Nel 2006, un’encomiabile operazione di restauro attuata dalla squadra della guida alpina Armando Dallago, riportava all’attenzione di coloro che camminano nella natura soprattutto per goderne la grandezza, un sentiero che ultimamente sembrava cadere nell’oblio: il n. 443, dal Passo Giau al Rifugio Cinque Torri. La sistemazione fu resa possibile grazie alla magnanima donazione alle Regole d’Ampezzo, disposta per legato da una giovane immaturamente scomparsa, che ha inteso lasciare memoria di sé fra le amate crode ampezzane. E’ nato così il Percorso naturalistico “Cinque Torri Passo Giau” o Sentiero “Francesca Brusarosco”. L’itinerario, articolato in due anelli di lunghezza differente in base all’idoneità e alle esigenze degli utenti, ha trovato poi naturale complemento e divulgazione in un ottimo fascicolo di 80 pagine, ricco d’incantevoli immagini del recesso in questione, curato da Stefanella Caldara e edito dal Parco Naturale delle Dolomiti d’Ampezzo per i tipi della Tipografia Print House. Il libretto, compilato a dieci mani, ognuno per quanto di competenza, da Angela Alberti (storia), Michele Cassol (fauna), Michele Da Pozzo (flora), Cesare Lasen (vegetazione), Chiara Siorpaes (geologia), fornisce un’immagine esaustiva e seducente delle cospicue peculiarità naturalistiche e culturali che emergono, solo ad una più attenta lettura, dal territorio montano. Nel caso di specie, si tratta della plaga, ancora piuttosto integra, che si allunga fra i pascoli di Giau, in Comune di San Vito di Cadore, e la zona di Potor e Naerou, nota da più di un secolo a “touristi” e rocciatori per le innumeri possibilità di scalate offerte dalle bizzarre Cinque Torri. Grazie ai perspicaci interventi dei collaboratori e alle fotografie, molte delle quali assolutamente inedite dal punto di vista prospettico, si disegna così, con estrema accuratezza, una porzione d’ambiente dolomitico ricca di peculiarità, sotto e sopra il piano di calpestio. In anni di vagabondaggi, quante volte abbiamo percorso il sentiero che cinge la misteriosa zona del Forame, in uno o nell’altro verso? Quante volte ci siamo attardati, anche a sera, a spiare le marmotte nei pressi del Ru de Sora? Quante volte siamo saliti sul friabile Bèco de ra Marogna, buttando l’occhio a 360 gradi e chiedendoci come si chiama quella valle o piuttosto quel bosco? Quante volte ci siamo domandati perché esistono (e oggi, anche, tristemente cadono) le Torri d’Averau, teatro di tanti esercizi giovanili di scalata? Grazie alla generosità di Francesca Brusarosco, ai superbi lavori di Armando e soci e a questo ben documentato volumetto, che abbiamo scorso con soddisfazione, potremo dare qualche risposta alle nostre curiosità. Un’unica cosa, salvo il sacro, ci sia permesso di annotare, terminando quest’anomala recensione. Non vorremmo che, per denaro o meno, nel prossimo futuro la conca d’Ampezzo brulicasse di sentieri, luoghi od altri frammenti d’ambiente, intitolati a pur emeriti mecenati. Altrimenti, che dovremmo dire delle generazioni di “britères”, cacciatori, contadini, guide alpine, legnaioli, pastori e tanti altri che intrisero l’ambiente di sudore, lacrime e sangue, divulgandone la conoscenza in punta di piedi, per consegnarci oggi la stupenda realtà nella quale viviamo?
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