La Punta della Croce, seconda delle tre sommità che formano la porzione più a O della dorsale del Pomagagnon, fino all'ultimo decennio del XIX secolo non si chiamava sicuramente così. Il nome, infatti, deriva da una croce di legno, portata in vetta dalla guida Giuseppe Ghedina Tomasc, poi misteriosamente caduto dalla vetta del Nuvolau il giorno dell'apertura del rifugio omonimo, 11 agosto 1883. Non si sa però quando e perché Ghedina abbia portato una croce su questo poco rilevante rialzo della cresta: poco rilevante, peraltro, solo se lo si guarda dal lato N, dove si adagia con uno schienale detritico cosparso di zolle erbose sui suggestivi Prati del Pomagagnon. Sul versante opposto, verso la valle d'Ampezzo, la Punta dispiega una parete rocciosa, spaccata a metà da una grande fessura, che - per quanto non tutta verticale - raggiunge la considerevole altezza di seicento metri. Pur contando su alcune vie alpinistiche, fra le quali la "Classica" del 1900, la Punta non ha mai avuto grande rinomanza, al pari delle sue vicine Punta Fiames e Campanile Dimai. Anche la salita più facile, che richiede meno di mezz'ora da Forcella Pomagagnon e non presenta eccessivi problemi, non creda riscuota eccessivi entusiasmi negli alpinisti. Perché dovrebbe piacermi? Perché, una volta giunto in vetta, mi basta guardare la prospiciente Punta Fiames, in genere popolata di ferratisti e scalatori dalla primavera all'autunno avanzato, per rendermi conto del fatto che la Punta della Croce è disertata, ma tranquilla.
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