venerdì 12 febbraio 2010

Cavalieri della Montagna di Severino Casara

L'11 febbraio scorso, in occasione della terzultima serata del ciclo dedicato al cinema di montagna, il CAI - Sezione di Auronzo ha presentato in Sala Consiliare due opere di Severino Casara: il celebre lungometraggio "Cavalieri della Montagna", con cui l'alpinista vicentino nel 1947 esordì nel cinema, e il cortometraggio "La Guglia Edmondo de Amicis", posteriore di qualche anno. Durante la piacevole serata, coordinata dal dottor Siro Maschio e che ha visto la presenza di molti interessati, gli organizzatori hanno voluto coinvolgere anche il sottoscritto. Ho avuto quindi il piacere di portare la mia breve testimonianza su Casara, alpinista ma soprattutto amante della montagna, che ebbe la sventura di incappare in alcune traversie ed essere così emarginato dal mondo alpinistico italiano. Conobbi Casara nell'estate '76 al Rifugio Lavaredo, e lo frequentai varie volte, sia in montagna sia in città, fino a poco prima della scomparsa. Tra gli anni Settanta e Ottanta ripetei anche due delle sue oltre 200 vie alpinistiche, la Casara-Baldi-Rosenberg sulla Torre Toblin e la Casara-Cavallini sulla Torre Comici. Dell'avvocato alpinista, a oltre un trentennio dalla scomparsa, conservo ancora il ricordo di un uomo innamorato a livello maniacale dell'alpinismo, amabilissimo conversatore sempre disposto a raccontare e a raccontarsi. Ho quindi rivisto con un po' di emozione il film presentato da lui stesso a Cortina a vent'anni dalla morte della guida Angelo Dibona, che gli era stato buon amico e ottimo compagno di cordata. Grazie agli amici auronzani, per una sera ci siamo immersi in un mondo alpinitico ormai scomparso e abbiamo potuto ricordare una figura che ha contribuito come pochi altri a illustrare e far amare le pallide Dolomiti.

mercoledì 10 febbraio 2010

Dino Buzzati riposerà sulla Croda da Lago, la sua ultima cima

Dino Buzzati tornerà sulle Dolomiti, le montagne che ha amato fino alla morte, avvenuta nel gennaio 1972. La promulgazione di nuove norme regionali in materia funeraria, fra le quali la possibilità di disperdere in natura le ceneri cremate, lascia intendere che si potrà accontentare il desiderio del grande scrittore bellunese. Almerina Buzzati ha espresso il suo apprezzamento per la nuova legge veneta. «La nostra famiglia aspettava solo che il Veneto si dotasse di una legge per disperdere le ceneri sulla Croda da Lago, sulle montagne sopra Cortina». Otto anni fa le ceneri di Buzzati furono esumate e trasferite dalla cappella di famiglia a San Pellegrino di Belluno, in un luogo lombardo che la vedova non ha mai comunicato. Per i tempi della dispersione delle ceneri, Almerina non ha dato indicazioni: potrebbe essere l'estate del 2010 o del 2011, ma ha sottolineato che lo farà sapere «a cerimonia avvenuta». Il sogno di Dino potrà finalmente divenire realtà.
A parte il doveroso e deferente omaggio ad uno dei maggiori scrittori italiani, non è che il disperdere le ceneri sulle montagne diventerà una moda, un nuovo elemento chic, kitsch o per VIP? Non si porrà in contrasto con la morale cattolica, che nonostante la laicizzazione del mondo ancora resiste in tanti di noi? E' vero che le prime piogge laveranno le rocce e le ceneri su di esse depositate (che magari finiranno nel verde Lago di Federa), ma a chi piacerà scalare la Croda da Lago tastando ceneri? E poi, chi porterà sulle vette le ceneri per disperderle?

I misteri del Beco d'Aial

Qualche anno fa la scrittrice milanese Lorenza Russo, autrice di un saggio sulla toponomastica ampezzana applicata all'escursionismo e legata alla zona di Fedèra e ai suoi misteri, insieme con altri luoghi del circondario, ha raccontato il Becco d'Aial in un libretto in italiano e ampezzano, il “Bestiario d'Aiàl”. La romantica storia che riguarda la nostra cima si svolge lungo la “seconda via”, ossia il sentiero CAI 431. “... All'inizio, presso la sponda orientale del lago de Fedèra il sentiero era largo e ben tracciato, una stradetta erbosa con il fondo di lastre di roccia bianca, levigata dai passi. E sembrava proprio un sentiero come gli altri, appeso a un albero c'era pure il cartello con il segnavia e l'indicazione per il fondovalle, ma prima di arrivare laggiù in paese, dove diceva, mi avrebbe portato dove voleva lui. Per una decina di minuti se ne scese lento, un po' perplesso, quasi avesse voluto lasciarmi il tempo di decidere, la possibilità di tornare indietro … Tagliava un bosco rado, in leggera pendenza, e tra quegli alberi nodosi e ritorti, cresciuti da quei sassi che poi erano rimasti imprigionati nelle radici – arrivava la luce chiara e fredda della Val Negra: sembrava che là sopra stesse albeggiando, ma sotto di me, verso Cortina, i colori si stavano mescolando fondendosi in un grigio indistinto. Era uno di quei pomeriggi di ottobre in cui il sole tramonta senza preavviso, avvolto da un velo di caligine. Ancora un'ora di luce, pensai, poi dovrò accendere la torcia. Tutt'a un tratto il sentiero piegò bruscamente a destra e poi con una curva secca si riportò a sinistra, verso il vuoto: mi trovai in bilico su di un poggio roccioso, da cui si vedevano bene Cortina e le montagne che la proteggono dall'aria del N. Cento metri più in basso, in una conca infuocata di larici, delle figurine scure e esili saltellavano qua e là, senza toccare il terreno., in una danza frenetica ma non fastidiosa: erano le Aiàls, le ninfe del Bèco d'Aiàl. Non ero stupita di vederle, quanto di averle incontrate in quella stagione fredda, loro che amano crogiolarsi al primo sole di giugno, distese tra le primule. Scendendo per il sentiero, in realtà sicuro e protetto da una siepe di mughi, mi avvicinavo a loro e le sentivo ridere: spostavano massi come fossero state piume, ne coprivano altri con rami e frasche, e continuavano a ridere, in uno stato di euforia a cui difficilmente potevo rimanere estranea. Poi il sentiero mi condusse ad una piccola radura e scomparve: a destra c'era una strada sterrata con la terra smossa, ma capii che, per quanto la giornata non fosse prima di stranezze, il mio sentiero non poteva essersi trasformato così tanto. Un attimo di smarrimento, uno sguardo alla cartina e facendo qualche passo verso occidente, in leggera salita, arrivai in un'altra radura dove c'era un casón diroccato. Sul tronco di un abete ricomparve, inaspettato e familiare, il segno bianco e rosso e capii cos'era successo: lo scherzo delle Aials, che in un delirio beffardo, un ultimo sprazzo di entusiasmo autunnale, avevano sconvolto la segnaletica. Forse però non l'avevano fatto apposta, non contro di me … Preferii pensare così e tra il divertimento e il timore seguii il sentiero, che ormai era sempre più stretto, un corridoio tortuoso in un bosco tetro, fosco per alberi alti e neri anfratti di roccia umida e scivolosa. Sulla sinistra mille guglie di pietra e una piramide con le facce muschiate: il Bèco d'Aiàl, la casa delle ninfe dispettose. Il sole stava tramontando - ma in un bosco così non c'è luce neanche nella giornata più radiosa di agosto – e la pendenza del terreno aumentava passo dopo passo. Quando alle conifere si mescolano le latifoglie, cambiano i colori e l'odore nell'aria: l'atmosfera si faceva meno cupa e anche gli alberi, sentendosi più tranquilli, si allontanavano l'uno dall'altro, permettendo allo sguardo di penetrare più in profondità. I solchi di una slitta da carico (lióşa) correvano sul tratturo, in questo tratto fangoso e molle, e per evitare di scivolare salii sulle alte sponde di terra, da cui mi apparve subito il prato con la Crosc e il casón del Macaron: il sentiero lo attraversava tranquillo e, mi sembrò, quasi con una punta di fierezza per essere arrivato e avermi condotto fin lì. ...”

martedì 9 febbraio 2010

E' morto Benito Saviane, alpinista alpagoto

Ieri 8 febbraio, nella sua casa a Codenzano di Chies d'Alpago, è morto un grande alpinista bellunese, Benito Saviane. Classe 1940, Saviane ha speso la vita per la montagna e la promozione del suo Alpago. Franco Miotto, che con lui ha scritto, tra la fine degli anni '70 e i primi anni '80, alcune pagine alpinistiche d'oro, sulle montagne bellunesi, ha detto di Benito «È stato il compagno di cordata più forte, quadrato, maturo, con cui ero più che sicuro». Dell'alpinista alpagoto restano le grandi scalate, la Sottosezione CAI della conca divenuta da poco Sezione autonoma, il suo alpinismo estremo d'altri tempi, su pareti nascoste, selvagge e repulsive dove ben pochi dopo di lui, Miotto e Corona, si sono avventurati.

lunedì 8 febbraio 2010

Idee per il futuro.

Il passaggio ai piedi della parete E del Taburlo, che collega le Ruoibes de Fora con Progoito; la cengia che percorre le pendici di Ra Sciares sulla Croda Rossa, unendo i circhi che fanno capo a Forcella Colfiedo; il tracciato militare sul versante sud di Ra Zestes sotto la Tofana III; l’attraversamento - battuto dagli ungulati e noto anche ai guardaparco - dalla via normale del Col Rosà al sentiero di Posporcora; la cengia sull’avancorpo delle Lainores che, stando sotto roccia, collega in modo originale la normale della cima col Cason d’Antruiles. Sono soltanto alcune possibilità, alcune delle quali restano per ora nel carnet delle cose da fare, per realizzare escursioni abbastanza impegnative sui monti ampezzani, unendo peculiarità naturalistiche, storiche ed alpinistiche. A loro potrei aggiungere la cengia naturale e la Cengia “Polin” sulla parete SW della Tofana de Rozes; un paio di percorsi sugli Orte de Tofana; gli accessi diretti dalla Val di Fanes al Col Rosà e al Valon Bianco (con successiva discesa in Val Travenanzes per altro percorso militare); la cengia descritta su “Le Alpi Venete” che collega i bivacchi Slataper e Comici traversando dietro le Tre Sorelle. Mi fermo, giacché capisco che per conoscere profondamente le crode ampezzane anche a me difettano ancora alcuni tasselli. D’altronde, mi posso ritenere più che fortunato, per avere raggiunto tante altre mete, sovente scomode e aspre, ma originali: la citata cengia sull’avancorpo delle Lainores, la Ponta del Pin, la Pala de ra Fedes, il Taburlo, vari sentieri sui Zuoghe e Ra Ciadenes; il Pezovico, quello che soprannominai "l'accesso dei bosniaci"v a Son Pouses ecc.. Nel mio “libro dei sogni” ci sono ovviamente molte pagine bianche: con le idee che mi vengono di anno in anno, non so se riuscirò a riempirle e leggerle tutte. Se lo faranno altri, gli appunti per l’auspicato aggiornamento della guida delle “Dolomiti Orientali”, al quale tanti appassionati sarebbero in grado di dare una mano, potranno essere redatti ugualmente.

Venanzio Zardini, detto "de ra morte".

Tra le guide alpine ampezzane che praticarono l’attività ai tempi dei pionieri, compare anche Venanzio Zardini, curiosamente soprannominato "de ra mòrte". Nato nel 1842 e morto a settantaquattro anni nel 1916, di professione effettiva fu calzolaio. Nelle carte, il suo nome non risulta mai collegato ad ascensioni, e una delle rare sue immagini “in attività” lo fissò mentre accompagnava su una portantina, con altre guide ampezzane, una turista invalida al Sachsendank Hütte, il rifugio inaugurato l’11 agosto 1883 sul Nuvolau. Del personaggio non ho dati che rilevino per la storia dell’alpinismo. Fece il portatore e non s’impegnò mai in grandi ascensioni, limitandosi a condurre i clienti in escursioni di medio impegno oppure a varcare forcelle e passi dove oggi si passa comodamente in automobile, ma che allora erano ritenuti zone misteriose. E’ un vero peccato saperne poco: da tempo sostengo che anche le guide “minori”, i portatori e i vetturali hanno contribuito alla storia dell’alpinismo su tutto l'arco alpino. Nel caso di Venanzio Zardini, è un enigma anche il curioso, inquietante soprannome assegnatogli, tramandato agli eredi. Nelle mie ricerche sulle guide della belle époque dell’alpinismo ampezzano che, non avendo lasciato documentazione legata alla conquista di cime o a prime salite su di esse, sono state relegate nell’oblio, comunque, c'è anche il Nostro. Per ora prendo atto che anche Venanzio, per un certo periodo del XIX secolo, contribuì con il suo lavoro a far conoscere le montagne del circondario d’Ampezzo e di conseguenza allo sviluppo del concorso dei forestieri, che si andava affermando anche nella nostra vallata.