mercoledì 23 settembre 2009

39 anni fa veniva scalato il Diedro Dallago sulla Cima Cason de Formin

"Un grande diedro di roccia solida, ricco di clessidre, che consente una bella arrampicata di quarto grado. Nel primo tiro c’è un solo passaggio più difficile (5°), ma questa lunghezza si può evitare attaccando 20 m più a sinistra e salendo per rocce gradinate. Non effettuare la salita dopo piogge recenti." E' solo una delle tante relazioni, tratta da Internet, del diedro nord-est della Cima Cason de Formin, nel gruppo della Croda da Lago. Penso che sia una delle più soddisfacenti arrampicate classiche effettuabili intorno a Cortina, e la ricordo perché fu aperta come oggi, mercoledì 23 settembre di 39 anni fa. Primi salitori del diedro furono la guida Franz Dallago Naza (uno dei più grandi conoscitori del Gruppo della Croda da Lago, dove ha tracciato decine di vie nuove) e l'amico Dino Constantini Ghea. Originariamente l'itinerario, lungo circa trecento metri e che non giunge su una vetta ma su una cengia sotto il cocuzzolo sommitale, fu valutato IV con un tratto iniziale di V e superato con un unico chiodo. Oggi la valutazione rimane comunque quella (D secondo la scala moderna); mi dicono che i chiodi presenti sono sempre pochi, e il primo tratto quasi sempre si evita sfruttando la via di Angelo Dibona, che sale a sinistra ed è un po' più facile. Il Diedro Dallago è una via alla vecchia maniera, logica e su roccia ottima; peccato che il diedro si trovi all'ombra, quindi sconsigliabile in giornate fredde o umide. Fra il 1982 e il 1987 lo ripetei diverse volte con gli amici. Come per la gran parte delle classiche che frequentai in quegli anni, anche di quell'atletico diedro, dopo tanto tempo, conservo un bel ricordo.

martedì 22 settembre 2009

Cento anni fa moriva Antonio Lacedelli, portatore alpino.

Due lapidi di marmo bianco nel cimitero di Cortina ricordano le guide alpine e i portatori scomparsi, dal capostipite Francesco Lacedelli Checo da Melères, che nel 1863-1864 salì con Paul Grohmann la Tofana di Mezzo e di Rozes, l’Antelao, il Pelmo e il Sorapis, ad oggi. Per inciso, alla lista mancano ancora tre guide: Luigi Piccolruaz Nichelo, il cui nome finora è stato inspiegabilmente dimenticato, e le ultime due scomparse in ordine di tempo, i fondatori degli Scoiattoli Albino Alverà Pazifico (Boni) e Luigi Ghedina Broco (Bibi), che ci ha lasciato nell’agosto scorso. Ai cultori delle statistiche, le lapidi ricordano anniversari, legati a persone e avvenimenti di maggiore o minore rilievo, ma sempre interessanti per riannodare i fili della storia valligiana, dalla seconda metà dell'Ottocento in poi. Alla fine di quest’anno, ad esempio - dopo il centenario della scomparsa della guida Giovanni Cesare Siorpaes Jan de Santo - ricorre quello di un portatore, del quale non si sa molto: Antonio Lacedelli, più noto secondo l’usanza paesana come Tone d'Arone. Fratello maggiore di Giuseppe, insegnante presso l'Imperial Regia Scuola Industriale che con il medico Angelo Majoni Boto e il maestro Bruno Apollonio Nert compilò la pregevole Ampezzo und seine Umgebung - Guida della Valle d'Ampezzo e de' suoi dintorni (uscita in versione italiana e tedesca da Strache, Warnsdorf und Haida, Wien 1905), Antonio era nato nella vila di Val de Sote il 6 gennaio 1852. Soprannominato da Rone, o meglio d’Arone (un patronimico forse legato alla biblica figura d’Aronne; oggi il casato porta un altro appellativo, Juscia), Antonio lavorava come falegname ebanista per conto del fratello, che fu un pioniere dell'importazione a Cortina dell'arte indiana, oggi scomparsa, del tar-kashi. Il nostro allestiva i lavori in casa e poi li consegnava ai colleghi per l'esposizione e la vendita. Per rimpinguare il magro bilancio domestico e sostenere la numerosa famiglia, dal 1893 al 1905 Lacedelli fu autorizzato a prestarsi anche come portatore alpino. Il suo nome compare quindi nella Tariffa per le guide di montagna del Distretto Giudiziario d'Ampezzo, approvata nel 1898 dall'Imperial Regio Capitano Distrettuale Rudolf Ferrari e inserita in calce alla citata Guida. La tariffa comprendeva 78 possibilità di ascensioni, dalle più semplici alle più impegnative, e 80 escursioni con vetture o cavalli a sella, a Cortina e nel circondario; in quel periodo le guide autorizzate disponibili erano 23, più cinque aspiranti. Come gli altri colleghi portatori (nel 1898 ve n’erano tre: Angelo Dandrea Bijo; Antonio Menardi Tonin Selo; Gasparo Alverà Napoli), quasi certamente Tone d’Arone non si cimentò mai su cime e itinerari di alto livello tecnico, ma è facile supporre che i blasonati colleghi si servissero spesso della sua collaborazione per soddisfare le richieste dei clienti. Per una dozzina di stagioni, Lacedelli si caricò quindi i bagagli e le vettovaglie dei facoltosi sciore, accompagnandoli in lunghe e faticose traversate tra Cortina e le valli limitrofe. Antonio guidava i “touristi” coprendo anche cinquanta chilometri a piedi in una giornata, soprattutto attraverso le “montagne basse”, i passi dolomitici dove oggi transitiamo comodamente in automobile, senza più renderci conto della portata degli impegni di quei valorosi montanari. Facciamo qualche esempio, avvertendo che il calcolo comprende anche il viaggio di ritorno. Da Cortina a Caprile per il Falzarego, lungo la carrareccia che un secolo fa divenne la “Grande Strada delle Dolomiti” (82 km, una giornata e mezza, 15 corone); da Cortina a Caprile, ma per il Giau (68 km, una giornata e mezza, 13 corone); a Pieve di Livinallongo per il Falzarego (62 km, dodici ore, 12 corone); a Campitello di Fassa per il Fedaia (ben 129 km, tre giornate e mezza, 26 corone); a San Cassiano in Badia per il valico di Tra i Sassi o Valparola (58 km, due giornate, 13 corone), a San Vigilio di Marebbe per il valico di Rudo o Fodara Vedla (due giornate, 16 corone). Probabilmente, qualche volta Tone fece anche da “porta scarpe” per i clienti impegnati in ascensioni con guide titolate. A loro, dopo aver raggiunto per le vie normali le montagne sulle cui pareti si svolgevano le ascensioni più alla moda (la Via Inglese in Tofana di Mezzo; la Corry sul Col Rosà e la Phillimore sulla Costa del Bartoldo; la Pott sulla Punta della Croce; la Heath sulla Punta Fiames e la Eötvös sulla Tofana di Rozes, e altre), i portatori facevano trovare le calzature chiodate per il rientro a valle. Il fisico del portatore non resse però al prolungato affaticamento, tanto che nel 1905 Lacedelli fu costretto a lasciare l'attività. Si affidò alle premurose cure del dottor Majoni, ma presto il suo cuore cedette, e il 20 dicembre 1909 si spense a soli cinquantasette anni. Qualche nota ora sul mestiere di portatore alpino (Träger). Promosso talvolta guida per i meriti acquisiti sul campo, se non particolare abilità nella scalata, il portatore doveva conoscere bene le carrarecce, le mulattiere, i sentieri che scavalcavano valli e montagne, ed essere avvezzo a grandi fatiche. Le guide, infatti, erano obbligate a portare pesi fino a 8 kg senza ulteriore compenso, e l’eventuale peso aggiunto era compensato con 0,10 corone per kg e per ora, mentre il portatore doveva portare fino a 15 kg e, per l’eventuale sovrappeso di cui si fosse caricato, percepiva un compenso di 0,20 corone per kg e per ora. Sappiamo comunque, da fonti affidabili, che non di rado i bagagli accollati ai portatori alpini potevano raggiungere anche i 40 chilogrammi. Ai primordi della storia alpinistica l'attività di queste figure - un viaggiare spesso monotono, di solito privo di memorabili imprese e per questo anche avaro di documenti, che consentano di ripercorrerne la storia - costituì un oscuro, fondamentale impulso alla conoscenza delle Alpi. Fino agli inizi del ’900, quindi, anche Tone d'Arone con le sue camminate attraverso le montagne svolse una parte di rilievo nell’esplorazione delle Dolomiti. Stranamente però, nei due ritratti più noti del gruppo delle guide ampezzane (datati 1893 e 2 novembre 1901), accanto ai colleghi non compare. Antonio aveva sposato Rachele Saba Menardi (1866-1954), sorella di Sigismondo (Mondo de Jacobe, guida in esercizio dal 1899 al 1914 e poi emigrato in Austria), che gli diede otto figli. L'ultimogenita Maria, scomparsa lo scorso anno quasi centenaria, in pratica non conobbe il padre mentre il figlio maggiore Simone - 1887-1970, noto come Scimon Juscia -, dal genitore ebbe in eredità la vocazione per la montagna. Con il coetaneo Alessandro Cassiano Zardini Noce, travolto da una valanga nel 1916 sulla Marmolada, fu l'ultimo ampezzano autorizzato dal governo austro-ungarico ad esercitare la professione di Bergführer (1912), che svolse fino ad età avanzata. Ancora nel 1955 lo s’incontrava con i clienti sulla Torre Grande d’Averau. All'inizio degli anni Cinquanta del secolo scorso promosse le escursioni accompagnate, che tanto successo avrebbero riscosso avvicinando al mondo alpino adulti e bambini di ogni condizione sociale e capacità. Ritornando al nostro Tone, ci dispiace che sia difficile ricostruire la vita e le opere sue e di altri valligiani sfuggiti alle cronache, perché i portatori e guide “per montagne basse”, le guide aspiranti e, tutto sommato, anche i “vetturali” (la Guida sopra citata ne elencava 28), vivacizzarono l'epoca d’oro del concorso dei forestieri, contribuendo a costruire il destino turistico della valle d’Ampezzo. Chi scrive, ormai da qualche anno s’interessa di quei pionieri della montagna - soprattutto ampezzani, ma non soltanto quelli - che, avendo fatto parlare e scrivere troppo poco o nulla di sé, fra non molto inevitabilmente precipiteranno nell'oblio.