L’alpinismo è un concetto unitario, “la pratica di scalare le montagne e la tecnica che a ciò si richiede”. E' utile però dividere il concetto in due categorie: l’alpinismo della necessità (la vita del montanaro, antica come le montagne) e l’alpinismo della volontà (il turismo alpino propriamente detto, che nelle Dolomiti ha circa un secolo e mezzo di vita). Tutti gli abitanti delle montagne sono alpinisti, da sempre. Lo erano sicuramente i contadini, costretti a dissodare, arare e falciare fazzoletti di terra per ricavarne un magro raccolto, in luoghi impervi, erti, pericolosi. La storia è ricca di “martiri” di questa vita dura: anche a Cortina nell’800 una donna precipitò dalle Pale di Perosego durante la fienagione. Alpinisti erano i boscaioli, impegnati nel duro lavoro in situazioni atletiche, anche se limitate alla cintura mediana della valle: oltre i duemila metri, infatti, gli alberi che offrono buon legno si fanno rari e salire non serve. Erano ancor più alpinisti i pastori, che per sfruttare al massimo il territorio per l’allevamento spingevano i loro armenti su pendii prativi, cenge erbose isolate, raggiungibili con manovre spericolate, non raramente a prezzo della vita. Alpinisti per eccellenza furono poi i cacciatori e i bracconieri, sempre spinti dalla necessità di sopravvivenza. Per secoli, costoro si avventurarono su cenge, pareti e cime alla ricerca del camoscio o del gallo cedrone, da portare in tavola o da esibire come trofeo d’arditezza e di coraggio. Del resto di questa lunga storia, faremo cenno in un prossimo post.
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