Nelle nostre perseveranti escursioni alla scoperta di recessi non troppo conosciuti e meno affollati possibile, dall’estate 2006 ad oggi abbiamo scelto di dirigere per ben sei volte i nostri passi verso un’elevazione della quale, fino a qualche tempo fa, poco o nulla sapevamo, pur trovandosi a breve distanza dalla conca d’Ampezzo.
Questo perché, seppure la sommità risalti bene da varie angolature nei dintorni, la via d’accesso, realizzata da fanti e mitraglieri della Brigata Marche durante la Grande Guerra e poi trascurata per decenni, fino all’anno scorso non era agibile.
Essa è stata riscoperta, meritoriamente ripulita e segnalata con misura dai volontari del CAI di Auronzo, che hanno dedicato il sentiero a Silvano De Romedi di Treviso, scomparso non ancora cinquantenne nel 2005.
La cima in questione è lo Scoglio di San Marco (2005 m.), cupola ricoperta di fitti mughi e solcata da un lungo camminamento, che fa da contrafforte alla nota e frequentata Croda de l’Arghena, proprio alle pendici delle Tre Cime di Lavaredo.
Oltre a notevoli pregi ambientali, lo Scoglio di San Marco alletta l’escursionista curioso perché – e ciò traspare chiaramente dal nome – costituì per secoli l’avampo-sto della Repubblica di Venezia più avanzato verso il Tirolo, e tuttora marca il limite fra le terre cadorine e quelle sudtirolesi. Nella valle ai suoi piedi, poi, si trova il cippo confinario del Sasso Gemello, anch’esso meritevole di una gradevole passeggiata.
La soluzione migliore per salire sullo Scoglio prevede di lasciare l’automobile nei pressi dell’agriturismo di Malga Rinbianco, al quale si giunge dal casello della strada delle Tre Cime per una comoda rotabile sterrata.
Sotto la malga s’imbocca il sentiero, che scende tranquillo per pascoli e bosco, quindi si destreggia senza eccessivi strappi in un morbido lariceto e risale la baranciosa Costa dei Lares. Dopo 300 metri di dislivello e 75 minuti circa di cammino, si spunta sulla piatta sommità dello Scoglio, incisa da una trincea tutta ripulita e percorribile.
Oltre un passaggio terroso, un po’ scosceso ma munito di una fune, la trincea converge in una breve, umida galleria. A sua volta, questa schiude l’accesso ad un osservatorio, scavato sulla “prua” dello Scoglio, di fronte al Monte Piana e al Monte Rudo. Dall’osservatorio, in cui sono collocati un Leone di San Marco di gesso e il libro di vetta, si dominano la Val Rinbon, Landro, altre cime ed orizzonti vicini e lontani.
Adatto per una passeggiata di poco più di mezza giornata, il “rinato” Scoglio di San Marco merita una certa considerazione per varie ragioni. In primis, per la storia che vi fu scritta dal 1500 alla Grande Guerra; poi per la natura aspra e selvaggia in cui s’inscrive, il panorama che offre e il silenzio delle sue pendici, che si allungano fino alla soprastante Croda de l’Arghena lasciando scoprire un faticoso collegamento.
Soprattutto quest’ultima qualità, il silenzio montano, oggi merce ricercata in seguito all’inevitabile, pacifico dilagare del turismo in ogni angolo, è il dono che gustiamo di più e la peculiarità che vorremmo distinguesse anche lo Scoglio, sempre.
Questo perché, seppure la sommità risalti bene da varie angolature nei dintorni, la via d’accesso, realizzata da fanti e mitraglieri della Brigata Marche durante la Grande Guerra e poi trascurata per decenni, fino all’anno scorso non era agibile.
Essa è stata riscoperta, meritoriamente ripulita e segnalata con misura dai volontari del CAI di Auronzo, che hanno dedicato il sentiero a Silvano De Romedi di Treviso, scomparso non ancora cinquantenne nel 2005.
La cima in questione è lo Scoglio di San Marco (2005 m.), cupola ricoperta di fitti mughi e solcata da un lungo camminamento, che fa da contrafforte alla nota e frequentata Croda de l’Arghena, proprio alle pendici delle Tre Cime di Lavaredo.
Oltre a notevoli pregi ambientali, lo Scoglio di San Marco alletta l’escursionista curioso perché – e ciò traspare chiaramente dal nome – costituì per secoli l’avampo-sto della Repubblica di Venezia più avanzato verso il Tirolo, e tuttora marca il limite fra le terre cadorine e quelle sudtirolesi. Nella valle ai suoi piedi, poi, si trova il cippo confinario del Sasso Gemello, anch’esso meritevole di una gradevole passeggiata.
La soluzione migliore per salire sullo Scoglio prevede di lasciare l’automobile nei pressi dell’agriturismo di Malga Rinbianco, al quale si giunge dal casello della strada delle Tre Cime per una comoda rotabile sterrata.
Sotto la malga s’imbocca il sentiero, che scende tranquillo per pascoli e bosco, quindi si destreggia senza eccessivi strappi in un morbido lariceto e risale la baranciosa Costa dei Lares. Dopo 300 metri di dislivello e 75 minuti circa di cammino, si spunta sulla piatta sommità dello Scoglio, incisa da una trincea tutta ripulita e percorribile.
Oltre un passaggio terroso, un po’ scosceso ma munito di una fune, la trincea converge in una breve, umida galleria. A sua volta, questa schiude l’accesso ad un osservatorio, scavato sulla “prua” dello Scoglio, di fronte al Monte Piana e al Monte Rudo. Dall’osservatorio, in cui sono collocati un Leone di San Marco di gesso e il libro di vetta, si dominano la Val Rinbon, Landro, altre cime ed orizzonti vicini e lontani.
Adatto per una passeggiata di poco più di mezza giornata, il “rinato” Scoglio di San Marco merita una certa considerazione per varie ragioni. In primis, per la storia che vi fu scritta dal 1500 alla Grande Guerra; poi per la natura aspra e selvaggia in cui s’inscrive, il panorama che offre e il silenzio delle sue pendici, che si allungano fino alla soprastante Croda de l’Arghena lasciando scoprire un faticoso collegamento.
Soprattutto quest’ultima qualità, il silenzio montano, oggi merce ricercata in seguito all’inevitabile, pacifico dilagare del turismo in ogni angolo, è il dono che gustiamo di più e la peculiarità che vorremmo distinguesse anche lo Scoglio, sempre.
1 commento:
Una cosa ho nuovamente constatato. Ho dato il mio piccolo contributo nella pulizia del sentiero, in due momenti distinti, ed ho poi raggiunto lo Scoglio in un'altra occasione. Ciò non mi dà il diritto di pensare di "conoscere" questo luogo (non farei mai questo sbaglio, per nessun luogo, neanche dopo 100 visite ...), ma allo stesso tempo è naturale pensare che dello stesso mi sia fatta un'idea definita che, in qualche modo, porto dentro di me.
Ma ecco che cosa ho constatato. Nel leggere ciò che hai scritto non ho semplicemente "rivisto" un luogo già conosciuto; la tua descrizione mi ha portato in un "nuovo luogo", perché "occhi e cuore che osservano" sono diversi. Ritengo non sia compito facile, in un articolo che si snoda sereno e pacato, "esaltare pacatamente" il silenzio, così come hai fatto tu. Speriamo che, perlomeno per il silenzio allo Scoglio, sia sempre così.
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