venerdì 2 luglio 2010

Spigolo Dibona 1985: in ricordo di Renzo, amico di montagna scomparso in questi giorni

Scrivo questo post per ricordare Renzo, amico di montagna scomparso in questi giorni. Per l'occasione, mi piace sottolineare quanto sia importante per qualcuno lasciare la propria firma su uno dei libri di vetta che abbelliscono i nostri monti. Domenica 1 settembre, venticinque anni fa: in tre (Sandro capocordata, Renzo e io) salimmo lo Spigolo Dibona della Cima Grande di Lavaredo. Una via meritatamente famosa, non troppo impegnativa ma ritenuta un poco pericolosa per le possibili scariche di sassi smosse dalle cordate in parete; a mio giudizio fu molto godibile, mai snervante e soprattutto di grande valore storico per il nome che porta. Giunti sulla cengia anulare prima della vetta, il tempo cambiò di brutto: l’amico più anziano (aveva cinquantadue anni e avrebbe potuto essere nostro padre) insistette comunque per salire in vetta, vedere la croce e lasciare la firma sul libro. Gli interessava il bel panorama che si gode da lassù, ci disse che forse non sarebbe mai più salito sulla Grande di Lavaredo e gli avrebbe fatto piacere “conquistare” la sommità, che già allora veniva sempre più spesso tralasciata giudicandola superflua. E così facemmo: giunti alla croce firmammo il libro di vetta, mangiammo due cose e, poiché il tempo virava proprio al peggio, ci sbrigammo a scendere. Lungo la discesa ci colse un violento temporale, che ci bagnò fino alle ossa, trasformò la parete in un torrente, complicò alcune manovre di corda e tutto ciò che segue. Giurammo che, una volta in terraferma, avremmo santificato lo scampato pericolo, e così fu. Da Molin a Misurina facemmo una tale incetta di tè con rum, vino e grappa, da far diventare quasi alpinistico anche il ritorno a casa. Dopo di allora facemmo ancora insieme solo la Cengia Paolina in Tofana: ma quando incontravo l’amico per la strada o in montagna, pur a distanza di anni, il discorso cadeva sempre su quella bella salita, sulle firme in cima che non abbiamo più rivisto (anche se io tornai sulla Grande una decina di anni dopo), sul temporale a quasi tremila metri, sulla "scimmia" che portammo a Cortina. Per noi, ma specialmente per lui, lo Spigolo Dibona dev'essere rimasto davvero un ricordo indelebile, e con questo ricordo comune lo voglio salutare. Ciao Renzo!

giovedì 1 luglio 2010

“Poesies e canzós de Tesele Michielli Hirschstein”

Ampezzana d’antico ceppo, da molti anni “Tesele Ris-cia” s'impegna a sostenere le peculiarità culturali di Cortina con l’appoggio a svariate iniziative di promozione e difesa dell'idioma e del sapere locale: una per tutte, la sua collaborazione ultra ventennale alla redazione dei vocabolari Ampezzano (1986) e Taliàn-Anpezàn (1997) delle Regole.
“Poesies e canzós”, 85 pagine stampate dalla Tipografia Ghedina, le regala un giusto riconoscimento: la divulgazione di quaranta poesie e canzoni, composte in un ampio arco di tempo e in parte già comparse e apprezzate altrove.
Con le parole e i versi Tesele, autodidatta che crea con la penna nel tepore della “stua” di Doneà, delinea con icastica efficacia la sua visione del mondo e della vita, trasportando i lettori dai prati in fiore alle selve misteriose, dal crepuscolo che inonda le Dolomiti all'incanto di una notte stellata, dalla nostalgia alla felicità per le piccole cose, dal caldo del focolare ai ricordi di anni lontani. Sono brevi, vividi frammenti del variopinto mondo di un’autrice che ama profondamente la sua valle e la sua gente.
Nel suo ormai lungo percorso di vita, Tesele ha accumulato tante esperienze e ricordi ed ha esorcizzato i problemi e i dolori che la sorte riserva ad ognuno con poesie, prose, gioia per la vita, saggezza e bontà d’animo dimostrate in ogni gesto e in ogni parola.
Era giusto e doveroso dare una veste definitiva ai suoi componimenti, riunendoli in questo volumetto, abbellito da originali istantanee della conca d’Ampezzo. Facendoci strada con la musicalità dell'ampezzano fra alberi e cascate, montagne e neve, stelle e torrenti, l’autrice ci introduce con garbo nel suo mondo candido e quieto, pervaso di luci, colori, rumori, odori che, travolti dalla fretta del vivere, spesso non si riesce più ad ascoltare.
Anche se forse la grafia dei testi si poteva curare un po' di più, ritengo quest'opera un'interessante testimonianza della letteratura ampezzana di oggi, ed auspico che “Poesies e canzós” consegua la dovuta stima di chi saprà gustarlo.

lunedì 28 giugno 2010

Torre Quarta d'Averau, cose ... d'altri tempi

E’ una salita dolomitica le cui caratteristiche potranno sicuramente far sorridere tanti arrampicatori moderni, abituati ormai a valutare ben altre scalate in conformità a cocktail di numeri e lettere, e non più con le semplici cifre 1-6 che una volta marchiavano senza possibilità d’errore le difficoltà dell’andare in montagna. Una scalata di III grado, verticale ma su roccia ottima e lunga meno di un centinaio di metri, in un ambiente ormai palestraiolo quasi più che montano, ma un avvenimento che per me ebbe una certa importanza, per due ragioni. Uno peril fatto che domenica 7/10/1979 non avevo ancora ventun anni, e superai la via normale della Torre Quarta d’Averau con la corda nello zaino, vincendo gli arcani timori che mi accompagnavano; due, perché la via normale della penultima delle Cinque Torri è attribuita al celebre Angelo Dibona Pilato, che la scalò con l’albergatore Amadio Girardi d’Amadio in un giorno imprecisato (qualcuno dice il 7) di settembre del 1911. L’avevo già percorsa qualche volta, e poche altre volte la percorsi in seguito. Certo è che in quella giornata grigia e un po' nuvolosa d’inizio autunno, riuscii a calcare senza nessuno legato alla corda la piatta vetta, dove ancora giaceva un libretto delle salite malandato e umidiccio, che ricordo costellato anche da qualche firma illustre. Quando mi prese … il tarlo, tre veloci calate a corda doppia, ed eccomi di nuovo sotto l’ampio tetto giallo ai piedi della Torre, dove le ragazze stavano friggendo salsicce per ristorare la nostra numerosa compagnia.