La Punta del Pin, massiccia elevazione che svetta in territorio ampezzano a ridosso del confine con Dobbiaco, non ha molto da offrire ai rocciatori. Tuttavia nel 1999 l’indomito Marino Dall’Oglio vi scoprì persino una via nuova sul lato del Cadin di Croda Rossa, e l'aprì con due guide sudtirolesi: trecento metri di difficoltà classiche in un ambiente ineguagliabile. La via normale, liquidata dalla guida delle Dolomiti Orientali di Antonio Berti in quattro righe, fu salita anche dall’autore con il figlio Camillo adolescente. Essa inizia nel Cadin di Croda Rossa, noto agli sci alpinisti, al quale a sua volta si sale dall'altopiano di Pratopiazza. Per verdi e ghiaie, s’imbocca un canale di blocchi, che porta ad una forcella di cresta, vicino al grande foro, da dove appare Cimabanche. In obliquo a destra per placche e canali di roccia rotta, seguendo tracce di camosci si giunge su un’anticima e, con un passaggio un po’ esposto, in vetta. La prerogativa della Ponta, oltre a quelle consuete ed amabili delle cime fuori mano e dimenticate, è il superbo colpo d’occhio sulla parete nord dell’antistante Croda Rossa, dove s’individuano le vie di Winkler e di Innerkofler. Di fianco si scorge lo spigolo Terschak, forse mai ripetuto; in alto appare la croce di vetta e a destra, infine, spiccano le Cime Campale, visitate di rado dopo le esplorazioni di von Glanvell di fine ‘800. Il sottoscritto non poteva certo ignorare una cima fuori dei sentieri e dalle mode! Infatti, ho visitato l’ometto di vetta per sei volte. La gita sulla Ponta del Pin è piuttosto lunga, faticosa e scomoda. Il panorama, il silenzio, il mistero di quelle rocce sgretolate, la bellezza dell’anello che si compie scendendo nel Cadin di Croda Rossa, scavalcando una forcella di cresta e calando a Cimabanche per un morbido ghiaione che s’innesta in quello di Forcella Colfiedo però hanno ben pochi uguali.
Nessun commento:
Posta un commento