerebbe granché ...), qualcosa di quella sella devo dire. Su entrambi i lati, sia verso la Val Fiorentina sia verso la Val del Boite, da Forcella Costantiol scendono ripidi e faticosi pendii, calpestati soltanto da qualche cacciatore o escursionista curioso. La Forcella non serve per traversate o ascensioni di pregio: verso il Col de la Puina sale una cresta di 115 m di dislivello, che circa a metà si raddrizza con qualche roccetta e obbliga a traversare a sinistra su erba e detriti poco stabili, per uscire sul labile sentiero della via normale. Credo che forcelle così non ce ne siano tante, almeno intorno a noi: sarà bene impegnarsi perché rimangano sempre come sono.


domenica 26 settembre 2010

Un libro per camminare in montagna

A chi ama camminare (e, se il tempo tiene, avremo ancora molte giornate utili, prima dell'inverno), segnalo un volume assai interessante, opera di un'alpinista, scrittrice, amica. "Camminare in montagna. Norme, consigli, itinerari" di Lorenza Russo (Hoepli 2008, € 19,00) è un manuale che affronta le basi dell'escursionismo, da come ci si veste a come si legge una carta topografica, dall'alimentazione al kit per la notte in rifugio. In più, 5 itinerari tra Dolomiti, Liguria e Maiella, per fare pratica. Questo manuale, semplice e completo, serve ai neofiti e anche a chi sa tutto, ma ha voglia di imparare comunque qualcosa. Ne scrivo con simpatia, perché modestamente c'è anche il mio "zampino": un'immagine scattata sulla via normale del Corno d'Angolo fra le nuvole, ricordo della salita di qualche tempo fa su una montagna "via dalla pazza folla".

La villa scomparsa


La villa Sant'Hubertus, dedicata al patrono dei cacciatori, fu costruita sullo scorcio dell'800 per volere di due amiche, la contessa Emily Howard Bury e l’americana Anna Powers Potts. La costruzione dell'edificio o, per lo meno, i progetti e le richieste alla Regola di Lareto proprietaria del terreno, per acquistare un appezzamento sui prati cosiddetti “de Castèl”, erano iniziate già nel 1896. Le acquirenti avrebbero voluto acquistare 3-4.000 mq di terra, una quantità impensabile per i regolieri, che diedero risposta negativa. Esse allora si rivolsero al Comune, che amministrava i boschi da una decina d'anni, ed ottennero con facilità il permesso di costruire sul rialzo a fianco del Tornichè, a sinistra della strada che sale a Ra Stua, la villa tanto desiderata. Ai regolieri ampezzani non rimase altro che chiedere il compenso per il mancato diritto di erbatico sui 5.200 mq ceduti alle signore, pretendere il ripristino dei luoghi dai quali era stata estratta la ghiaia per la costruzione, sulla destra della strada, e dei danni subiti dal pascolo. Nel 1898 la Potts e la Howard ottennero dal Comune anche la concessione per cacciare in tutta la zona N della valle, che tennero fino al 1908. La casa fu splendidamente arredata e abitata dalla fine del secolo, ma non ebbe fortuna. Dopo una quindicina d'anni venne a trovarsi a cavallo dei due fronti, e i soldati di entrambe le linee la depredarono e la bombardarono senza ritegno, finché non ne rimasero che i ruderi, alcuni dei quali sono ancora visibili. Per visitarli, dal grande parcheggio del Tornichè bastano pochi minuti. Si sale per una stradina sul rialzo a sinistra, scavalcando una palizzata, e ci si inoltra fra gli alberi. Quanta storia, ridotta a quattro ruderi!