Per mezzo dell'ingegner Marino Dall’Oglio, indagatore indomito e curioso dei segreti dell’alpinismo dolomitico, nel 2004 feci la conoscenza di un rocciatore, che mi ricordò subito i pionieri dell’Ottocento: Edy Gutwenger, pusterese di Villabassa.
Edy non è un professionista della montagna, ma probabilmente avrebbe tutti i titoli per esserlo.
Ha tra i quaranta e i cinquant’anni, in gioventù ha fatto il pastore presso le malghe Stolla presso Pratopiazza e Pozzo, ai piedi del Monte Lungo di Braies: insofferente delle inquietudini che sempre più serpeggiano nelle valli, si è sollevato e oggi s’inerpica sui campanili delle chiese per restaurarli.
Edy non è un professionista della montagna, ma probabilmente avrebbe tutti i titoli per esserlo.
Ha tra i quaranta e i cinquant’anni, in gioventù ha fatto il pastore presso le malghe Stolla presso Pratopiazza e Pozzo, ai piedi del Monte Lungo di Braies: insofferente delle inquietudini che sempre più serpeggiano nelle valli, si è sollevato e oggi s’inerpica sui campanili delle chiese per restaurarli.
Ha una profonda passione per la montagna autentica, selvaggia e faticosa, e la vive sia d’estate sia d’inverno. Raccontava che qualche volta, alle tre di notte, è già in alto, da solo, verso le cime che ama: fino all'estate 2004 era giunto 32 volte in vetta alla Croda Rossa d’Ampezzo, che lui chiama confidenzialmente “Gaisl”.
Ritengo che, trattandosi di una cima piuttosto selettiva, per un dilettante, che arrampica sovente da solo, sia un risultato più che pregevole.
Edy ha scandagliato la mitica “Rossa” dai vari versanti, prediligendo in ogni modo l’orientale, frequentato soprattutto dai sudtirolesi.
Qualche anno fa tentò la seconda salita della sua cresta S, che domina Forcella Colfiedo e fu superata per la prima volta da Fritz Terschak ed Hermann Kees il 4/8/1913, ma ritenne saggio ritirarsi, non avendo incontrato difficoltà estreme ma tratti paurosamente friabili e pericolosi ed un violento temporale che azzerò le velleità residue.
Come gran parte degli alpinisti sudtirolesi, ignora e non usa la guida delle Dolomiti Orientali di Antonio Berti e la mole di suggerimenti storici ed alpinistici che traluce da quelle pagine, ma padroneggia lo stesso a menadito la giogaia montuosa che circonda Villabassa e Braies.
Al nostro incontro all’Hotel Menardi, portò con sé un documento curioso, un reperto che dopo cinquantacinque anni l’amico Marino attendeva di rivedere con interesse e un pizzico di emozione.
Si trattava di una scatoletta consunta ed arrugginita, contenente un mozzicone di matita e due bigliettini consunti e ormai poco leggibili, uno lasciato dal primo salitore e un altro riportante i nomi dei primi e secondi ripetitori della Guglia del Bastone (Elslerturm).
E’ questa un’esile guglia con una forma al limite dell’imbarazzante: quotata 2450 m circa, appartiene al Castello Glanvell (la maggiore dorsale protesa a settentrione dalla Forcella del Picco, che la separa dal Picco di Vallandro), e si nota bene dal piazzale antistante il Rifugio Pratopiazza.
Il suo primo salitore, Engelbert Elsler, svolgeva le mansioni di guardiano nel vivaio dei signori Wild a Ponticello. Il 22/7/1935, con l’avvocato milanese Carlo Sarteschi, in sette ore aveva compiuto la prima discesa dell’orrida cresta nord-ovest della Croda Rossa d’Ampezzo.
Dopo aver effettuato alcune ricognizioni nella zona, il 9/8/1936 riuscì a raggiungere da solo la vetta della guglia inviolata, abbandonandovi il legno che aveva trascinato fin lassù, e che le valse poi il nome italiano.
La guida “Fűhrer durch die Pragser Dolomiten” di Don Anton Schwingshackl non menziona la guglia in questione: l’unico riferimento bibliografico disponibile in merito rimane quindi il volume di Berti, che attinse notizie “fresche” da Marino Dall’Oglio.
Sono 90 metri di III con un passaggio più impegnativo, che dopo Elsler attesero tredici anni prima di essere superati nuovamente, per merito di Dall’Oglio e Renzo Consiglio nell’agosto 1949.
I terzi salitori furono Ferdinand Mair di Braies, che ha gestito per molti anni il Rifugio Vallandro ai piedi dell’omonimo Picco, e due suoi paesani, nell’agosto 1959.
Prima della II Guerra Mondiale, Engelbert Elsler – che oggi avrebbe centosei anni - scelse il Terzo Reich, concludendo la carriera alpinistica e stabilendosi a Kufstein, dove scomparve.
In questi anni, Edy Gutwenger è salito sulla remota guglia molte volte, da solo e in compagnia, ma ha ritrovato la preziosa scatoletta, infilata in una fessura a pochi metri dall’angusta vetta (dove c’è a malapena posto per due …), soltanto durante la salita del luglio 2004.
A suo giudizio, l’Elslerturm (così è conosciuta la guglia nell’ambiente alpinistico tedesco) potrebbe diventare una scalata classica. Non è molto lunga, ha difficoltà medie, sorge in un circondario selvaggio e solitario, ma ha un difetto: purtroppo, non fa parte delle arcinote e quasi consumate Torri d’Averau (alla cui Torre Lusy potrebbe essere avvicinata), di quelle di Falzarego o di quelle del Sella!
Solo per giungere all’attacco, infatti, da Pratopiazza bisogna scarpinare verso nord almeno un’ora e mezza attraverso prati e ghiaioni; la roccia non dev’essere saldissima, il nome della guglia e il gruppo al quale essa appartiene non rientrano fra i preferiti dai rocciatori.
Così Edy Gutwenger, alpinista “old style” di Villa Bassa, indefesso corteggiatore di una delle più belle e severe crode delle Dolomiti, rimane uno fra i pochi a godere la solitudine dell’Elslerturm; l’unica via che fino ad ora raggiunge la sua “esilissima aerea vetta”; la testimonianza materiale delle prime ascensioni, della cui scoperta si dimostra fiero e che ha fornito un comodo spunto per quest’articolo.
Ritengo che, trattandosi di una cima piuttosto selettiva, per un dilettante, che arrampica sovente da solo, sia un risultato più che pregevole.
Edy ha scandagliato la mitica “Rossa” dai vari versanti, prediligendo in ogni modo l’orientale, frequentato soprattutto dai sudtirolesi.
Qualche anno fa tentò la seconda salita della sua cresta S, che domina Forcella Colfiedo e fu superata per la prima volta da Fritz Terschak ed Hermann Kees il 4/8/1913, ma ritenne saggio ritirarsi, non avendo incontrato difficoltà estreme ma tratti paurosamente friabili e pericolosi ed un violento temporale che azzerò le velleità residue.
Come gran parte degli alpinisti sudtirolesi, ignora e non usa la guida delle Dolomiti Orientali di Antonio Berti e la mole di suggerimenti storici ed alpinistici che traluce da quelle pagine, ma padroneggia lo stesso a menadito la giogaia montuosa che circonda Villabassa e Braies.
Al nostro incontro all’Hotel Menardi, portò con sé un documento curioso, un reperto che dopo cinquantacinque anni l’amico Marino attendeva di rivedere con interesse e un pizzico di emozione.
Si trattava di una scatoletta consunta ed arrugginita, contenente un mozzicone di matita e due bigliettini consunti e ormai poco leggibili, uno lasciato dal primo salitore e un altro riportante i nomi dei primi e secondi ripetitori della Guglia del Bastone (Elslerturm).
E’ questa un’esile guglia con una forma al limite dell’imbarazzante: quotata 2450 m circa, appartiene al Castello Glanvell (la maggiore dorsale protesa a settentrione dalla Forcella del Picco, che la separa dal Picco di Vallandro), e si nota bene dal piazzale antistante il Rifugio Pratopiazza.
Il suo primo salitore, Engelbert Elsler, svolgeva le mansioni di guardiano nel vivaio dei signori Wild a Ponticello. Il 22/7/1935, con l’avvocato milanese Carlo Sarteschi, in sette ore aveva compiuto la prima discesa dell’orrida cresta nord-ovest della Croda Rossa d’Ampezzo.
Dopo aver effettuato alcune ricognizioni nella zona, il 9/8/1936 riuscì a raggiungere da solo la vetta della guglia inviolata, abbandonandovi il legno che aveva trascinato fin lassù, e che le valse poi il nome italiano.
La guida “Fűhrer durch die Pragser Dolomiten” di Don Anton Schwingshackl non menziona la guglia in questione: l’unico riferimento bibliografico disponibile in merito rimane quindi il volume di Berti, che attinse notizie “fresche” da Marino Dall’Oglio.
Sono 90 metri di III con un passaggio più impegnativo, che dopo Elsler attesero tredici anni prima di essere superati nuovamente, per merito di Dall’Oglio e Renzo Consiglio nell’agosto 1949.
I terzi salitori furono Ferdinand Mair di Braies, che ha gestito per molti anni il Rifugio Vallandro ai piedi dell’omonimo Picco, e due suoi paesani, nell’agosto 1959.
Prima della II Guerra Mondiale, Engelbert Elsler – che oggi avrebbe centosei anni - scelse il Terzo Reich, concludendo la carriera alpinistica e stabilendosi a Kufstein, dove scomparve.
In questi anni, Edy Gutwenger è salito sulla remota guglia molte volte, da solo e in compagnia, ma ha ritrovato la preziosa scatoletta, infilata in una fessura a pochi metri dall’angusta vetta (dove c’è a malapena posto per due …), soltanto durante la salita del luglio 2004.
A suo giudizio, l’Elslerturm (così è conosciuta la guglia nell’ambiente alpinistico tedesco) potrebbe diventare una scalata classica. Non è molto lunga, ha difficoltà medie, sorge in un circondario selvaggio e solitario, ma ha un difetto: purtroppo, non fa parte delle arcinote e quasi consumate Torri d’Averau (alla cui Torre Lusy potrebbe essere avvicinata), di quelle di Falzarego o di quelle del Sella!
Solo per giungere all’attacco, infatti, da Pratopiazza bisogna scarpinare verso nord almeno un’ora e mezza attraverso prati e ghiaioni; la roccia non dev’essere saldissima, il nome della guglia e il gruppo al quale essa appartiene non rientrano fra i preferiti dai rocciatori.
Così Edy Gutwenger, alpinista “old style” di Villa Bassa, indefesso corteggiatore di una delle più belle e severe crode delle Dolomiti, rimane uno fra i pochi a godere la solitudine dell’Elslerturm; l’unica via che fino ad ora raggiunge la sua “esilissima aerea vetta”; la testimonianza materiale delle prime ascensioni, della cui scoperta si dimostra fiero e che ha fornito un comodo spunto per quest’articolo.
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