Compagnoni e Lacedelli; Lacedelli e Compagnoni. Sono più di cinquant’anni che questo binomio (in ordine alfabetico, d’età, d’importanza, di “primogenitura” ...) accompagna articoli, libri, saggi dedicati al K2. Lo zio (tale, infatti, è Lino Lacedelli de Mente per me), oltre che con alcuni magistrali sesti gradi, dal 1954 fa pendant con l’alpinista, lombardo trapiantato in Val d’Aosta. Con quel Compagnoni alpino, fondista, poi albergatore, che salì oltre 100 volte sul Cervino. Con quel Compagnoni grande ghiacciatore ma soprattutto predestinato a salire il K2: perché era un occidentalista, perché aveva già quarant’anni, perché sarebbe stata l’impresa della sua vita, perché … lo voleva il potere e il nazionalismo che caratterizzarono la spedizione italiana al secondo 8000 della Terra. Achille Compagnoni, classe 1914, se n’è andato. Lino, il fortissimo fabbro che si trovava bene sugli strapiombi dolomitici, colui col quale il valfurvino divise la gioia di calpestare la seconda vetta del mondo, non gli sarà accanto nell'ultimo viaggio, e se ne duole. E' scomparso un altro dei grandi “eroi” dell’alpinismo italico; di lui non ricorderemo grandi ripetizioni, direttissime di VI grado, famose pareti nord, ma il K2, quegli 8611 metri che - anche a causa sua - fino a ieri hanno fomentato sanguigne polemiche sul chi, sul come, sul dove. Anche l’alpinismo cela qualche miseria, ed è un peccato, ma è pur sempre una passione umana. Neppure Compagnoni è stato immune da questi inciuci da bassa politica, purtroppo. In ogni modo rendiamo l'ultimo, affettuoso saluto ad Achille, che con il nostro inossidabile Lino ha dato all’alpinismo italiano grande risonanza, una dimensione finalmente nazionale, l’orgoglio per il riscatto della patria da una guerra perduta. E si è persino meritato una figurina tutta sua su un vecchio album dei “Campioni dello Sport”. Chi scrive ricorda bene Compagnoni; un bell'uomo dal portamento eretto, fisico massiccio e sguardo fiero, colorito abbronzato e severo completo blu, che sfilava a Cortina nel 1994, per il 40° della spedizione. Fu l’unica volta in cui lo vidi, ma indirettamente lo conoscevo già da anni.
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