giovedì 24 luglio 2008

Sul Beco d'Aial, la cima più bassa della valle d'Ampezzo

L’Aial, piccolo lago fra gli abeti, e l’adiacente, confortevole rifugio, meta preferita di turisti pigri; una lunga salita nel fitto bosco di Janberta e un panorama sulla valle sottostante di sorprendente bellezza, caratterizzano l’ascensione di mezza giornata sul Beco d’Aial (m. 1880), la cima rocciosa più bassa d'Ampezzo. L'avvicinamento alla base del monolito lungo il sentiero CAI 431, a tratti ripido ma ombreggiato, richiede poco più di un’ora dalla partenza, situata sulla strada tra Cortina e Pocol. Nell'ultima parte dell'originale “via comune”, un sentierino che serpeggia in mezzo agli alberi ed a singolari guglie rocciose, occorre prudenza, a causa di uno stretto ed esposto passaggio su cengia, non attrezzato. L'escursione si potrebbe facilmente allungare, salendo in circa tre quarti d'ora al Lago di Federa e al Rifugio Croda da Lago-Palmieri, ma prima vale la pena sostare un po' sulla piatta sommità del Beco, dove occhieggiano ancora i ruderi di una postazione antiaerea, e dove si gode di una visuale su Cortina e le sue montagne veramente grandiosa.

mercoledì 23 luglio 2008

Taburlo, aspro e dolce

Un salto di buona roccia di 7-8 metri, sul quale, durante la Grande Guerra, forse era posata una scaletta, schiude l’accesso ad una cima ampezzana particolare, il Taburlo. Quotato 2268 metri, quasi schiacciato fra il retrostante, imponente Taé e il prospiciente, poco rilevato Col Rosà, questa cima dal toponimo arcano domina Pian de Loa con una parete rossastra di alta difficoltà, salita il 16 giugno 1963 da Ivano Dibona e Marcello Bonafede, che l’avevano tentata senza successo nel novembre dell’anno prima. Il libro di vetta, posto lassù all’inizio degli anni Novanta da una compagnia d’appassionati ampezzani - due dei quali, Claudio e Alfonso, non sono più con noi già da tempo - e ultimamente danneggiato dal maltempo, documentava la scarsa frequentazione di una cima malagevole e non ricercata. Salito per la prima volta da austriaci nel 1906, il Taburlo è una croda “all’antica”, scomoda ma appagante, e suscita da sempre le brame di pochi appassionati, scaltriti e impazienti di uscire dal recinto delle mete più famose, comode e à la page. La salita postula un buon impegno; dopo aver toccato la cima per cinque volte, una delle quali fra l’altro da solo, devo dire che mi sono sempre sentito realmente soddisfatto nel guadagnare l’inaspettata piattaforma più alta, ampia, sparsa di erba e mughi e difesa su ogni lato da pareti, canaloni e tracce esposte che serpeggiano fra rocce non proprio elementari. Ricordo soprattutto le sensazioni provate nel 1995, mentre attendevo – standomene buono in fila – che i miei compagni superassero l’ultimo ostacolo, un buon 1° grado superiore. In un momento mi vidi a pensare che la montagna dove mi stavo arrampicando, disturbata da poche presenze umane, aspra e al contempo dolce, era una meta ideale. Voglio tornarvi ancora, per gustare l’atmosfera che da sempre la mantiene così com’è!

martedì 22 luglio 2008

E' uscita la ristampa di "Dolomiti e magia" di Mario Ferruccio Belli (D. De Bastiani Editore, maggio 2008, pagg. 173, € 18,50)

Può capitare a chiunque, mentre gira per i boschi, di imbattersi in una "anguana", la misteriosa ninfa dai piedi di capra e coperta da pelli di agnello: lo sostiene, ironico, Mario Ferruccio Belli, presentando la ristampa del suo "Dolomiti e magia", piacevole volume sulle leggende del bellunese, edito nel 1981 e tornato da poco in libreria con la stessa veste tipografica di allora. Una trentina i soggetti che in anni lontani hanno tenuto compagnia, nelle lunghe sere invernali, a bimbi in attesa di sonno o a ragazze curiose di conoscere il loro destino maritale. Dall'orco della Val d'Oten alla vergine di Andraz, dai misteri di Vinigo alla sorgente del frate, dai signori della croda Formin allo sterminatore di draghi, dal gallo di Auronzo all'"om selvarech" dell'agordino: Belli raduna in un mazzo un serto di fiori dal profumo indecifrabile e lo distende a tappeto perchè ciascuno raccolga, senza paura, quello più vicino ai ricordi della sua infanzia. Con la prosa scorrevole e coinvolgente che tutti gli riconoscono, Belli ha lasciato, per un momento, i temi della storia e della cultura, a lui congeniali, per addentrarsi con passo sicuro e disinvolto sui sentieri della magia, quella rivestita di boschi, di crode, di luoghi familiari. Non racconti astratti, dunque, ma riferimenti concreti a vallate, paesi, località del bellunese: sarà facile, per il lettore di casa, ritrovare il compagno di anni lontani, ancora avvolto nel mantello del mistero e perciò ancora affascinante tanto da fargli dire: non è cambiato, è lui! Su tutti, l'"anguana", dispettosa e irridente, sempre nascosta ma pronta ad impaurire, soprattutto chi non crede a lei. Potrà capitare, ancora oggi, di percepirne la presenza mentre va a funghi nei boschi. «Ma non abbiate paura; siate disinvolti perchè lei, l'anguana, è stata solo diffamata ingiustamente»: parola di Belli. Bellissimi, e in linea con gli argomenti, i disegni di Mario Ulliana a corredo dei testi.
(Bortolo De Vido, Il Gazzettino, edizione di Belluno, 22.7.2008. Grazie!)

"150 anni di alpinismo", mostra fotografica a S. Vito di Cadore (8 agosto - 21 settembre 2008)

La Sezione del Club Alpino Italiano di S. Vito di Cadore, in collaborazione col Gruppo Rocciatori Caprioli e col contributo del Comune di S. Vito, ha il piacere di presentare “150 ANNI DI ALPINISMO”, rassegna fotografica sugli uomini che hanno segnato la storia alpinistica sanvitese, da Matteo Ossi Pierossi, primo salitore dell'Antelao intorno al 1850, al Gruppo Rocciatori Caprioli.
L’iniziativa è stata coordinata e curata da Ernesto Majoni Coleto, Alberto Bonafede e Aldo Menegus de Martin, mentre l’allestimento grafico è opera di Giuseppe Ghedina Basilio. La mostra sarà presentata presso la Sala Congressi di S. Vito venerdì 8 agosto 2008 alle ore 18.00. Seguirà la cerimonia d’inaugurazione, presso la sala espositiva dell’Asilo Vecchio in Corso Italia. L’esposizione resterà aperta fino al 21 settembre, tutti i giorni dalle ore 18.00 alle ore 21.00.
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lunedì 21 luglio 2008

Stories curtes curtes (par anpezan, da "Bestiario d'Aial" di L. Russo e E. Majoni, Cortina d'Ampezzo 2003)

Inze l spigo de ra val d Anpezo betù a mesodì, intrà un troi e l outro, vive in pasc un grun de besties. De alcuantes vorasson ve contà algo.

I touroi
I stà su par chera bances sote ra Rejina Rocheta, ma i è tropo pi grei de chi che conoscion: ra 'sente disc che l é colpa de duto l zigar che i roseea. Inze i sasc i à jaà buje grei come zuches e là inze i sin và a sosta canche scomenza a gneegà. A chi crepe, agnoche i à ciasa soa, i disc Crepe dei Touroi. Nosoutre i touroi no i on mai vedude, ma i sò buje scì, alora vo dì che i é.

I moscite
Canche sora Posuogo rua neola negres da tenporal, l è senpre da sperà che see neoles de moscite che i và d amor. Solo che de ra otes sperà no 'soa e scomenza a pioe dassen.

Ra jarines
Ra jarines es a ra piuma bianches come el gnee e es stà su sun chel col cuerto da l bosco daante l Bèco de Mesodì, che da eres l à ciapà gnon Col Jarinei.
Canche ra notes es é pi scures, es sin stà de fora, sul pra daante l cason, mucete intrà i brascioi negre, e es somea tante lumis inze l scuro. Coscita ra vecia acuila de Sonforcia, oramai deboto orba, canche ra torna da ra caza, ra no se perde.

Ra orties
Ra orties es se sfrea ra foies che beca una su r outra, e coscita es à inparà a ciantà. Ra Val d Ortié, ra sò val, ades r é manco pascionada.
Grazie a Lorenza per il lavoro fatto insieme!

125° del Rifugio Nuvolau: ce ne parla il Presidente del CAI Cortina

Anche nel 2008, Cortina potrebbe festeggiare diverse ricorrenze storiche. Chi segue le vicende legate all’alpinismo, non può ignorare che l’11 agosto cadrà il 125° dell’inaugurazione del primo rifugio alpino della conca, costruito nel 1883 in cima al Nuvolau. Il Presidente pro tempore della Sezione del CAI di Cortina Federico Majoni, ricorda l’avvenimento. “All’inizio degli anni ’80 del XIX secolo, il colonnello Richard von Meerheimb di Dresda, guarito da una maligna infermità dopo essersi trasferito in Ampezzo, volle tramandare ai posteri la sua riconoscenza alla valle che l’aveva ospitato, e la cui salubre aria aveva respirato per lunghi mesi. Meerheimb elargì alla Sezione locale del Club Alpino Tedesco e Austriaco, sorta appena da un anno ma già dedita con fervore alla valorizzazione del territorio di competenza, una somma di denaro, fissando l’obbligo d’impiegarla per la costruzione di un ricovero alpino. Sotto la presidenza di Giuseppe Ghedina Tomasc, pittore di soggetti storici e autore della prima cartina dei sentieri della valle, sorse così la Sachsendankhütte, il “rifugio del ringraziamento del sassone”, un vero nido d’aquila su una vetta senza difficoltà alpinistiche, già famosa per lo sconfinato panorama che offre: il Nuvolau.“ Qual è il significato del giubileo, e che cosa intende fare il CAI Cortina per ricordarlo? “Domenica 14 settembre la nostra Sezione, che ne è proprietaria da sempre, festeggerà con una sobria celebrazione il compleanno del Nuvolau, primo ricovero alpino sul nostro territorio se si eccettua il più antico Ospizio Falzarego, eretto nel 1868 presso il Passo omonimo. Dopo la S. Messa, officiata al Rifugio alle ore 11.00, presenteremo una cartolina celebrativa con un bozzetto realizzato per noi dal pittore Emilio Bassanin, che durante la giornata si potrà personalizzare con l'apposito annullo postale. Tutti coloro che saliranno al Nuvolau tramite i vari accessi, potranno poi gustare i piatti tipici cucinati da Giovanna e Mansueto Siorpaes, che gestiscono il rifugio fin dal 1973. In questa lieta occasione, la Sezione del CAI sarà lieta di accogliere al Nuvolau un gran numero di amanti della montagna.” Grazie, Presidente, per questa breve intervista. Giriamo a tutti gli appassionati l’invito ad onorare il genetliaco con la salita sulla cima che già nel 1877, nel volume “Wanderungen in den Dolomiten”, il pioniere Paul Grohmann magnificava con queste parole “… Un mare di montagne è davanti a noi, e sarebbe inutile volerle elencare o descrivere. Soltanto la macchina fotografica potrebbe fissare le nostre impressioni. Alla nostra destra e sinistra abbiamo, ben nitide, le due cime del Nuvolau (Averau e Gusela). Imponente e grandiosa, davanti, la vedretta della Marmolada, tutta intera, ed i selvaggi contrafforti di Serauta e del Vernel. Più a destra, il gruppo del Catinaccio, il Sella col Boè, la Gardenaccia e la Croda Rossa. Altre montagne si levano davanti a questa cerchia possente, la catena del Monte Cappello (Sas Ciapel) fra Fedaia e Livinallongo, il verde Passo del Pordoi, il Sasso di Stria, i Settsass, il Col di Lana ecc. … A sinistra, oltre la Marmolada, il gruppo delle Pale di San Martino con un piccolo ghiacciaio, poi il Pelmo, e via via l’Antelao, il Sorapiss, la Punta (Cima) Bel Pra, i Cadini, il Cristallo, le tre Tofane. In fondo, lontano, il Duranno e cime nevose a intervalli. E questi ora citati non sono che i giganti che ci circondano …

Un ricordo di Alo, Vecio e Zesta

Se fossero ancora tra noi, avrebbero 87 anni. Sto parlando dei giovani ampezzani dai quali, il 1° luglio 1939, scaturì l’idea di fondare la “Società Rocciatori Sciatori Scoiattolo”, oggi nota come “Scoiattoli di Cortina”. I tre ragazzi del 1921 che nell’ultima estate d’anteguerra, sfidando la diffidenza delle guide, ruppero gli schemi e si riunirono in un nuovo gruppo, erano: Angelo Bernardi Agnel detto Alo; Ettore Costantini Cuzo detto Vecio e Mario Zardini Zesta. Alo, che ricordo con piacere di aver intervistato per la RAI3 nell’autunno 1998, lasciò presto la roccia per dedicarsi all’hockey, al lavoro e alla famiglia: è scomparso, ultimo della cordata, nel settembre 2000. Il Vecio continuò con successo la carriera alpinistica, divenendo guida nel ‘46 ed esercitando la professione fino agli anni ’70. Non ha fatto purtroppo in tempo a festeggiare con gli altri il sessantesimo della Società, essendo scomparso nel giugno ‘98. Lo aveva preceduto di tre anni il Zesta, attivo nella Società per un breve periodo e protagonista della 100^ ripetizione della Via Miriam sullaTorre Grande d'Averau, nel 1940. Ai fondatori si aggregarono subito molti amici, alcuni dei quali sono ancora viventi, talché nel primo periodo la Società contava oltre tre dozzine di soci, che si dedicarono alla meticolosa esplorazione dei monti d’Ampezzo, risolvendo svariati problemi alpinistici. Simbolo monumentale del primo decennio del sodalizio è senz’altro il Pilastro de Rozes, salito per la parete sud-est dal Vecio e Romano Apollonio Nano il 14-15 luglio 1944: 21 ore d’arrampicata, 105 chiodi piantati per superare cinquecento metri di parete di VI+, che hanno costituito, e costituiscono ancora, un banco di prova per almeno tre generazioni di arrampicatori. Mi è gradito, accomunandoli con tutti gli altri scomparsi, ricordare in quest'occasione i tre fondatori del Gruppo Scoiattoli. Sicuramente essi gradirebbero festeggiare il loro 87° compleanno tutti insieme, magari sulla terrazza del Rifugio a loro intitolato, ammirando il tramonto sulle Cinque Torri, che li videro nascere e spiccare il volo verso le grandi montagne.