sabato 13 settembre 2008

L'albero bucato

Nel 1994 un Regoliere attento, che da anni va cercando fuori dei sentieri battuti preziosità storiche, naturalistiche e alpinistiche, a 1850 metri nella zona della Tofana III scovò una curiosità: l’“albero bucato”, vera e propria garitta con annesso trinceramento, che un soldato ignoto incavò pazientemente all’interno di un tronco sulle pendici degli Orte de Tofana. Da allora l’albero, difficilmente raggiungibile per chi non abbia gambe e non sappia almeno dove iniziare la ricerca, e soprattutto nella stagione calda, quando la vegetazione circostante lo soffoca, è divenuto una “star”. Visitato da moltissimi curiosi locali e non, descritto e fotografato su giornali e riviste, è stato persino munito di un “libro di vetta”, che registra le salite di appassionati. Quando giunsi lassù per la seconda volta (estate 1996), il complicato e poco intuitivo percorso d’accesso era stato addirittura agevolato in parte con spezzoni di nastro colorato da cantiere, annodati su alberi e arbusti! Mi chiedo sempre se questo “cancan”abbia avuto un senso. Sarà anche vero che l’albero bucato costituisce una rarità storica, un prezioso reperto bellico, un interessante monumento naturale, una bella testimonianza dell’ingegno umano, un rifugio nella solitudine che ha pochi eguali, ma forse a questo punto si dovrebbe tacerne. L’impervia pala su cui sorge fa parte di un ecosistema unico e fragile, ha già sofferto in guerra e non merita di essere sottoposta a ulteriori pressioni. Per di più, qualche scienziato, per salvare la memoria del reperto, è giunto a proporre di scalzarlo dall’alloggio naturale (dove resiste da quasi novant’anni) e “trapiantarlo” in un Museo a fondovalle … A mio parere, oggi sull’albero, dopo anni che se ne è parlato,è giusto sia calato il silenzio. Non pubblicizziamolo ancora né pubblichiamone più immagini, non segnaliamolo più di quanto è stato fatto, non costruiamo un divo. Chi lo conosce lo indichi pure ad altri, ma non si vada mai su in tanti, non si faccia baccano, non si sporchi. Chi visiterà quel luogo, sia tutt’uno con l’isolamento degli Orte de Tofana…

giovedì 11 settembre 2008

Bar Pierosà, un balcone sulle Dolomiti (in ladino d'Ampezzo)

Lassù, sote l col che i ciamon “El Picheto”, agnoche fin ‘sà alcuante anes l ea doi gance par se montà, na ostaria che r é deentada un restorante epò un ciasamento de lusso e tanta ‘sente che ‘sia coi schie, propio sun chi “canpete” agnoche ci che scrie, e trope come el, i à inparà a vienì ‘sò a spazagnee par el toco, l inverno passà i à daerto un local. El “Bar Pierosà”, che Paolo Bellodis Smalzo el s à insonià par undesc ane de vede fenì, l à fato ormai ra seconda stajon e l tienarà daerto deboto duto l an (ma via par l istade, Paolo, guida dal 1984, l à dito che el no po fei demanco de ‘sì in croda). Inze l piazal de Pierosà, cuatro pasc sora ra stazion, l é vienù su na ciaseta noa che ra sà da larià, con funestres da agnoche se vede fora ra val intiera. “Ogni funestra ra somea un cuadro” l à dito Paolo, canche l m à fato vede ra so fadia. Inze l Bar, projetà dal architeto Gretchen Alexander e fato su dai marangoi Majoni de Mano, l é toura pizores e cuadrates: sun duta ra plotes l é fotografies de crodes in bianco e negro, una pi bela de cher outra. Cardee de saé assei del mè paes, ma does no son stà bon de capì agnoche es é stades tolestes 'sò, e m à tocià me l fei dì da Paolo, che ra val el ra ’sira da anes anche el! Canche te te scentes, daos t as duto l Pomagagnon, a man dreta Tofana, visavì ra Tores de Potor, co r Ingleje che somea un corno, e pi indalonse Croda da Lago, ra Rochetes, insoma dute chi merle de dolomia che insoasea ra nostra val. Cemodo podone pensà che un sito coscita el no feje ra voia? A Pierosà và su vorentiera forestiere e anpezane; l é piaza da ‘suià pa ra famea, fin che mares e pares i ciapa l sol; l é da magnà e da bee. Ci che i piaje ra crodes el po fei doa ciacoles con Paolo, "Schirata" e ex Capo del nosc Socorso; Corso Italia l é coscita pede che vo esse manco de diesc menute a pè: ma fosc l é meo restà lassù fin che l sol el và a fiorì. Te sos pede ra ciases, ma te somea deboto de esse intrà ra crodes. Brao Paolo, e bon laoro!

mercoledì 10 settembre 2008

Piero de Jenzio, Bergfuehrer

Quest'anno è ricorso il centenario della scomparsa di un protagonista dell'alpinismo dolomitico fra il XIX e il XX secolo: Pietro Antonio Dimai Deo, noto in Ampezzo come Piero de Jenzio. Intento di queste righe è ricordare la bella figura di un pioniere della montagna, al quale sono attribuite 12 prime ascensioni, due prime invernali e molte salite su tutte le Dolomiti. Piero era nato a Chiave, ai piedi del Pomagagnon, l’8 settembre 1855 da Fulgenzio Dimai Deo e Maria Francesca Apollonio, in una famiglia donde uscirono ben 7 guide alpine. Il padre e lo zio Angelo, consacrati da Paul Grohmann, furono fra gli antesignani della scoperta dei nostri monti e il 28 settembre 1864 guidarono il viennese sulla più alta cima dolomitica, la Marmolada. Divennero guide anche Arcangelo (nel 1877) e Antonio (nel 1888), figli di Angelo, Angelo junior (nel 1922) e Giuseppe (nel 1925), figli di Antonio. Pietro viene autorizzato ad esercitare la professione nel 1874. Sarà il primo ampezzano a conseguire il traguardo a soli 19 anni: dopo di lui toccherà a Pietro Siorpaes (nel 1887), Celso Degasper (nel 1922), Bruno Verzi (nel 1945), Modesto Alverà (nel 1976), Massimo Da Pozzo (nel 1986). Con il padre, lo zio, il cugino, Santo Siorpaes (suo futuro suocero), Alessandro Lacedelli, Giuseppe Ghedina, Angelo Menardi e Angelo Andrea Zangiacomi (manca Giovanni Barbaria, patentato nel 1875), Piero compare nel primo elenco delle guide d’Ampezzo, pubblicato il 1° marzo 1876. Grohmann però lo aveva ritenuto degno d’attenzione già da tempo: “Devo ricordare i figli di Angelo e di Fulgenzio Dimai e cioè Arcangelo e Pietro Dimai, due bravi giovani. Penso che soprattutto il primo potrà diventare una guida eccellente”. Dimai fu attivo in montagna fino a tre mesi prima della scomparsa, avvenuta per malattia il 5 gennaio 1908. Riscosse numerosi successi, ed oggi il suo nome rimane scolpito a chiare lettere nel libro d’oro dell’alpinismo ampezzano e dolomitico.

lunedì 8 settembre 2008

Cronaca di un salvataggio fortunato

27 anni fa di questi giorni, ai primi di settembre 1981, alcuni ampezzani salirono sul Piz Popena con l'intenzione di recuperare il libro di vetta, posto lassù nell'estate 1910 e ricco di firme di illustri scalatori. Il documento è oggi custodito gelosamente negli archivi del CAI Cortina: oltre ad esso, gli ampezzani portarono a valle anche una bella serie di biglietti da visita, lasciati in vetta da alpinisti, in prevalenza stranieri, dalla fine del XIX secolo. Scorrendo i biglietti, molti dei quali, purtroppo rovinati dalle intemperie, si leggono a stento, ne individuai numerosi di guide locali. Il più curioso, scritto in francese, fu lasciato nel 1906 da “Ange Gaspari, guide du Club Alpin”, Angelo Gaspari Moròto, caduto sul Cristallo nel 1911 per salvare il cliente in difficoltà. Bortolo Barbaria Zuchin, che salì sul Popena ancora nel 1939, “speaks English”; Angelo Colle Neno è “guida del CAI”. Un altro apparteneva a Florindo Pompanin de Checo, guida dal 1905 al 1914, un altro interessante fu lasciato il 26 agosto 1899 da “Bruno Wolf cand. Iur.” (laureando in giurisprudenza), condotto in vetta da Alessandro Lacedelli da Melères, al tempo l’unica ancora in attività tra le guide che avevano operato al servizio dei pionieri delle Dolomiti. Nel 1899 Lacedelli aveva 63 anni, ed evidentemente, ammaliato dal fascino della roccia, saliva ancora le sue montagne. Dai biglietti, oltre a tanti nomi interessanti sia di guide sia di clienti, si evince che tra il 1800 e il 1900 il Piz Popena – montagna non semplice, la cui ascensione rimane sempre un’avventura lunga e complessa – era abbastanza frequentato. Le vie seguite allora (ma ancora oggi) erano due: quella tracciata da Whitwell con Santo Siorpaes Salvador e Christian Lauener nel 1870, e la “Via Inglese”, aperta nel 1898 da Phillimore e Raynor con Antonio Dimai Deo, Zaccaria Pompanin de Radeschi e Michl Innerkofler jr.