Cercando i luoghi alpinisticamente e turisticamente più rinomati del nostro circondario, facciamo sosta a Landro.
Termine diffuso nell’area dolomitica, “Landro” deriva dal latino “antrum” e significa ”rupe sporgente sotto la quale ci si può rifugiare, antro”. Trovandosi in Comune di Dobbiaco, quindi in area sudtirolese, il toponimo ha l’esatto omologo in “Hohlenstein”, ovvero “sasso della caverna, sasso bucato”.
Nel corso di una visita al sacello della famiglia Baur, alla quale da oltre 150 anni sono legate le vicende storico-turistiche del luogo, ho notato però che a Dobbiaco il capostipite, Josef Baur, è ricordato come “Hotelbesitzer in Landro”: quindi, curiosamente, già nell’800 anche in ambiente tirolese il luogo era identificato col toponimo italiano.
Landro è racchiuso tra il Monte Rudo e il Monte Piana da una parte, e le pendici del Picco di Vallandro dall’altra. Com’è noto, nella zona si trova un ampio lago naturale (Dűrrensee, ovvero “lago arido”), attraente soprattutto ad inizio stagione, quando si riempie di acque limpide nelle quali si riflettono le cime ancora innevate del Cristallo.
Landro è situato a 1406 m. di quota sulla Strada d’Alemagna, dopo Carbonin in direzione di Dobbiaco. Mentre però il crocevia di Carbonin assunse notorietà dal punto di vista turistico ed alpinistico solo nella seconda metà dell’800, l’insediamento di Landro vanta origini più antiche.
Già nel tardo Medioevo, infatti, vi esisteva un ricovero per i viandanti, e nel secolo XIX vi fu installata una stazione di posta dove avveniva il regolare cambio dei cavalli, l’unica lungo i trenta chilometri che separano Dobbiaco da Ampezzo.
Si è detto che l’agglomerato (formato all’inizio del 1915 da 37 edifici), sorse come stazione di posta. La strada che lo attraversava, infatti, completata nel 1830 sul tracciato di una carrareccia risalente ai tempi delle Crociate, fu dichiarata nel 1832 “Strada Imperiale”: da allora per ottant’anni fu percorsa quotidianamente da un servizio di vetture a cavalli che collegava la Val Pusteria (raggiunta dal 1871 dalla ferrovia) con Ampezzo.
Il primo Imperial-Regio Maestro di Posta, funzionario statale nominato dal Governo, di Landro fu Josef Baur (1822-1879). Fu merito del Baur e della consorte Anna Fink (1829-1897), se Landro divenne una stazione turistica, la cui fama si consolidò tra l’800 e il '900 ma fu tragicamente sepolta dalle granate della Grande Guerra.
Sull’esempio dei Ploner di Carbonin, infatti, nel 1860 il Maestro di Posta aveva edificato vicino alle stalle dei cavalli una piccola e confortevole locanda, che in seguito ingrandì e trasformò in albergo. In seguito, la gestione dell’Hotel passò ai suoi figli, Josef jr. (1856-1938), Maria (1862-1949) e Johann (1863-1900), che del grazioso borgo fecero un’animata località di soggiorno, lodata da ospiti di alto lignaggio: anche il Re Alberto dei Belgi scelse Landro come base per le vacanze estive.
I primi a descrivere Landro, seppure in termini non entusiastici, furono gli inglesi J. Gilbert e G. Churchill, che vi passarono nel 1861. Nel loro diario di viaggio “The Dolomite Mountains” (1864), essi raccontarono che, salendo da Ampezzo in Val Pusteria, dopo la ridente spianata del lago, di colpo gli ampi panorami e i pendii soleggiati cessavano, lasciando spazio ad una valle oscura e angusta, un luogo tetro che era meglio oltrepassare in fretta.
Secondo i britannici Landro, chiamato erroneamente “Hőllenthal” (Valle del-l’inferno), era circondato da montagne mostruose e il lago, “con le sue rive rinsecchite e salate, potrebbe essere la terra di Sodoma. Due corsi d’acqua vi confluiscono, ma nessuno ne esce, sicché rimane il dubbio della presenza di inghiottitoi nascosti. Gli alberi, l’erba e i muschi hanno un aspetto arido e malsano. Sui fianchi delle alture crepacci e baratri, smottamenti di terreno, tronchi d’albero pencolanti: tutto pare che stia per rovinare da un momento all’altro”.
Gilbert e Churchill concludevano l’inquietante descrizione osservando che la magnifica visuale sulle cime del Cristallo offerta da Landro annunciava con nostalgia la fine del radioso mondo dolomitico che ci si lasciava alle spalle. La narrazione, contaminata dal gusto dell’orrido caro ai romantici inglesi, naturalmente esagerava in senso letterario: in realtà, la vallata da Landro fino all’innesto con la Pusteria è lunga poco più di dieci chilometri, e, una volta a Dobbiaco, il panorama si dischiude nuovamente verso le Dolomiti e le verdi cime di confine, con straordinaria luminosità.
Nonostante i racconti disgustati dei primi visitatori, Landro si garantì in breve tempo una posizione di prestigio nel panorama dolomitico, grazie alle opportunità alpinistiche, adatte ad ogni capacità, che venivano offerte: il luogo era forse meno “à la page” di Carbonin, ma certamente più tranquillo ed appartato.
Non poteva sfuggire ai viaggiatori, infatti, che venendo da nord, proprio in corrispondenza della radura dove sorgeva il villaggio, si apre la prima magnifica finestra sulle Dolomiti: lo sbocco della Valle della Rienza, infatti, oltre la Parete del Pianoro rivela di colpo, monumentali, le Tre Cime di Lavaredo; poco più avanti poi, come accennato, la vista si espande in un celebre scenario che abbraccia il Cristallino di Misurina, il Piz Popéna e il Cristallo, soggetti da sempre di innumerevoli quadri e fotografie.
Analogamente a Carbonin, dove imperò il mitico Michl Innerkofler, nei tempi d’oro anche a Landro sostarono alcune guide a servizio degli ospiti dell’albergo: tra loro, il più noto fu Johann Innerkofler di Sesto, attivo nel ventennio 1888-1905.
A lui sono attribuite 24 nuove vie nei gruppi dell’Antelao, Bosconero, Cristallo, Popéra, Tre Scarperi ma soprattutto nei Cadini di Misurina. La più ardita rimane forse la parete O della Punta dei Tre Scarperi, compiuta l'1/8/1888 con S. Zilzer, R. H. Schmitt e l'ampezzano Pietro Dimai.
La fortuna di Landro ebbe fine nel 1915: nelle adiacenze del villaggio, infatti, già alla fine dell’800 gli Austriaci – intuendo il valore strategico della posizione - avevano edificato due forti, a sbarramento della valle e a difesa della Pusteria. Venutosi a trovare proprio a cavallo della linea del fronte italiano, già nei primi giorni di guerra il Forte “Basso” fu raso al suolo, mentre i pezzi che lo armavano furono spostati nelle vicinanze, in appoggio alle operazioni sul Monte Piana.
Tutti gli edifici furono sistematicamente incendiati: rimasero in piedi soltanto la chiesetta sul bordo della strada e il Forte “Alto”, considerato obsoleto come opera fortificata ma usato per ospitarvi il comando operativo delle artiglierie di Monte Rudo. Entrambe le strutture sono ancora visitabili nella loro malinconica solitudine.
Per lunghi anni Landro è stato poco valorizzato dal punto di vista turistico, pur essendo stato inserito nel Parco Naturale delle Dolomiti di Sesto. Oltre venti anni fa, nel luogo dove sorgeva l’antica casa di Josef Baur, proprio al cospetto del versante nord delle Tre Cime di Lavaredo, è stato edificato l’Hotel Residence Tre Cime.
Il Ristoro “Alpenflora” sulle rive del lago al cospetto del versante del Monte Piana, alla fine degli anni '90 è stato ristrutturato e ammodernato, divenendo un elegante e accogliente bar-ristorante.
Entrambi forniscono un’ottima base d’appoggio a gite e salite per tutti i gusti e le possibilità: dalla camminata verso le sorgenti della Rienza alla salita sul Teston di Monte Rudo, dove occorre pratica di roccette e sentieri non sempre agevoli.
Citiamo la salita al Rifugio A. Locatelli alle Tre Cime per la Val Rienza, classica via d’accesso e rifornimento fin dalla costruzione dell’edificio; l’ascensione al Monte Piana per il “Sentiero dei Pionieri”, costruito prima della Grande Guerra per accedere alla strategica cima, o per il “Sentiero dei Turisti”, via comunemente seguita dalle guide e dai primi alpinisti per giungere in vetta; la salita al Teston di Monte Rudo, inespugnabile fortezza austriaca dalla quale s’intese contrastare la minaccia italiana costituita dal Monte Piana; la traversata del Passo Grande dei Rondoi, anch’esso fortemente presidiato in guerra; la traversata della solitaria Forcella dei Baranci, l’accesso per Val Chiara al Monte Specie.
Per le altre possibilità, rimandiamo alla bibliografia specializzata: qui vogliamo solo far notare che tutti gli itinerari che gravitano su Landro sono accomunati, oltre che dalle bellezze dei paesaggi, da ingenti testimonianze delle aspre e sanguinose battaglie che su di essi si compirono nella Grande Guerra.
Ripercorrerli oggi, in tempo di pace, dovrebbe servire a far comprendere il più inverosimile evento di cui le Dolomiti sono state spettatrici e le cruente pagine di storia scritte sulle nostre montagne.
Termine diffuso nell’area dolomitica, “Landro” deriva dal latino “antrum” e significa ”rupe sporgente sotto la quale ci si può rifugiare, antro”. Trovandosi in Comune di Dobbiaco, quindi in area sudtirolese, il toponimo ha l’esatto omologo in “Hohlenstein”, ovvero “sasso della caverna, sasso bucato”.
Nel corso di una visita al sacello della famiglia Baur, alla quale da oltre 150 anni sono legate le vicende storico-turistiche del luogo, ho notato però che a Dobbiaco il capostipite, Josef Baur, è ricordato come “Hotelbesitzer in Landro”: quindi, curiosamente, già nell’800 anche in ambiente tirolese il luogo era identificato col toponimo italiano.
Landro è racchiuso tra il Monte Rudo e il Monte Piana da una parte, e le pendici del Picco di Vallandro dall’altra. Com’è noto, nella zona si trova un ampio lago naturale (Dűrrensee, ovvero “lago arido”), attraente soprattutto ad inizio stagione, quando si riempie di acque limpide nelle quali si riflettono le cime ancora innevate del Cristallo.
Landro è situato a 1406 m. di quota sulla Strada d’Alemagna, dopo Carbonin in direzione di Dobbiaco. Mentre però il crocevia di Carbonin assunse notorietà dal punto di vista turistico ed alpinistico solo nella seconda metà dell’800, l’insediamento di Landro vanta origini più antiche.
Già nel tardo Medioevo, infatti, vi esisteva un ricovero per i viandanti, e nel secolo XIX vi fu installata una stazione di posta dove avveniva il regolare cambio dei cavalli, l’unica lungo i trenta chilometri che separano Dobbiaco da Ampezzo.
Si è detto che l’agglomerato (formato all’inizio del 1915 da 37 edifici), sorse come stazione di posta. La strada che lo attraversava, infatti, completata nel 1830 sul tracciato di una carrareccia risalente ai tempi delle Crociate, fu dichiarata nel 1832 “Strada Imperiale”: da allora per ottant’anni fu percorsa quotidianamente da un servizio di vetture a cavalli che collegava la Val Pusteria (raggiunta dal 1871 dalla ferrovia) con Ampezzo.
Il primo Imperial-Regio Maestro di Posta, funzionario statale nominato dal Governo, di Landro fu Josef Baur (1822-1879). Fu merito del Baur e della consorte Anna Fink (1829-1897), se Landro divenne una stazione turistica, la cui fama si consolidò tra l’800 e il '900 ma fu tragicamente sepolta dalle granate della Grande Guerra.
Sull’esempio dei Ploner di Carbonin, infatti, nel 1860 il Maestro di Posta aveva edificato vicino alle stalle dei cavalli una piccola e confortevole locanda, che in seguito ingrandì e trasformò in albergo. In seguito, la gestione dell’Hotel passò ai suoi figli, Josef jr. (1856-1938), Maria (1862-1949) e Johann (1863-1900), che del grazioso borgo fecero un’animata località di soggiorno, lodata da ospiti di alto lignaggio: anche il Re Alberto dei Belgi scelse Landro come base per le vacanze estive.
I primi a descrivere Landro, seppure in termini non entusiastici, furono gli inglesi J. Gilbert e G. Churchill, che vi passarono nel 1861. Nel loro diario di viaggio “The Dolomite Mountains” (1864), essi raccontarono che, salendo da Ampezzo in Val Pusteria, dopo la ridente spianata del lago, di colpo gli ampi panorami e i pendii soleggiati cessavano, lasciando spazio ad una valle oscura e angusta, un luogo tetro che era meglio oltrepassare in fretta.
Secondo i britannici Landro, chiamato erroneamente “Hőllenthal” (Valle del-l’inferno), era circondato da montagne mostruose e il lago, “con le sue rive rinsecchite e salate, potrebbe essere la terra di Sodoma. Due corsi d’acqua vi confluiscono, ma nessuno ne esce, sicché rimane il dubbio della presenza di inghiottitoi nascosti. Gli alberi, l’erba e i muschi hanno un aspetto arido e malsano. Sui fianchi delle alture crepacci e baratri, smottamenti di terreno, tronchi d’albero pencolanti: tutto pare che stia per rovinare da un momento all’altro”.
Gilbert e Churchill concludevano l’inquietante descrizione osservando che la magnifica visuale sulle cime del Cristallo offerta da Landro annunciava con nostalgia la fine del radioso mondo dolomitico che ci si lasciava alle spalle. La narrazione, contaminata dal gusto dell’orrido caro ai romantici inglesi, naturalmente esagerava in senso letterario: in realtà, la vallata da Landro fino all’innesto con la Pusteria è lunga poco più di dieci chilometri, e, una volta a Dobbiaco, il panorama si dischiude nuovamente verso le Dolomiti e le verdi cime di confine, con straordinaria luminosità.
Nonostante i racconti disgustati dei primi visitatori, Landro si garantì in breve tempo una posizione di prestigio nel panorama dolomitico, grazie alle opportunità alpinistiche, adatte ad ogni capacità, che venivano offerte: il luogo era forse meno “à la page” di Carbonin, ma certamente più tranquillo ed appartato.
Non poteva sfuggire ai viaggiatori, infatti, che venendo da nord, proprio in corrispondenza della radura dove sorgeva il villaggio, si apre la prima magnifica finestra sulle Dolomiti: lo sbocco della Valle della Rienza, infatti, oltre la Parete del Pianoro rivela di colpo, monumentali, le Tre Cime di Lavaredo; poco più avanti poi, come accennato, la vista si espande in un celebre scenario che abbraccia il Cristallino di Misurina, il Piz Popéna e il Cristallo, soggetti da sempre di innumerevoli quadri e fotografie.
Analogamente a Carbonin, dove imperò il mitico Michl Innerkofler, nei tempi d’oro anche a Landro sostarono alcune guide a servizio degli ospiti dell’albergo: tra loro, il più noto fu Johann Innerkofler di Sesto, attivo nel ventennio 1888-1905.
A lui sono attribuite 24 nuove vie nei gruppi dell’Antelao, Bosconero, Cristallo, Popéra, Tre Scarperi ma soprattutto nei Cadini di Misurina. La più ardita rimane forse la parete O della Punta dei Tre Scarperi, compiuta l'1/8/1888 con S. Zilzer, R. H. Schmitt e l'ampezzano Pietro Dimai.
La fortuna di Landro ebbe fine nel 1915: nelle adiacenze del villaggio, infatti, già alla fine dell’800 gli Austriaci – intuendo il valore strategico della posizione - avevano edificato due forti, a sbarramento della valle e a difesa della Pusteria. Venutosi a trovare proprio a cavallo della linea del fronte italiano, già nei primi giorni di guerra il Forte “Basso” fu raso al suolo, mentre i pezzi che lo armavano furono spostati nelle vicinanze, in appoggio alle operazioni sul Monte Piana.
Tutti gli edifici furono sistematicamente incendiati: rimasero in piedi soltanto la chiesetta sul bordo della strada e il Forte “Alto”, considerato obsoleto come opera fortificata ma usato per ospitarvi il comando operativo delle artiglierie di Monte Rudo. Entrambe le strutture sono ancora visitabili nella loro malinconica solitudine.
Per lunghi anni Landro è stato poco valorizzato dal punto di vista turistico, pur essendo stato inserito nel Parco Naturale delle Dolomiti di Sesto. Oltre venti anni fa, nel luogo dove sorgeva l’antica casa di Josef Baur, proprio al cospetto del versante nord delle Tre Cime di Lavaredo, è stato edificato l’Hotel Residence Tre Cime.
Il Ristoro “Alpenflora” sulle rive del lago al cospetto del versante del Monte Piana, alla fine degli anni '90 è stato ristrutturato e ammodernato, divenendo un elegante e accogliente bar-ristorante.
Entrambi forniscono un’ottima base d’appoggio a gite e salite per tutti i gusti e le possibilità: dalla camminata verso le sorgenti della Rienza alla salita sul Teston di Monte Rudo, dove occorre pratica di roccette e sentieri non sempre agevoli.
Citiamo la salita al Rifugio A. Locatelli alle Tre Cime per la Val Rienza, classica via d’accesso e rifornimento fin dalla costruzione dell’edificio; l’ascensione al Monte Piana per il “Sentiero dei Pionieri”, costruito prima della Grande Guerra per accedere alla strategica cima, o per il “Sentiero dei Turisti”, via comunemente seguita dalle guide e dai primi alpinisti per giungere in vetta; la salita al Teston di Monte Rudo, inespugnabile fortezza austriaca dalla quale s’intese contrastare la minaccia italiana costituita dal Monte Piana; la traversata del Passo Grande dei Rondoi, anch’esso fortemente presidiato in guerra; la traversata della solitaria Forcella dei Baranci, l’accesso per Val Chiara al Monte Specie.
Per le altre possibilità, rimandiamo alla bibliografia specializzata: qui vogliamo solo far notare che tutti gli itinerari che gravitano su Landro sono accomunati, oltre che dalle bellezze dei paesaggi, da ingenti testimonianze delle aspre e sanguinose battaglie che su di essi si compirono nella Grande Guerra.
Ripercorrerli oggi, in tempo di pace, dovrebbe servire a far comprendere il più inverosimile evento di cui le Dolomiti sono state spettatrici e le cruente pagine di storia scritte sulle nostre montagne.
Nessun commento:
Posta un commento