L'Unesco ha elevato le Dolomiti a patrimonio dell’umanità, a bene da tutelare a livello mondiale. A parte le questioni nate per ospitare la sede della Fondazione, che la Provincia propone di localizzare a Sedico; considerato poi che tutelare le montagne vuol dire tutelarne gli abitanti, perché le Dolomiti non restino solo cumuli di pietre senza vita, chissà quanti (anche fra i più attenti) sanno spiegare compiutamente il significato di “patrimonio mondiale dell’umanità”. Se cioè sia solo un’etichetta cultural-naturalistica o abbia anche una portata economico-turistica; se produrrà l’ennesima fabbrica di sovrastrutture e carrozzoni o aiuterà invece la rinascita della nostra terra, suggestiva ma viziata da vari problemi: spopolamento, captazione delle acque, chiusura di fabbriche, declino culturale … In quest'ambito, sottolineo un mio dubbio. Pensavo che “Unesco” evocasse solo paesaggi da favola, ambiente sostenibile, colori dei Monti Pallidi, natura, cultura, architettura dolomitica da rispettare, ma di recente ho potuto ammirare il costruendo ponte sul Rudavoi, nel cuore del bene-Dolomiti. È vero che il Rudavoi soffre di un grave dissesto idrogeologico, che la sua esondazione ha causato una vittima, che la via di comunicazione che ci passa, necessaria a lavoratori e turisti, merita la massima sicurezza, ma in che modo? Con un serpentone di calcestruzzo a due campate, alto 14 m e lungo 240, che scavalca un “ruscellone” non certo tumultuoso e largo forse un quinto? Con un “ricciolo” spaziale di cemento e ferro, sul quale si correrà a 90 km/h, mentre sulla strada prima e dopo il ponte, dove ogni primavera si ripetono i dissesti,si riuscirà forse a mantenere i 50? Il progettista difende il suo lavoro dicendo che (le correzioni fra parentesi sono mie)“… il ponte si concreta a livello percettivo, come una lama sottile, quasi invisibile nella luce della penombra; un uso efficiente dei materiali si traduce in trasparenza e snellezza della struttura, con armonia e unità delle parti determinate da una corretta proporzione. Il luogo acquista valore dal ponte, (con quello) antecedente il significato dell’ambiente è (era) nascosto; la costruzione del ponte lo ha messo in luce trasformando un sito in un luogo, scoprendo i significati potenziali presenti nell’ambiente …”. Nonostante tutto però, siamo di fronte a una bruttura di dimensioni … dolomitiche, e mi chiedo quanto verde servirà per attenuare almeno in parte l’impatto della struttura sui boschi al cospetto del Cristallo e del Sorapis. Nel 2011 mi toglierò la soddisfazione di salire di nuovo sul Corno d’Angolo, che domina il ponte: da lassù vorrei rivolgere lo sguardo al Rudavoi, 800 m più in basso, e ammirare “l’effetto che fa”. E meno male che le Regole ampezzane, proprietarie e gestrici del territorio, riavranno in dono i “relitti”, il tratto di strada solcato da 13 anni da un Bailey "provvisorio"! I due tronconi del viadotto sono stati congiunti da poco, ma per la chiusura del megacantiere dovremo attendere il 2012. Da allora, in barba ai principi dell'Unesco, potremo apprezzare un cavalcavia stile Val Lapisina (ma in quella valle c’è un’autostrada a 4 corsie, che collega la nostra Provincia con la pianura). In basso, sul ciglio sconvolto del Rudavoi, resterà un piccolo, malinconico cartello di legno che indirizza gli alpinisti verso la perla ambientale della Val Popena Alta e le montagne che le fanno corona, “patrimonio mondiale dell’umanità”.
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