Tra Fraina e Mandres, lungo il sentiero che si snoda ai piedi del Mondeciasadió (antichissimo ed evocativo nome dell’odierno, asettico complesso di Faloria), oltre il prato di Ranpognei, lo sguardo dell’escursionista sarà sicuramente calamitato dalla rossastra parete basale del monte. Nel centro di essa emerge una spaccatura della dolomia, un rettangolo ben squadrato, quasi un ciclopico portale. E’ la “Porta del Dio Silvano”, un luogo di culto precristiano, obiettivo turistico di un certo interesse nell’Ottocento, oggi poco conosciuto ed ancor meno frequentato. Il luogo si raggiunge, con difficoltà divenute ormai quasi alpinistiche per il terreno scosceso e franoso, lasciando a destra il sentiero di Mandres in corrispondenza di un solitario blocco cubico. In salita, spiccano ancora qua e là bolli di vernice dipinti tanto tempo fa, ma il sentiero vero e proprio sta scomparendo, e salire alla Porta - alla base della quale un’angusta cornice visibilmente utilizzata dagli ungulati consente una sosta panoramica e meditativa - mi pare quasi diventato un problema. E’ un peccato, per varie ragioni: nel periodo dell’esplorazione dolomitica, la Porta era compresa negli itinerari delle guide , che vi portavano i clienti smaniosi di provare il brivido dell’avventura; la Porta è un luogo misterioso che accende la fantasia; la zona emana un fluido quasi magico, che l’abbandono contribuisce solo ad accentuare. Mentre vi salivamo, in un livido pomeriggio novembrino di qualche anno fa, in tutto il circondario avvistammo soltanto due camosci che, intimiditi dalla nostra comparsa, in un secondo scomparvero fra gli alberi. Una volta, avevo lanciato l’idea di restaurare almeno in parte la via d’accesso: è rimasta soltanto un’intenzione, ma penso che una volta o l’altra un ripristino minimale dovrà essere ideato. In caso contrario, considerato il rapido degrado del pendio basale, credo che fra non molto la Porta, utilizzata dal Dio Silvano per accedere al suo reame, potrebbe non aprirsi più.
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