giovedì 13 maggio 2010

El Troi de le berte (Il Sentiero dei racconti) -

Dopo la mostra “a cielo aperto” allestita nell’estate 2006 nel centro storico di Voltago Agordino, e dopo il libro pubblicato l’anno successivo, nell’autunno 2009 l’Union Ladin de Oltach ha completato il progetto “Na olta Oltach. Sant, siori e s-cione de n paes” con un percorso tematico permanente, allestito lungo una strada silvo pastorale ormai quasi dismessa e alquanto trascurata, in località Anter le Vai, a monte dell’abitato di via Struz, a Voltago.
Il percorso, denominato “Troi de le berte”, presenta, lungo il suo mezzo chilometro di sviluppo (transitabile anche d'inverno), dieci edicole in legno nelle quali sono narrati, con testi nella variante ladina locale e in italiano corredati da illustrazioni e immagini fotografiche, altrettanti racconti (berte) recuperati dalla storia e dalla tradizione orale paesana e finalmente ora “immortalati” nel tempo. Dopo la grande teca introduttiva d’ingresso, il visitatore che sale la mulattiera viene accolto dal Mazarol, che lo accompagna nel bosco per condurlo dall’Om Salvarech e dalle Donaze, dal Barba Zucon e da San Martino.
E da qui, con un salto nella storia, si possono incontrare i signorotti del vecchio castello medievale e San Lucano - il “vescovo delle Dolomiti”- accompagnato dalla sua fedele Beata Vazza, oppure, più a ritroso nel tempo, ci s’imbatte nella storia dei patroni del paese, San Vittore e Santa Corona. Conclude il sentiero l’episodio delle apparizioni mariane accadute, qualche centinaio di metri più a monte, ad alcuni pastorelli del paese, nel 1937.
Il “Troi de le berte” è un angolo di storia e di cultura popolare, che riprende vita ogni qualvolta chi lo percorre ne assapora la magia e ne scopre i segreti. Odorando l’acre profumo della resina e al riparo sotto le loro fronde, i pini del bosco vi condurranno in un … sentiero incantato. Buona passeggiata!
Per visitare il sentiero, raggiunto Voltago (sulla strada Agordo - Passo Cereda), prima del Municipio si gira a destra in Via Struz.
Preciso che questo articolo è opera dell'amico Gabriele Riva di Voltago, e sarà pubblicato sul nr. 1 - Anno VII di "Ladin!", semestrale scientifico-culturale dell'Istituto Ladin de la Dolomites di Borca di Cadore, in uscita a fine giugno 2010.

mercoledì 12 maggio 2010

Ra Pegna e ra Bujela

Nel circondario di Pomedes, poco lontano dall'omonimo rifugio ed alla testata del famoso Schuss, il ripido scivolo sul quale si disputano le gare di Coppa del Mondo di sci femminile, sorgono due torrioni. Ben visibili da Cortina e alti forse un centinaio di metri, sono designati ab antiquo con due evocativi toponimi: ra Pegna (la zangola) quello sulla destra orografica del Schuss, ra Bujela (l’ago) quello sulla sinistra, leggermente più modesto. Secondo la storia non risultano saliti, né le fonti informano di vie alpinistiche aperte su di loro. Di sicuro però, in questi anni, qualcuno deve averci messo le mani, anche soltanto per allenamento: se non altro, il proprietario del Rifugio Pomedes Luigi Ghedina (Bibi), Scoiattolo e guida alpina scomparso nell'estate scorsa, che lassù, al cospetto di quelle rocce, è stato di casa per mezzo secolo. Se Bibi ha tracciato nuovi itinerari su quei macigni, però, non l’ha mai detto ad alcuno. Così, eventuali cordate che un giorno puntassero ad iscrivere il proprio nome nel libro d’oro delle Dolomiti, potrebbero magari rivalutare anche quelle pareti: dandovi un’occhiata sommaria, non paiono mingherline né tanto meno miserabili. Pensandoci, mi stupisco di noi, che a quei tempi passavamo spesso lassù, d’inverno con gli sci e d’estate a piedi, e non pensammo mai di andare a ficcare il naso sulla Pegna e sulla Bujela: eppure, l’avvicinamento ai due torrioni è sbrigativo, poiché vi si arriva in seggiovia! Magari m’informerò meglio, e chissà che non venga a sapere che, durante una visita in zona, sui quei due massicci gendarmi che fanno buona guardia al Rifugio Pomedes, si sono avventurati anche alpinisti di grosso calibro!

martedì 11 maggio 2010

Una Maria Majoni nel cinema (di montagna)

Qualche tempo fa, la segnalazione della collega giornalista Mafalda Vignali, venuta per caso in possesso di una cartolina con la citazione di un film, “The white hell of Piz Palü”, in cui appariva il nome di Maria Majoni, di chiara matrice ampezzana, mi spinse a svolgere un'indagine fra le fonti a disposizione. La filmografia dell’attrice-regista germanica Leni Riefensthal, scomparsa ultracentenaria nel 2003, confermò quanto pensavo. Il film in questione è “Die weisse Hölle vom Piz Palü” (1929), diretto da Arnold Fanck per le scene documentaristiche di natura e sport, e da Georg Wilhelm Pabst per quelle a soggetto, apparso in Italia nel 1930 col titolo di “La tragedia di Pizzo Palù” e rifatto una terza volta, in versione sonora, nel 1935. Nel film, ambientato sui ghiacci del Bernina, la protagonista femminile (interpretata dalla Riefenstahl, al tempo ventisettenne) si chiamava Maria Majoni, ed era legata allo scalatore Johannes von Krafft, che moriva in un incidente alpinistico. Il succo dell'indagine consisteva nel capire se Fanck, autore con Ladislaus Vajda del soggetto e della sceneggiatura del film, avesse ricavato lo spunto per il nome e le caratteristiche della protagonista, da una persona reale. Allora giungevo alla conclusione, e anche oggi non mi sento di correggerla, che la figura della giovane poteva legarsi ad una donna ampezzana; ad esempio, Maria Majoni "dei Bote" (classe 1902, dunque coetanea della Riefenstahl), scomparsa anch'essa ultra centenaria, o – più vicino a chi scrive, per ragione di parentela – Maria Majoni "Coleta" (1911-2001). Al tempo, le Marie in questione avevano 27 e 18 anni: poiché Fanck era passato già nel 1924 in Ampezzo a riprendere fra le Cinque Torri e il Falzarego alcuni fotogrammi per “Der Berg des Schicksals“ (“La montagna del destino”), forse nell’occasione aveva conosciuto una fanciulla (o, più difficilmente, entrambe?), memorizzandone il nome. Non è facile inquadrare in modo preciso il problema, comunque un dettaglio trascurabile nella storiografia del cinema del '900. Sia come sia, a me è rimasta la soddisfazione che alla fine, qualche elemento in più per decifrare l’enigmatica cartolina lo avevo trovato.

lunedì 10 maggio 2010

Cima O del Laudo, finora una pia intenzione

Debbo confessare una verità, che un po’ mi brucia: finora non ho avuto l’occasione di salire sulle Cime del Loudo, che dominano la dolce conca verde del Ciadin omonimo. Sono passato tante volte ai loro piedi, ho scrutato dall’alto il canale che permette di salirle, faticosamente ma senza grandi problemi, ma fino ad oggi mi è mancato lo sprint per conseguire quelle vette, ignorate dai più. Ho poi avuto notizia che un amico vi sale almeno una volta l’anno, e penso che sia uno dei rari estimatori della zona! Di una delle cime però, qualcosa so: 30 anni fa cercammo di scalare l’unica via di roccia della Cima O, aperta da Piero Mazzorana e compagni nel luglio 1935 sulla parete N, sotto la quale transita il sentiero che va da Faloria al Ciadin del Loudo. La parete sulla quale si dipana l’itinerario, una delle poche scoperte alpinistiche sulle vette in questione, è cupa: non ombrosa, ma fredda, stratificata con pance grigie e friabili. La via presenta difficoltà basse, sulle quali, dalla guida Berti, risulta che Mazzorana ci mise anche un chiodo (!!!). All’epoca, un po' spompati dall’avvicinamento da Faloria, attaccammo la parete in una calda mattinata d'estate con la testardaggine e l'incoscienza dei vent'anni: le prime cordate erano friabili e malsicure, ma speravamo che, salendo, la cosa migliorasse. In quel momento toccava a me: quando sostai su un pilastro coperto di licheni bluastri, la colonna (disturbata, dopo secoli di quiete), oscillò paurosamente, minacciando di rovinarci addosso. La cosa ci fece cambiare idea in fretta. Parte in arrampicata e parte a corda doppia, rifacemmo in fretta la porzione di via già superata, tornammo mogi a casa e da quella volta la Cima del Laudo N scomparve definitivamente dalle nostre fantasie. Sarà forse anche per questo che non ho più osato curiosare sulla via normale, che peraltro sale sulle vette dal, molto più mansueto, versante opposto?

domenica 9 maggio 2010

Corno d'Angolo: poco noto ma non per questo meno interessante

Il Corno d’Angolo (m 2430), rocciosa sentinella del sottogruppo del Popena, sovrasta la SR 48 delle Dolomiti all’altezza del Ponte Rudavoi, con un paretone squadrato, dall’aspetto interessante, pur se non granitico. Denominato Corno d'Angolo - Eckhorn già in epoca pionieristica, fu sicuramente salito da pastori e cacciatori dall’alta Val Popena, sul recesso più elevato ed appartato della quale scende con brevi gradoni rocciosi. Notato di sicuro da Eckerth e dalla sua guida Michel Innerkofler nell'ottavo decennio dell’800, durante l'esplorazione dei monti del Cristallo, il Corno d’Angolo assunse un po' di fama con la salita dello spigolo S, compiuta il 20/9/1933 da Comici e Del Torso. La via conta alcune ripetizioni, anche ad opera degli Scoiattoli, ma per la roccia mediocre non è mai entrata nel novero delle ascensioni ricercate delle Dolomiti. Il 5/9/2009 due triestini ne hanno tracciato un'altra quasi parallela, che incrocia la Comici all'altezza del quarto tiro, riportando la cima all'attenzione degli alpinisti. Oggi il Corno, salito spesso anche d'inverno, rientra fra gli obiettivi sci alpinistici più conosciuti della zona del Popena. D’estate rimane una meta per chi cerchi angoli poco noti ma non per questo meno interessanti, colpi d’occhio diversi, passi non consumati e spesso da reinventare.