Qualcuno forse ha ancora memoria del "Péar", che svolse una buona attività alpinistica, e il cui nome è citato nel “Libro d’oro delle Dolomiti”. Il "Péar", dal soprannome di famiglia che significa “pepe” e richiama una persona frizzante ed energica, si chiamava Isidoro Siorpaes (1883-1958). Il suo ciclo d’attività in montagna occupò l’immediato primo dopoguerra, protraendosi lungo gli anni ’20. Nelle fonti, il suo nome ricorre almeno tre volte. La prima esattamente 91 anni fa, il 10/8/1919, quando - con Federico Terschak, rientrato da poco dalla triste esperienza della guerra - salì la Punta Nera per la cresta S, partendo da Dogana Vecchia, ex confine di Stato. Sette ore tra mughi, ghiaie e roccia friabile, uno sbalzo di oltre 1700 metri dal confine, una “arrampicata lunga e faticosa” (Berti), che forse nessuno ha mai ripreso. La seconda segue di un anno: il 9/9/1920, con Terschak, Angelo Dibona e Giulio Apollonio, Siorpaes si aggiudicò la prima salita italiana del dopoguerra della Via Eötvös sulla parete S della Tofana di Rozes, all’epoca un’impresa di un certo spessore. La terza: ho trovato da poco la notizia che il 29/10/1920 Siorpaes e Terschak, seguiti da Gianangelo Sperti e Agostino Cancider, compirono la seconda salita e prima italiana senza guide della via di Angelo Dibona, Celestino de Zanna, Amedeo_Girardi e Leopoldo Paolazzi sul Campanile Rosà, a E del Colle omonimo, tracciata il 17/10/1910. Si trattò di una via breve ma aerea e impegnativa, ripetuta spesso negli anni seguenti ma poi caduta nell'oblio. Mi sfugge il luogo esatto, ma da qualche parte si legge che Siorpaes avrebbe svolto il mestiere di guida: con sufficiente certezza non lo fece ufficialmente, anche se forse le sue capacità e la sua esperienza ne avrebbero fatto un valido maestro. Come ho detto, il suo nome fa parte del “Libro d’oro delle Dolomiti”, il dizionario di date, cime e personaggi dell'alpinismo dolomitico compilato da Severino Casara, che documenta la storia delle nostre montagne. In un momento poco adatto all’esplorazione (nel 1919 la gente aveva altro cui pensare), su una cima negletta, il Péar e Terschak scoprirono un percorso tra i più lunghi delle Dolomiti che non è divenuto classico, ma serve a ricordarli nella storia ampezzana.
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