Sulla parete orientale del Col Rosà, che domina la piana di Fiames poco lontano da Cortina, s’innalza una strana guglia, alta appena cento metri e che da sempre mi pare avvolta da un oscuro fascino. Non si lascia vedere in ogni momento e da tutti: emerge nitida a chi ci sale abbastanza vicino, dai tornanti più elevati della mulattiera di guerra che dal Pian de ra Spines conduce al Passo Posporcora, fra Fiames e la Val Travenanzes. Oppure, in condizioni di luce favorevoli, la guglia – denominata Campanile Rosà e quotata 2050 metri - si riconosce poiché proietta sulla parete retrostante la sua ombra sottile, degna di uno schizzo di Paul Klee. L’estate prossima sarà trascorso un secolo esatto dalla prima ascensione di quel misconosciuto campanile dolomitico, soggiogato il 17 agosto 1910 dalle guide alpine Angelo Dibona (all’epoca trentunenne, già avviato ad una lunga e mirabile carriera) e Celestino de Zanna (classe 1877, che finì disperso con il fratello sul fronte della Galizia durante la Grande Guerra), con l’albergatore Amadeo Girardi e il medico Leopoldo Paolazzi. Due decenni più tardi, il 13 settembre 1931, i mantovani Piero Dallamano e Renato Ghirardini tracciarono un altro itinerario sul tagliente spigolo sud, e infine nell’agosto 1941 le guide Giuseppe Dimai e Celso Degasper, coi fratelli Giancarlo e Gherardo Melloni, raddrizzarono la via originaria con una breve variante. Nel corso del Novecento, il Campanile Rosà ha mietuto anche alcune vittime, cadute dalle sue rocce a tratti malsicure. Il primo fu Cleto Verocai, forse l’unico ampezzano arruolatosi nella Marina, che precipitò nell’estate 1924 per la rottura di un cordino, mentre tentava di salire da solo. Molto a malincuore, devo ammettere di non avere mai raggiunto quella cima misteriosa. Un tentativo, a dire il vero, lo sferrai con alcuni amici oltre trent’anni fa, sbagliando anche il versante di salita: fortunosamente, un improvviso temporale ci rispedì a casa indenni. In ogni caso, pur non avendo provato la soddisfazione di calcare l’angusta sommità, sulla quale dovrebbe esserci ancora uno dei rari chiodi piantati da Dibona in mezzo secolo d’alpinismo, ho almeno curiosato intorno alla base, conficcata nel canale ghiaioso, dove occhieggia qualche resto di guerra, che solca il versante est del Col Rosà. Ammiro e fotografo sempre il Campanile, ogni volta che mi accade di scendere a Fiames da Posporcora. A metà della mulattiera che rimonta la boscosa Val Fiorenza, volgendosi indietro, la visione fra gli alberi di questa guglia appuntita come una sciabola, solitaria e - dopo un secolo dalla conquista - dimenticata dagli uomini, merita la gita.
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