Riprendiamo il discorso sull'alpinismo, dai cacciatori. Essi, più degli altri, affinarono la tecnica alpinistica, sviluppando proverbialmente il senso dell’equilibrio, il fiuto nella ricerca dei passaggi, l’abilità nel superarli con attrezzi primitivi, la furbizia nel sorprendere gli animali, l’infallibilità nel colpirli (si racconta del cacciatore ampezzano Alessandro Lacedelli, poi divenuto guida, che in vita sparò pochi colpi di fucile, forse duecento, ma ad ognuno corrispose un camoscio, che andò a rallegrare la magra e monotona dieta familiare, consentendogli di andare a montagna fino a sessant'anni suonati e di vivere fino ad ottantadue). Alpinisti furono i topografi civili e militari, mandati dai governi e poi dall'Esercito fin dal Settecento a misurare l’altezza delle cime, porre punti trigonometrici sulle vette, districarsi nella toponomastica spesso approssimativa delle catene montuose. E’ nota la vicenda della Rocchetta di Campolongo, sulla cui vetta gli agrimensori giunsero già nel 1779 per fissare uno dei confini tra il Tirolo e il regno d’Italia. Alpinisti, ancora furono i guardaboschi e i guardacaccia, instancabili camminatori e perlustratori del perimetro boschivo della valle, ma anche di numerose cime. E’ principalmente merito loro, insieme ai cacciatori, se l’alpinismo ampezzano nacque, si sviluppò ed ebbe fortuna. Mancano all’appello solo i raccoglitori di erbe alpine e prodotti del bosco, portato di un’epoca abbastanza recente e di un ritorno alla natura. Nell’antichità, comunque, si usavano più di oggi le erbe e le bacche, meno i funghi: nei vocabolari dialettali, infatti, i termini della botanica e della micologia non hanno una vasta messe di corrispondenti, ma sono spesso generici.
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