Cresta di Val d’Inferno: una serie di guglie e spuntoni dal nome poco gentile, che divide Carnia e Cadore e s’inserisce nell’isolata giogaia dei Brentoni-Castellati. Cime fuori mano, spesso friabili, angoli romiti dove c’è sempre qualcosa da scoprire: questo è la Cresta, un ambiente romantico. Dalla cresta emerge il secondo Torrione, piccolo ma elegante, che guarda Forcella Camporosso e i boschi della Val Frison. Lungo lo spigolo S sale una via, fra le più consigliate del gruppo, che percorsi per la prima volta un quarto di secolo fa, il 27/10/1985. Era stata aperta nel 1938 da due fuoriclasse, Castiglioni e Detassis, che stavano girando le Alpi Carniche in vista dell’edizione dell’omonima guida. La via offre poco di succulento dal punto di vista dell’arrampicata, ma presenta alcuni pregi che la rendono molto apprezzabile da chi ama un certo alpinismo. Mi piacque salire nel fresco del mattino verso lo spigolo, dalla strada di Razzo per Forcella Losco, Camporosso e i pendii di erba e ghiaia sotto il Torrione. Il panorama che godevamo era insolito e originale: Carniche, Giulie e Dolomiti si proponevano in un avvicendarsi di piani diversi, che avrebbe colpito anche l’osservatore più distratto. Tutto era silenzio; in autunno, il periodo migliore per conoscere i Brentoni, nella zona regna indisturbata la quiete. Mi piacque salire la via godendo ogni passaggio, né duro né banale: una rampa, paretine sullo spigolo, un diedro liscio, una cresta finale esposta. Mi piacque riposare al sole in vetta, guardando le crode intorno a noi, nitidissime in una giornata di sogno. Scendemmo per la via normale soddisfatti, fra ripidi salti e cenge solcate dai camosci, avvicinandoci alla valle che si preparava al riposo e lasciando la solitudine dell’altopiano. Valeva una visita, il secondo Torrione della Cresta di Val d’Inferno. Spero che chi ripete quella via lo faccia quasi sottovoce, per mantenere l’incanto che resiste tra quelle montagne. Ne sarà ampiamente ricompensato.
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