Ricordo esattamente il giorno: era il 16/2/1981, e con Enrico stavamo completando le corde doppie nella discesa verso la “terrazza” della Torre Grande d'Averau, dopo aver superato in invernale la Via delle Guide sulla Cima W, che all'epoca ripetevamo abbastanza spesso. Non pensavamo certamente che, in quella bella domenica d'inverno, sulle rocce della Torre Grande si aggirassero altri arrampicatori; e invece, poco prima di affrontare l'ultima parte della discesa, ci passarono accanto quasi furtivi due uomini, usciti dalla Via Miriam prima della lunghezza della “schena de musc”, che parlavano un idioma allora per me incomprensibile. Quello che scendeva davanti salutò, si fermò un attimo e, indicandomi il suo compagno, che non sembrava un rocciatore, indossava pantaloni grigi di lana e un berretto di lana blu alla Lucio Dalla calato sulla faccia barbuta, mi disse sottovoce: “Vedi quello lì? È giovane, e farà grandi cose.” L'uomo che si era fermato era Italo Filippin, poi responsabile del Parco Naturale delle Dolomiti Friulane, mentre l'altro era Mauro Corona, scultore, alpinista e oggi anche rinomato scrittore.
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