La Punta della Croce, mediana delle tre cime che costituiscono il segmento W della catena del Pomagagnon, fino agli anni '80 del XIX secolo non si chiamava così. Il nome, infatti, le venne da una croce lignea, posta sulla sommità prima del 1883 da Giuseppe Ghedina Tomasc, la guida che sarebbe tragicamente caduta dal Nuvolau il giorno dell'inaugurazione del rifugio omonimo, 11/8/1883. Non è noto esattamente quando e per quale motivo il Ghedina abbia portato la croce su questo rialzo di cresta, poco rilevante a guardarlo da N, dove scivola con una pala detritica sparsa di zolle erbose sui magnifici Prati del Pomagagnon. Sul lato opposto però, verso Cortina, la Punta cade con una parete incisa a metà da una grande fessura, che – per quanto non tutta verticale né strapiombante – raggiunge la considerevole altezza di 650 m. Pur contando su tre vie di roccia, di cui una classica (Pott, guide Siorpaes e Verzi, 1900), la Punta della Croce non ha la fama delle sue compagne, Punta Fiames a sinistra e Campanile Dimai a destra. Anche la via normale, un itinerario che richiede mezz'ora da Forcella Pomagagnon e non presenta grandi problemi, non riscuote eccessivo entusiasmo nella folla degli alpinisti. L'ho salita tre o quattro volte, di cui ricordo quella con Claudia e Sandro di undici anni fa, il 31/10/1999, giornata clou di un autunno che sembrava non voler finire. Perché mi piace? Anche perché, una volta in cima, avvolti dal silenzio, basta guardare la prospiciente Punta Fiames, in genere popolata di ferratisti dalla primavera all'autunno, per rendersi conto del fatto che la Punta della Croce è una montagna abbandonata, ma tranquilla e ristoratrice.
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